Questa è la loro storia raccontata da Giuseppe, tetraplegico che ha visto scomparire, letteralmente, i suoi assistenti perché le forze dell’ordine li hanno fermati senza spiegazioni, facendogli poi vivere un vero e proprio incubo. Lui, rimasto solo e senza l’assistenza necessaria, è arrivato ad avere un malore. Riceviamo e pubblichiamo volentieri il resoconto di Giuseppe, capace di donarci una riflessione che va al di là della vicenda personale. Oggi vuole che certi fatti siano conosciuti da quante più persone possibile affinché i responsabili vengano individuati e rispondano del loro agire nel nome dei diritti fondamentali, della più elementare etica deontologica e del senso civico e umanitario.
Prossimamente pubblicheremo lo stesso testo in altre lingue. Preghiamo i nostri lettori di diffondere l’articolo il più possibile. Facciamo in modo che arrivi fino a Bruxelles!
Mi chiamo Giuseppe Idone, sono nato a Roma il 17.7.1962, dove risiedo. Sono un medico psichiatra e psicoterapeuta in pensione, coniugato, ho un figlio. Sono una persona con tetraplegia dal 1979 a causa di un trauma midollare.
Io e due miei assistenti di nazionalità indiana abbiamo passato la notte del 25 settembre 2023 presso l’hotel Holiday Inn City Centre, sito al n. 1 di Av. Rageot de la Touche, nella città di Tolone, in Francia. È qui che il giorno dopo si è compiuta la grave violazione della dignità della persona che i miei due assistenti ed io abbiamo vissuto. Parliamo di diritti negati nel cuore dell’Unione Europea.
Storia di Giuseppe, tetraplegico, e dei suoi due assistenti di nazionalità indiana. Dove e quando si sono svolti i fatti
Ci siamo recati in Francia partendo in macchina da Roma il 21 settembre, avendo come meta finale la città di Lourdes, che abbiamo raggiunto dopo alcune tappe. Da Lourdes siamo ripartiti la mattina del 25 settembre, e siamo giunti a Tolone la sera per trascorrere la notte con l’intenzione di rimetterci in viaggio la mattina successiva, 26 settembre, per Genova.
La mattina del 26 ci siamo recati a fare colazione presso il Bar de la Marine, al n. 1 di Pl. Gabriel Péri, a poca distanza dall’albergo.
Dopo colazione, ho detto ai miei amici che sarei andato per una breve visita verso il porto di Tolone; utilizzo una sedia a rotelle elettronica che mi consente di muovermi autonomamente anche negli spazi urbani.
Ci siamo salutati e loro si sono avviati a piedi verso l’albergo per mettere i bagagli nella mia macchina Ford Transit, per partire per Genova alle 10.
Mi ero già avviato verso il porto quando i miei due assistenti, dopo pochi metri dal bar, sono stati accerchiati dalla polizia di frontiera che li ha obbligati a seguirli alla loro sede distante pochi metri, al n. 33 di Rue Berrier Fontaine.
Sono stati obbligati a togliersi le scarpe, la cintura, di esibire i documenti, perfettamente in regola per due cittadini extracomunitari che sono in Italia da moltissimi anni con permesso di soggiorno di lavoro.
Il personale della polizia di frontiera non ha creduto e dicendo, con sorrisetti, che si trattava di documenti falsi, gli ha sequestrato i cellulari e gli ha imposto di mostrare le mail.
Le vessazioni da parte della polizia di frontiera. Le minacce, il fermo immotivato
Gli sono state fatte domande del tipo: “Chi è il presidente dell’India?”, “Chi è il primo ministro dell’India?”, “Dimmi alcuni nomi di città indiane”. Poi, uno dei due cittadini indiani ha chiesto a un poliziotto quale fosse il motivo del fermo e lui gli ha risposto che glielo avrebbe notificato il giorno dopo il giudice e che quindi li avrebbero tenuti lì per almeno 24 ore fino a decisione del magistrato. Li hanno intimati di non fare ulteriori domande altrimenti sarebbero stati chiusi lì per altri 20 giorni.
È stata chiesta una prova del giorno e dell’ora in cui sono entrati in territorio francese e loro hanno fornito l’Sms che normalmente arriva sui cellulari quando si varca il confine di un paese straniero. Il poliziotto ha letto ridacchiando il messaggio Sms e ha aggiunto subito dopo che il cellulare apparteneva ad un’altra persona. I due cittadini indiani, sempre più disperati, hanno detto ai poliziotti che dovevano assolutamente assistere una persona con disabilità che li stava aspettando nell’albergo Holiday Inn City Center, a pochi passi da lì. Loro hanno risposto ridendo che questa persona disabile se la poteva cavare da solo.
Poi sono stati messi in una cella semibuia per ore.
