La crisi della legislazione nazionale, la logica del mercato, il dominio delle multinazionali, la svalutazione sociale del lavoro stanno distruggendo i caratteri fondanti di una comunità e potrebbero convincere dell’impossibilità di migliorare la legislazione e soprattutto la qualità della vita.
Inoltre, anche il concetto di rappresentanza si è modificato, riducendo anche il ruolo dei vari soggetti, esclusi dalle decisioni politiche ed economiche, poiché non più ritenuti portatori di interessi diffusi, ma vere e proprie palle al piede che frenano le scelte per le decisioni dell’uomo solo al comando. Ciò ha influito sul grado di democrazia, in Italia, in atto proprio alla luce dei profondi cambiamenti avvenuti nelle forme di rappresentanza.
I prodromi di una crisi della democrazia
In effetti, vi sono allarmanti sintomi che preconizzano una vera e propria crisi della democrazia: la scarsa partecipazione alla vita pubblica e politica dei cittadini; il rientro al privato ed una crescente sfiducia nella classe politica; una tendenziale e percepita perdita di quei valori che accomunano una società; la perdita finanche delle regole pacifiche della convivenza sociale e di una educazione politica che induceva i consociati a sentirsi parte di una nazione, corpo di una società e, infine, non da ultimo, la crisi dell’economia che fatica a trovare il suo regime di crescita in una società in cui il lavoro umano è considerato un’attività sempre meno indispensabile.
Le regole classiche della democrazia, invece, esigono: il dialogo; la consultazione; l’accordo dentro e con le minoranze; il riconoscimento e la tutela effettiva dei diritti umani che spettano, indipendentemente dalla nazionalità e dalla cittadinanza, a ogni individuo; l’allineamento alle libertà storiche delle democrazie, cioè ai diritti civili e politici; i sopravvenuti diritti sociali e i sopravvenienti diritti culturali possono giovare a cercare una risultante pacifica e ordinata delle attuali società.
La stessa opinione pubblica, e quindi la coscienza civile, presa da problemi quotidiani e da interessi individuali, succube del particolare, guarda con indifferenza e insofferenza a questi problemi, considerati generali, estranei dalla loro sfera di interessi.
Solidarietà e coesione, due valori che la classe dominante ha smarrito
Così si è trasformata anche la cultura dominante, non più interessata a battaglie per rendere la società più giusta, più coesa e solidale e, pertanto, parole come globalizzazione, deregulation, mercato, competizione sono diventati slogan che hanno fatto da schermo ideologico alla delocalizzazione di gran parte dell’apparato produttivo, alla marginalizzazione dello Stato, della politica e del ruolo del “cittadino”.
Oggi però le nostre società, proprio per l’assenza di partecipazione democratica, vivono una realtà quotidiana in cui si è prodotto: distruzione di ricchezza, impoverimento, attacco al mondo del lavoro, tensioni sociali, crisi del debito, rischio di implosione dello spazio europeo.
In Italia, un Paese in cui le disuguaglianze sono divenute ormai insopportabili, abbiamo vissuto una regressione politica e culturale molto forte in materia di diritti e il dilatarsi della distanza tra ceto politico e società.
È fondamentale ristabilire le connessioni della società alle istituzioni, perché in assenza di quest’ultime la convivenza civile viene meno e la comunità politica si sfalda.
La constatazione di una progressiva riduzione delle funzioni dello Stato porta ad ipotizzare che con la fine del modello democratico, l’Occidente abbia chiuso anche la sua fase storica. In aggiunta, l’inadeguatezza della cultura giuridica rispetto ai mutati scenari della società e dell’economia degli ultimi decenni sta mettendo in discussione le categorie politiche e giuridiche fino ad oggi consolidate, perché la perdita del punto di riferimento statuale mette nell’impossibilità di ricostruire l’ordinamento giuridico come sistema.
Cosa c’è in gioco e cosa si deve fare
Bisogna quindi rimettere in discussione quei contesti che favoriscono le grandi caste estranee alla politica e al confronto democratico, che nessuno ha eletto e che, di fatto, governano al di sopra e contro la politica. A costoro che non rispondono ai cittadini, non si possono delegare decisioni che devono essere prese nell’interesse di tutti.
Non è da nascondere che per dominare gli eccessi del mercato e della politica bisogna anche agire educando le persone a cambiare le proprie abitudini, salvaguardando innanzitutto la propria libertà ed esercitando le più ampie capacità critiche, fondamentali in un sistema perverso, pubblicitario e informativo che spesso altera la stessa formazione dell’opinione pubblica e il sistema di controllo popolare, incidendo negativamente sulla cultura di massa.
In gioco sono la funzione delle regole e il comportamento democratico delle istituzioni, la speranza di legalità della politica e nella politica, con sempre maggiore difficoltà di controllo delle operazioni politicamente rilevanti.
In conclusione, non si possono avere globalizzazione, finanziarizzazione, democrazia e sovranità nazionale allo stesso tempo. Se i leader europei desiderano ancora mantenere la democrazia devono scegliere tra l’unione politica e la disintegrazione economica. Devono rinunciare in modo esplicito alla sovranità economica oppure metterla, in modo attivo, a servizio dei propri cittadini affinché ne traggano beneficio. In ultimo, bisognerebbe trovare nuovi leader perché quelli attuali non sono in grado di migliorare le cose, anzi si danno da fare per peggiorare le cose! ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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