Parliamo di Berlinguer e Sciascia. Franco Garofalo scrive del loro rapporto contrapposto sulla base dei documenti apprezzabili nell’importantissima mostra in corso al Mattatoio-Città dell’Altra Economia di Roma, dal titolo I Luoghi e le parole di Enrico Berlinguer realizzata dal Comune e dal Palaexpo con il Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e che si concluderà l’11 febbraio 2024.
Lingua e personalità mitica di Berlinguer ai tempi di un’Italia energica e invitta, già antica
Tutti gl’italiani, nati o non nati ancora al tempo della sua avventura esistenziale, che lo sappiano o no, devono qualcosa a uomini come Enrico Berlinguer: è questo il lascito della mostra. Creatore di locuzioni dal formidabile potere di suggestione come “compromesso storico”, ”questione morale”, ”eurocomunismo”, questo aristocratico sassarese, sempre magrissimo in abiti formali troppo abbondanti, è stato il più amato dei capi del Partito Comunista Italiano, il più numeroso e potente di tutta l’Europa Occidentale; non il migliore sulla scia togliattiana, ma il più completo esempio di quella delicatissima fase di trasformazione del marxismo, la cui rotta lui stesso aveva tracciato. E oggi tutti sono tenuti a conoscere quell’Italia antica, energica e invitta che non cedette neppure alle strategie più subdole di superpotenze mondiali che – grazie soprattutto a persone come lui – mai, neanche nell’ora più buia, ebbero il coraggio di colpirci in piena faccia con un golpe fascista.
Chi oggi lo ricorda non è mai stato uno dei suoi. Sul piano politico sono cresciuto e rimango un socialista; su quello filosofico respingo il materialismo in tutte le sue forme storiche, perché antimetafisico in radice. Sono uno strano ibrido politico-filosofico-religioso simile, più che a chiunque altro, al drammaturgo svedese August Strindberg. Credo che, allo stesso modo, ci si possa accostare a Enrico Berlinguer soprattutto per la magnitudine della sua personalità mitica.
Delle formule linguistiche di Berlinguer è necessario dire ancora. Quando la marea di iscritti del sindacato Solidarność, nove milioni nel 1981, annunciava una rapida fine del regime comunista in Polonia e il regime reagiva con un colpo di stato militare guidato da Wojciech Jaruzelski, arrestando Lech Walesa e preparando la repressione, Berlinguer dichiarava pubblicamente che “quanto avvenuto in Polonia ci induce a considerare che effettivamente la capacità propulsiva di rinnovamento delle società che si sono create nell’Est europeo è venuta esaurendosi”; un modo, come si può constatare, molto elegante per dire che quel cosiddetto “socialismo reale” gli faceva schifo. E che non solo non l’avrebbe più sostenuto, ma al contrario, che l’avrebbe combattuto attivamente: e il potere d’intervento “dall’esterno” proprio in quei primi anni Ottanta si andava facendo assai più forte che mai; non soltanto per le superpotenze, che lo esercitavano già da decenni con naturalezza insultante, ma anche da alcune medie potenze come Italia, Francia o Germania il cui risveglio, o per dir meglio, ingrandimento era proporzionale al riemergere dell’Europa come comunità economica e politica.
Le questioni storiche ancora aperte. La fine dell’Unione Sovietica? Non è stata voluta dai paesi capitalistici
In sede storica non si discute mai abbastanza del fatto che la fine dei paesi comunisti e, a ricaduta, della stessa Unione Sovietica all’inizio dell’ultimo decennio del XX secolo non è stata voluta dai paesi capitalistici né in particolar modo dagli Stati Uniti – nel suo mirabile Il Secolo breve Eric Hobsbawm, citando informative riservate rese disponibili dal FOIA (Freedom of Information Act), dimostra che nel corso degli anni Ottanta i diplomatici americani di stanza a Mosca parlavano di un regime comunista in ottima salute, e persino in procinto di avviare, mediante riforme ad hoc, qualcosa di simile al boom economico vissuto dai paesi occidentali fra il 1959 e il 1965 – ma dai popoli dell’Europa Orientale, ansiosi di ricongiungersi con i loro fratelli occidentali, e da alcuni Partiti Comunisti, fra i quali spicca quello italiano.
Com’è noto l’esperimento del compromesso storico, primo evento mondiale di un governo occidentale con la partecipazione dei comunisti, dei cattolici e dei socialisti, fu fermato in breccia dal sequestro del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro il 16 marzo 1978 da parte delle Brigate Rosse e dall’uccisione dei cinque uomini che formavano la sua scorta. Moro quella mattina avrebbe tenuto un discorso alle Camere nel quale avrebbe enunciato la roadmap che doveva portare al primo governo repubblicano sostenuto dai comunisti. Per quell’azione si mossero svariate potenze straniere, al di qua e al di là della Cortina di Ferro, mostrando quanto la strategia portata avanti fin dai primi anni Settanta proprio da Berlinguer, di un avvicinamento culturale con tutte le grandi forze popolari, compresi i cattolici i quali, fin dall’alba della Repubblica si erano proposti come garanti della fedeltà atlantica, avesse punto nel vivo le due superpotenze e i loro paesi satelliti. Insomma, la navigazione eurocomunista, che aveva come obiettivo un’integrazione piena e completa nelle democrazie occidentali, era sgradita tanto agli americani che ai sovietici; grazie a Berlinguer, forse principalmente per questo suo inesauribile attivismo, l’Italia si proponeva come laboratorio mondiale di una “nuova frontiera”, una delle cui conseguenze sarebbe stata la liberazione dell’Europa dell’Est dal giogo delle paranoiche dittature comuniste.
