A 26 anni dalla scomparsa, Anna Maria Ortese rivive in un ricordo di Carlo di Francescantonio. Ringraziamo lui e Franz Haas per le bellissime fotografie che ci ha autorizzato a pubblicare.
Dal ’75 vivo molto sola, ma vedo che anche altre persone, scrittori sicuri di sé, affermati (questa parola, in realtà, non dice molto, forse accettati è più giusto), vivono ora un tempo di separazione.
Anna Maria Ortese, Corpo Celeste
Anna Maria Ortese a 26 anni dalla scomparsa. Un ricordo in suo onore

Il mio incontro con Anna Maria Ortese risale a ventisei anni fa ed è avvenuto attraverso un articolo scritto da Giorgio Bertone, professore ordinario di Letteratura italiana all’Università di Genova, e comparso sul quotidiano genovese Il Secolo XIX l’11 marzo 1998. Ebbene, da quel giorno ho iniziato ad avvicinarmi alla sua misteriosa, sconfinata Opera. L’omaggio del professore Bertone alla memoria dell’autrice, mancata il 9 marzo nella città di Rapallo, iniziava così: Se n’è andata come fu nel suo stile di vita, il suo e dei suoi personaggi, come svanita nell’ombra. Rapallo, ultima dimora, dal 1975 scelta come rifugio. Una vita, quella dell’Ortese, appesantita da difficoltà economiche e sofferenze emotive, sopportate e superate affidandosi completamente a quell’altrove che è stato l’unico punto fermo della sua intera esistenza: scrivere. Diceva Anna Maria Ortese: scrivere, se non è pura vanità o lusso è cercare un altro mondo. Cercarlo disperatamente. E a questa posizione morale, al cercare un altro mondo, è sempre stata fedele. L’esordio nella narrativa avvenne nel 1937 con Angelici dolori, racconti pubblicati da Bompiani su consiglio di Massimo Bontempelli, scrittore noto nel panorama di quell’epoca. Primo passo di un percorso che porterà l’Ortese a scrivere di professione, collaborando anche con la stampa nazionale. A tal proposito viene da citare il viaggio in Russia fatto in treno nel 1954, per un servizio su Mosca e Leningrado commissionatole da L’Europeo. Prima donna ad avventurarsi, senza conoscenza della lingue per stendere un interessante reportage in forma di racconto, pubblicato nel libro Il treno russo quasi trent’anni dopo che le valse il secondo posto al premio Città di Rapallo per le donne scrittrici del 1985. Le sue Opere hanno attraversato il Novecento ma sono state sempre poco considerate dal pubblico, nonostante i riconoscimenti dei più alti critici e i premi letterari come il Viareggio, nel 1953 con la raccolta di racconti e cronache Il mare non bagna Napoli, e lo Strega nel 1967 per il romanzo Poveri e semplici. Nelle cronache che accompagnano la sua vita ampio spazio è dato a un dolore, ovvero il silenzio che calò intorno al romanzo Il porto di Toledo, pubblicato da Rizzoli nel 1975 e considerato dalla scrittrice il romanzo della sua vita. Riferendosi ai suoi lavori la stessa Ortese ha sempre dichiarato: un solo libro ho scritto. Tutta la sua scrittura e i suoi sforzi erano confluiti nelle pagine di questa biografia immaginaria e l’indifferenza con la quale fu accolta aprì una delusione che la spinse alla scelta di un esilio simbolico, che trovò nella Liguria l’ultima stazione. Anna Maria Ortese avrebbe poi ricordato, nel breve scritto dell’aprile 1997 Memoria e conversazione introduzione di Corpo Celeste, […] al tempo del mio arrivo in Liguria, dovrei dire fuga […], questo suo approdo era visto come a una fuga da quella Roma dove ha lavorato per sei anni alla stesura de Il porto di Toledo. Altri anni difficili si aprono per lei, ancora più isolata nonostante la fitta corrispondenza con le firme più autorevoli dell’editoria e della critica nazionale. Ma dalla seconda metà degli anni Ottanta una nuova e inaspettata rinascita: la prestigiosa Adelphi Edizioni ha iniziato un’opera di recupero, partendo dalla ristampa del romanzo L’iguana seguita poi dalla raccolta di racconti In sonno e in veglia, fino ad arrivare a presentare l’autrice al grande pubblico nel 1993 con il romanzo Il cardillo addolorato, storia medianica ambientata in una visionaria e magica Napoli del Settecento. Ad oggi il suo più grande successo di vendite. In questo secondo tempo della vita letteraria di Anna Maria Ortese è importante citare anche un altro editore, ovvero Edizioni Empirìa che ha raccolto tutte le poesie nei libri Il mio paese è la notte e La luna che trascorre. Due perle che esplorano e portano alla luce un mondo privato, diverso dalla narrativa che si potrebbe descrivere come un cantiere emotivo dentro il quale l’Ortese si rivelava e attingeva.

Da quell’undici marzo 1998, per me, che ho sempre trovato nei libri rifugio e conforto, che da sempre mi hanno colpito e attratto le vite difficili, è stato l’inizio di un viaggio sulle tracce di ogni suo libro e di testimonianze che mi permettessero di avvicinarmi il più possibile a questa figura che da subito ho sentito amica. Ricordo bene quel pomeriggio nella biblioteca comunale di Santa Margherita Ligure. Lì ho preso in prestito Il mare non bagna Napoli. La sua lettura, la prima finestra su di mondo letterario misterioso, visionario, metafisico e struggente. Sempre più complesso, pagina dopo pagina, addentrandosi nell’umanità, nell’amore e nei dispiaceri di assistere alla distruzione del mondo da parte dell’uomo stesso. Non nego che per me, in quel periodo, è stata una lettura complessa che mi ha portato spesso a interrompere e riprendere, al punto di scoprire ad ogni ritorno nelle pagine sempre qualcosa che mi era sfuggito. E così, libreria dopo libreria, bancarella dopo bancarella, libro dopo libro e pagina dopo pagina sto proseguendo ancora oggi, ventisei anni dopo, questo lungo ascolto.
Di Anna Maria Ortese si è spesso semplificata la complessità della sua natura, definendola “nomade e inquieta”, si è parlato più della legge Bacchelli che l’ha salvata dalla povertà che della letteratura con la quale ha aperto un dialogo profondo con l’essere umano, gli animali e il Mondo. Oggi resta l’Opera di un’anima collegata all’Universo, che è sopravvivenza alla disumanità del presente. Incontriamo tanta pietà nelle pagine dell’Ortese, che bisognerebbe accogliere come un umile mano tesa ad aiutare. L’invito, quindi, è riscoprirla. E insieme all’invito mi permetto un appello al Comune di Rapallo, perché si impegni nel dare valore alla memoria di un’autrice che per gli ultimi anni della sua vita ha scelto la Liguria e Rapallo come casa. Un impegno un poco maggiore dei giardini sopra piazzale Escrivà intitolati ad Anna Maria Ortese (ma, almeno sino al marzo 2018, senza nessuna targa esposta che lo testimoni) o una targa affissa al palazzo dove ha abitato in Via Mameli (accanto all’insegna dell’Ekom), inaugurata nel 2016 in presenza del poeta Elio Pecora e che è stata anche oggetto di contestazione da parte dei condomini. Questi sono piccoli gesti, importanti, certo, ma sempre piccoli. Ricordatela, per favore, con un convegno annuale, con iniziative culturali ma soprattutto con l’affetto e l’applauso che in vita le è stato quasi sempre negato.