Io ero ancora del tutto ignaro di questi eventi.
Sono arrivato in albergo alle 9.45 circa, non li ho trovati e ho trovato la macchina vuota.
Li ho chiamati tantissime volte ai loro cellulari senza avere risposta; ho pensato che fossero andati anche loro a fare una piacevole passeggiata, senza rendersi conto dell’orario e che non avessero sentito squillare il telefono.
Dopo un po’, squilla il mio cellulare; è uno dei miei due amici indiani, mi dice: “Giuseppe, ci hanno fermato, siamo al commissariato”. (Non poteva sapere si trattasse della polizia di frontiera). Dopodiché, il suo telefonino gli viene strappato dalle mani e una donna, con tono molto scortese e altezzoso, mi fa un discorso arrogante; non riesco a comprenderla bene, le chiedo se parla inglese, mi risponde alzando ancora i toni: “Pas du tout!”. E chiude il telefono.
Il danno recato a una persona con disabilità
Mi sono trovato nel panico totale, completamente perso; sono entrato in albergo e ho raccontato l’accaduto con immenso sconforto ai due gentili ragazzi della reception che mi hanno consigliato di andare al posto di polizia più vicino.
Sono andato con la mia sedia a rotelle al posto di polizia distante circa 1 chilometro, ma non mi hanno saputo dire nulla; quindi, sono tornato in albergo. Dalla reception hanno chiamato il Consolato Italiano a Marsiglia che mi è stato di grande aiuto, e hanno anche telefonato alla polizia che più tardi è arrivata in albergo. I poliziotti hanno chiamato tutti i posti di polizia e le gendarmerie della città che gli hanno detto che non c’erano cittadini indiani fermati.
A quel punto, una dei tre poliziotti mi ha detto che avrei dovuto fare la denuncia di scomparsa di due persone perché probabilmente erano stati rapiti. Io, sempre più disperato, ho chiamato mia moglie a Roma la quale era pronta a prendere l’aereo alle 6 di sera insieme a mio figlio di 11 anni e mezzo.
In quel momento ho cominciato a sentirmi male, a sentirmi mancare; fortunatamente nell’albergo, oltre alla disponibilità dei ragazzi della reception, c’era anche un ragazzo italiano che stava temporaneamente a Tolone per motivi di lavoro. Gli ho chiesto aiuto, ho basculato la mia sedia a rotelle per poter stare con la testa più reclinata, ho chiesto di tenermi la testa e ad un ragazzo della reception di alzarmi le gambe per far salire un po’ la pressione, di aprire la camicia e la cintura perché respiravo molto a fatica. Ho chiesto di bere una bevanda fredda e molto zuccherata per bloccare i prodromi di un collasso.
A quel punto, la reception ha deciso di chiamare un’ambulanza perché si erano spaventati molto anche loro.
Dopo circa 15 minuti, inclinato e con le gambe in alto, mi sono sentito leggermente meglio, mi sono riposizionato e abbiamo disdetto l’ambulanza. Purtroppo però, dopo poco tempo, come prevedevo, ho cominciato a sentire lo stimolo di svuotare la vescica, cosa che faccio inserendo nell’uretra, con l’aiuto fondamentale di un’altra persona, un catetere monouso.
Non potevo chiedere a nessuno del personale dell’albergo di aiutarmi in una manovra così particolare, quindi ci siamo messi a cercare su internet un infermiere disposto ad intervenire sul posto, ma non lo abbiamo trovato. Sono uscito dall’albergo e sono andato nella farmacia più vicina per chiedere se avessero avuto il nominativo e il telefono di un infermiere; fortunatamente lo avevano. L’ho chiamato, è venuto e mi ha aiutato per 20 euro; mi sono tranquillizzato ma l’odissea continuava perché ancora non si sapeva dove stavano gli amici indiani.
I due cittadini indiani vengono rintracciati, ma i poliziotti non danno nessuna rassicurazione sul loro rilascio. Si aggiungono altre minacce
Poche ore dopo, arriva una telefonata ad uno dei tre poliziotti presenti nell’albergo; mi dice che hanno trovato i due cittadini indiani presso la polizia di frontiera “per controlli”, e che non si poteva sapere quando sarebbero stati rilasciati.
Anche il Consolato italiano di Marsiglia, che ha seguito tutto e mi ha sostenuto minuto per minuto in questa assurda vicenda, mi ha chiamato per dirmi che i cittadini indiani erano ristretti nella locale polizia di frontiera.