La contrapposizione Berlinguer e Sciascia. Quando Berlinguer querelò lo scrittore siciliano. La digitalizzazione dell’archivio Berlinguer della Fondazione Gramsci permette di ricostruire i fatti
Alcuni anni dopo, precisamente nel maggio del 1980, sorse una controversia destinata ad amareggiare gli ultimi anni di vita di Berlinguer: quella che lo contrappose allo scrittore siciliano e parlamentare radicale Leonardo Sciascia. Al proposito, ringrazio l’archivio Berlinguer della Fondazione Gramsci, per l’opera meritoria di digitalizzazione integrale dei documenti relativi, che consente una ricostruzione dei fatti che adesso richiamo brevemente.
Il 23 maggio 1980, durante un’audizione davanti alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di Via Fani e sul sequestro di Aldo Moro, Sciascia come membro della commissione chiede al senatore Giulio Andreotti se corrispondano al vero voci, da tempo circolanti, secondo cui nell’azione terroristica che portò al sequestro e all’eliminazione dei membri della scorta sarebbero implicati cittadini di una potenza straniera, cioè di un paese dell’est Europa, segnatamente della Cecoslovacchia; che questo coinvolgimento si sarebbe prolungato in un arco di tempo indefinito ma piuttosto ampio, e che per conseguenza sarebbe imminente l’espulsione di due funzionari in capo all’ambasciata cecoslovacca. Andreotti risponde di essere a sua volta a conoscenza di queste voci, ma di non ricordare la circostanza dell’imminente espulsione.
Sciascia, con l’intenzione di insistere affinché Andreotti ricordi meglio, afferma la notizia provenire da un suo colloquio privato col Segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer, avuto il 6 maggio alla presenza del parlamentare, e noto pittore, Renato Guttuso, siciliano come lo stesso Sciascia.
Nell’apprendere tramite stampa di questo dialogo occorso durante un’audizione – che certamente non aveva avuto un minimo di riservatezza, neanche fosse avvenuta in una stanza di vetro e non a porte chiuse – Berlinguer reagisce davvero molto male. Dà immediatamente mandato al suo legale di fiducia, l’avv. Fausto Tarsitano, di sporgere querela per diffamazione aggravata contro lo scrittore.
Dal testo della querela si evince sia l’immediata smentita di Berlinguer a quanto attribuitogli da Sciascia, sia che la vera motivazione della querela sarebbe il fatto che, a seguito della ridda giornalistica scatenatasi nel frattempo, Sciascia avrebbe detto: “Berlinguer ha smentito? Ha fatto bene. Smentisco anch’io e così la partita è pareggiata”; dichiarazione considerata dal leader comunista ulteriormente e gravemente lesiva della sua reputazione.
La controquerela di Sciascia e lo scompiglio nella Sinistra italiana
Sciascia allora sporge controquerela, affidandosi ad un altro noto avvocato del tempo, Franco De Cataldo. Entrambe le istanze finiscono per competenza nelle mani del Procuratore della Repubblica Antonio Marini. Inizia così un braccio di ferro che seminerà lo scompiglio nella sinistra italiana, già percorsa da fremiti tellurici e terrificanti ombre, laddove il sospetto – assai verosimile, data la distanza nel tempo degli eventi – di fornire asilo e ausilio, in una qualsiasi delle sigle allora attive, a fiancheggiatori delle BR e del terrorismo rosso in generale, era così devastante da minacciarne il collasso; ma quel che è a mio avviso certo, è che proprio quel gioco al massacro e quei laceranti rimorsi prolungarono di oltre dieci anni la vita del già agonizzante partito della Democrazia Cristiana.
D’altronde gli schieramenti erano fatti: da una parte il grande PCI, sempre vulnerabile al dogma terzinternazionalista di non consentire a nessun soggetto politico di crescere alla sua sinistra; dall’altro il piccolo Partito Radicale del tribuno e mattatore Marco Pannella, sostenuto tuttavia tacitamente dal Partito Socialista e dalla disorganica galassia della sinistra extraparlamentare.
Berlinguer e il rifiuto dell’immunità parlamentare. Credeva di poter essere condannato?
