Autonomia Differenziata. La fine dello Stato

La fine dello Stato. Ecco i rischi dell’autonomia differenziata

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Con il nuovo governo Meloni e con la nomina di Roberto Calderoli a Ministro degli Affari regionali e delle Autonomie si ripropone la scelta dell’Autonomia differenziata. È una delle questioni di cui si discute poco, ma è di un’importanza fondamentale per il futuro della nostra democrazia, come l’abbiamo conosciuta.  Pochi conoscono la reale dimensione del problema e quali rischi ci potrebbero essere per l’unità del Paese stesso, per l’attuale impianto istituzionale, per il mantenimento del modello di welfare.

I gravi rischi che corriamo con l’autonomia differenziata, o autonomia regionale. Diverse regioni credono che saranno più forti. Non è così

La richiesta di avere maggiore autonomia avviata da parte di tre regioni (Lombardia, Veneto e Emilia Romagna) ha generato valutazioni opposte fra chi si è dichiarato favorevole e chi la ritiene sbagliata. A queste tre successivamente si sono aggiunte molte altre Regioni che pensano di vedere rafforzate le loro prerogative. Quello che ci preme, però, è che il tema dell’autonomia esca dalle nebbie, proprio per i riflessi che potrà avere su tutto il sistema Paese. La discussione non può restare chiusa in un confronto fra Governo e le stesse Regioni che la richiedono.

I punti più controversi di questa proposta di rimodellare i poteri delle Regioni si individuano proprio nel superamento di quell’idea di comunità plasmata dalla Costituzione nei suoi valori di coesione, solidarietà e pari opportunità, garantiti a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale per mezzo dello Stato e dell’esercizio delle sue funzioni. Un ruolo, quello dello Stato, che permette ai suoi consociati di riconoscersi come cittadini di quella comunità. Il rischio, infatti, è che quell’accezione “rafforzata” o “differenziata”, se estremizzata, possa portare ad una gestione dei servizi essenziali non uguale in tutti i territori ed equa per tutti i cittadini.

Il vero problema è quello di stabilire quali materie attribuire alle regioni e quali lasciare saldamente tra le prerogative dello Stato, in qualità di garante dei diritti costituzionali riconosciuti a tutti i cittadini a prescindere dal luogo di nascita o residenza, confermando però di garantire equamente su tutto il territorio nazionale sanità, assistenza, scuola e istruzione a tutti gli altri servizi pubblici.

Lo Stato deve mantenere, pur in un’articolazione dei poteri, un raccordo centrale sulle politiche che si attui mediante poteri di coordinamento, controllo, riequilibrio e di supplenza in funzione di tutela e solidarietà nazionale, non abbandonando i suoi compiti costituzionalmente riconosciuti (art. 120 Cost). Uno Stato, insomma, in grado di garantire funzioni strategiche e di sistema, sedi collaborative e azioni di supporto alle realtà più deboli, di cui i trasferimenti a finalità perequativa rappresentano solo una parte.

Impariamo dall’esperienza. Il Sistema sanitario impoverito e la migrazione interna di chi va in cerca di cure essenziali

Abbiamo già visto come è andata con la Servizio Sanitario, dove venti Regioni si sono strutturate in modo autonomo, non facendo altro che acuire le distanze tra realtà sempre più efficienti ed altre sempre più in dissesto. Si è dato il là a una sorta di pellegrinaggio sanitario di famiglie che, non potendo essere curate nei luoghi di residenza e in particolare nel mezzogiorno, si sono viste costrette a recarsi in altre regioni che garantivano loro cure adeguate.

Per quel che riguarda poi la devoluzione dell’istruzione, non si può essere mai disponibili ad accettarla. Anche se tengo a precisare che questa partita non riguarda solo l’istruzione ma coinvolge tutti i settori, tutti i servizi e tutti i cittadini.

Quello che però non può essere mai condivisibile è che la scuola e l’università, per l’importanza che hanno nella formazione della cittadinanza, possano smarrire la loro unità nazionale in una spaccatura tra regioni con programmi diversi e orientamenti diversi. Addirittura con la possibilità di avere insegnanti regionali, con contratti regionali e con l’indizione di concorsi locali e conseguenti assunzioni territoriali. Sarebbe la fine di quelle pari opportunità formative che tanto hanno fatto crescere questo nostro Paese e si minerebbe così anche un altro principio costituzionale quello della libertà di insegnamento.