Alle ore 15 circa, finalmente, dopo 5 ore di sofferenza e di tensione, vengono liberati e arrivano facilmente in albergo che distava dalla polizia di frontiera meno di 100 metri. Prima di lasciare la cella, i due amici indiani hanno chiesto agli agenti un rapporto scritto con il motivo del fermo; gli è stato negato aggiungendo che avrebbero potuto fornire tutte le ragioni per imprigionarli per sei mesi (preciso che i miei due amici e assistenti indiani sono due veri esempi di umanità, discrezione, compostezza, educazione).
Ci siamo finalmente rilassati, per quanto possibile, abbiamo mangiato qualcosa, ma prima di entrare in macchina per partire per Genova, ho voluto farmi accompagnare alla sede della polizia di frontiera. Mi hanno ricevuto due persone con sguardo arcigno e atteggiamento di supponenza; mi hanno subito chiesto il documento d’identità. Uno di loro mi dà una sua arbitraria spiegazione dell’accaduto dicendomi che i cittadini extracomunitari, anche se in possesso di documenti regolari per l’Italia, non avevano assolutamente diritto di entrare in Francia senza un permesso, e tantomeno di girare per la Francia guidando una macchina. Alla arcigna poliziotta (che era quella che mi aveva chiuso il telefono in faccia) ho detto che loro non possono fermare così le persone, soprattutto se assistono una persona con disabilità lasciandola sola; mi risponde, con ancora più arroganza e boria, che non ero solo perché ero in compagnia del personale dell’albergo. Ho detto che quando fermano qualcuno che dice di assistere una persona con disabilità, devono rilasciarlo almeno per il tempo utile per l’aiuto vitale; mi rispondono che non credono mai a ciò che le persone riferiscono. Non ancora soddisfatti delle loro spiegazioni, mi hanno anche detto che, prima di fermarli, avevano visto con le loro telecamere i miei due amici camminare da soli per i marciapiedi vicini alla loro sede; hanno aggiunto che questo non era regolare e che io avrei dovuto essere sempre presente vicino a loro.
Avrei voluto rispondere ma mi sono controllato.
Mi sembrava di stare in una caserma della legione straniera, in quel film di Stanlio e Ollio che da bambino vidi decine di volte perché mi faceva tanto ridere (da bambino).
Prima di congedarmi dal posto di polizia di frontiera, ho dato la mano ad uno dei poliziotti aguzzini, e lui mi ha porto il suo indice destro; poi hanno aperto la porta blindata, sono uscito da quel posto orribile e gli aguzzini hanno chiuso la porta sbattendola con forza e molto sonoramente.
Il ritorno a casa, umiliati e violati
Alle 16 circa siamo partiti umiliati e violati da Tolone.
Quella mattina di un giorno da cani, mentre andavo verso il porto di Tolone, mentre era appena iniziata ancora a mia insaputa questa storia kafkiana di ordinaria follia, mi sono trovato davanti al Palazzo di Giustizia e mi sono soffermato alcuni secondi a leggere e a riflettere su quanto scritto a caratteri cubitali sull’ingresso monumentale: Liberté Égalité Fraternité. Da quando ho letto della Rivoluzione francese, probabilmente dalle scuole elementari, ogni volta che vedo o che penso a queste parole, rimango colpito; anche quella mattina, davanti al Palazzo di Giustizia di Tolone, ho pensato ancora una volta che il popolo francese aveva insegnato tanto al Mondo in materia di Diritti Umani.
Quella mattina di un giorno da cani, poche ore dopo, avrei dovuto subire sulla mia pelle e i miei amici indiani sulla loro: odio, sadismo, intolleranza, ignoranza, vendetta. Ovviamente, tutto ciò che ho raccontato non ha nulla a che vedere con la totalità o con la mentalità (spesso colonialista) del popolo francese, ma non posso nascondere che prima di rivarcare la loro frontiera in un eventuale futuro, ci penserò più di una volta.
E lo affermo franco!
Episodi come quello che è accaduto a me e ai miei amici indiani accadono quotidianamente; ciò non dovrebbe ma purtroppo tutto proviene dal clima paranoico di non-fratellanza che si è creato in questo mondo ed epoca disfunzionali.
Dopo il ritorno nelle nostre case, sono comparsi i sintomi del disturbo post traumatico da stress in tutti e tre, noi che abbiamo in maniera diversa subito questo oltraggio violento dalla polizia di frontiera di Tolone.
Se non ci fosse stato l’intervento del Consolato italiano a Marsiglia, che ringrazio immensamente, che ha dialogato con il capo della polizia di frontiera di Tolone, i due malcapitati cittadini indiani sarebbero rimasti in cella almeno fino al giorno dopo.
E a me cosa sarebbe accaduto?
Parigi vale bene una messa! E Tolone?
E non passerà senza denuncia, anche alla Corte dell’Aja.
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Ringraziamo Superando.it e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) che hanno ripreso e commentato il nostro articolo contribuendo alla diffusione della storia di Giuseppe.