Si giunse perfino al punto d’ipotizzare, per ciascuno dei due contendenti, l’autorizzazione a procedere del Parlamento, a seguito di condanna. Nelle carte di Berlinguer c’è difatti un promemoria sull’Art. 18 del Regolamento della Camera dei Deputati, riguardante proprio l’iter della revoca dell’immunità parlamentare e la composizione della Giunta per le autorizzazioni. È lecito pensare che Berlinguer, se condannato, meditasse di rinunciare all’immunità unilateralmente, sollevando la commissione dall’imbarazzo di doversi esprimere per o contro la perseguibilità del capo dell’opposizione, di colui che era alla guida del più potente partito di sinistra dell’intera Europa Occidentale.
In realtà, dimostreranno poi i fatti, il Procuratore Marini era fermamente intenzionato a raffreddare gli animi, dato che dopo il sequestro di Moro la stagione del terrorismo aveva perso appena un po’ d’intensità, ma non si poteva certo dire conclusa. È dello stesso avviso il Giudice Istruttore D’Angelo, che sentita una sola parte querelante, cioè l’Avv. Tarsitano, con Decreto del 18 giugno 1981 stabilisce di non procedere all’azione penale, e proscioglie Leonardo Sciascia perché tutelato dall’immunità parlamentare, ed Enrico Berlinguer perché “il fatto non sussiste”, com’era nei desideri di Tarsitano. Ma Sciascia ricorre al Procuratore Generale, lamentando l’irregolarità della procedura concordata senza sentire il suo difensore Avv. De Cataldo. Ne consegue il provvedimento di avocazione, e la giostra giudiziaria ricomincia.
Il 25 febbraio 1982 il Giudice Istruttore Francesco Amato deposita la sentenza di definitivo proscioglimento – con spese giudiziarie compensate fra le parti, il che in volgare significa che ognuno si paga il suo difensore – di Leonardo Sciascia e di Enrico Berlinguer, perché “il fatto ascritto non sussiste”, com’era risolutamente voluto da Tarsitano e Berlinguer. A questi la formula inizialmente adombrata “il fatto non costituisce reato” sembrava inadeguata alla preservazione integrale del leader comunista, suggerendo che qualcosa doveva pur essere accaduto.
Dall’uccisione di Moro portò alla dissoluzione delle Sinistre portò profitto alla Democrazia Cristiana, cioè all’atlantismo e alla perdita di sovranità nazionale
Giova adesso ricordare che poco più di due anni dopo, il 7 giugno 1984, il leader “più amato” portava a termine un comizio a Padova, in Piazza della Frutta, nonostante fosse stato colpito da un ictus cerebrale. Sostenuto a braccia scende dal palco, fra gli applausi e grida “Enrico, basta!” di chi aveva compreso tutto; accompagnato in albergo, si addormenta per non più risvegliarsi. L’11 giugno, nella mattinata, viene dichiarato morto.
Questa vicenda, solo in apparenza nominalistica e fin troppo sottile in punta di diritto per poter essere compresa dalla pubblica opinione, ha in realtà rivolti essenziali per la coscienza storica, per la piena comprensione del periodo e delle forze che si agitavano sotto la superficie delle acque. Dalla morte di Moro – non è più un segreto, né forse lo è mai stato – il maggior danno derivò proprio alle sinistre italiane, mentre la direttamente interessata Democrazia Cristiana ne trasse un grandioso profitto, prolungando la propria permanenza alla guida del Paese ben oltre la sua più mortifera crisi, confermando il suo atlantismo assoluto, persino oltre i sospetti – sempre più potenti nel corso degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta – di aver ceduto la sovranità nazionale e la gestione del sequestro del suo Presidente alla superpotenza americana e ai suoi servizi di intelligence.
La “sovranità limitata”, una congettura verificata. Le ultime leggi di un’Italia viva di cui non resta che un lontano ricordo
Oggi possiamo affermare che la congettura della “sovranità limitata” era vera, oltremodo corroborata da fatti e documenti che continuano e continueranno a tornare in superficie. I ragazzi di allora, in parte a loro insaputa ma in parte no, per quanto estremisti erano veri patrioti. Per chi visiterà la mostra, suggerisco di rivedere il quadro sintetico (uno dei pochi sussidi cartacei pubblicati per l’occasione) delle conquiste in tema di diritti civili, la “costruzione dello stato sociale” fra il 1969 e il 1982: impressionante. Revisione degli ordinamenti pensionistici, Legge 153/69; Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, Legge 898/70; Tutela delle lavoratrici madri, Legge 1204/71; Riconoscimento dell’obiezione di coscienza, Legge 772/72; Riforma del diritto di famiglia, Legge 151/75; Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro, Legge 903/77; Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori (detta “legge Basaglia”), Legge 180/78; Interruzione volontaria di gravidanza, Legge 194/78; Istituzione servizio sanitario nazionale, Legge 833/78. Una sequela da recitare negli uffici pubblici, o magari da scolpire su lapidi commemorative, come il Bollettino della Vittoria del Generale Armando Diaz.
Di un’ Italia così potentemente propulsiva ci piacerebbe vedere nuovamente i segni; Enrico Berlinguer si compiaceva di iniziare i suoi discorsi sempre con queste parole: “i giovani, le donne”… ©RIPRODUZIONE RISERVATA