Seri dubbi sulle modalità di finanziamento. Impediamo di far aumentare il divario e la disuguaglianza tra Nord e Sud

Altre perplessità sull’autonomia differenziata si incentrano soprattutto sulle forme di finanziamento, essenziali all’esercizio delle competenze trasferite. Il criterio per la ripartizione delle risorse finanziarie sarebbe quello della compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale, in una quantificazione tale da consentire alla Regione di finanziare integralmente le funzioni pubbliche ad essa attribuite. Il parametro di riferimento, da principio, sarà quindi quello della spesa storica sostenuta dallo Stato nella Regione, riferita alle funzioni trasferite o assegnate. Tale criterio, tuttavia, sarà oggetto di progressivo superamento a beneficio dei fabbisogni standard, da definirsi e ad ogni modo misurato in relazione alla popolazione residente e al gettito dei tributi maturati nel territorio regionale in rapporto ai rispettivi valori nazionali. È proprio nel delicato passaggio tra questi due criteri di ripartizione delle risorse che si insidia il rischio di incappare in un forte aggravio delle disparità già purtroppo esistenti nel territorio nazionale, tra Regioni del nord, storicamente più ricco e con gettito fiscale maggiore, e Regioni del centro-sud Italia.

Autonomia differenziata, ovvero la fine dello Stato

Tirando le somme, se l’autonomia differenziata passasse come l’hanno ideata cambierebbe la struttura dello Stato codificata nella Costituzione, con l’estrema conseguenza che molto probabilmente, se questo disegno fosse perseguito da tutte le regioni, lo Stato, svuotato delle sue funzioni, sparirebbe del tutto.

In un quadro di una portata simile, il ruolo del Parlamento non può essere quello di “ratificare” o meno un testo, senza poter minimamente intervenire ma deve pretendere di discutere e, soprattutto, di emendare queste intese. Se, come hanno sostenuto le Regioni interessate la quotidianità di tutti i cittadini del Paese, non cambieranno in peggio, di cosa si ha paura nell’affrontarla in modo palese e partecipato? È essenziale rilanciare la questione per creare un’opinione pubblica consapevole, cosa che non è avvenuta fino ad oggi, ma comunque vadano le cose, i principi di solidarietà, coesione e di unità dello Stato vanno sempre fermamente salvaguardati. Con il governo Cinquestelle/Pd il ministro Boccia aveva elaborato una normativa che aveva modificato in meglio alcune questioni. Aspettiamo di capire come si evolverà con il nuovo governo Meloni.

Fra i tanti problemi che si pongono quello che è e resta in discussione, è il diritto di cittadinanza che ci rende capaci di usufruire dei diritti garantiti dalla Costituzione e tutti uguali. È chiaro che quando si fa presa o si liscia il pelo all’egoismo e si divide un Paese, chi è più tutelato guarda a sé stesso con un’accentuazione dell’interesse particolare. La mancata soluzione dei problemi istituzionali, dei quali si è discusso per anni, e l’inadeguatezza dei provvedimenti adottati stanno disgregando i valori sociali e la stessa credibilità dello Stato. Non si tratta di un problema di poco conto, anzi se ne parla troppo poco! Riguarda tutti noi, perché si stanno sgretolando goccia a goccia i pilastri su cui si è costruito il nostro modello di società.

Rousseau, nel Contratto sociale, sosteneva:

Quando il nodo sociale comincia a rallentarsi e lo Stato ad indebolirsi, quando cominciano a farsi sentire gli interessi particolari e le piccole società ad influire sulla grande, allora l’interesse comune si altera e trova oppositori; l’umanità non regna più nei voti; la volontà generale non è più la volontà di tutti; si sollevano contraddizioni, contese; e il miglior parere non è approvato senza dispute. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Per l'immagine in testa all'articolo: Devolved Parliament|©Photo: Banksy

1 Comment

  1. L’egoismo sociale che traspare dietro progetti come l’autonomia differenziata fa il paio con la propensione a evasione ed elusione fiscale. A mio avviso esiste un rapporto causale fra l’infedeltà fiscale e il progetto di autonomia differenziata . È un altro modo di dire: “pagheremo le tasse quando le potremo gestire nella regione”. Non è solo un passo indietro, ma un salto in lungo nel declino dell’idea di nazione.

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