Il 26 agosto 1914 lo scrittore gallese Arthur Machen, autore nel 1894 della sua novella più famosa, The Great God Pan, scrisse una corrispondenza di guerra per l’«Evening News», in realtà un racconto: gli angeli di Mons.
Gli angeli di Mons, opera conosciuta come una delle più eclatanti manipolazione giornalistiche. Il bisogno di un mandato divino per fare la guerra
Si tratta di un clamoroso caso di manipolazione giornalistica e di suggestione collettiva. Machen affermò che una carica della cavalleria tedesca, che avrebbe sicuramente travolto la tradotta di soldati inglesi superstiti sul saliente di Mons, si arrestò improvvisamente ed inspiegabilmente. Secondo Machen ciò accadde perché nel cielo sarebbero apparsi, come una schiera angelica, una legione di spiriti equipaggiati come gli arcieri della battaglia di Agincourt, del XV secolo, guidati da San Giorgio. Per lo scrittore, conseguenza dello strano scontro fu la perdita di diecimila militari germanici, una cifra certamente inesatta ed iperbolica.
Nel giornalismo di guerra di allora, rigorosamente militante anche quando non militare, l’inesattezza e l’enfasi falsificatrice era considerata la norma, anche perché i corrispondenti non si spingevano fino ai veri e propri teatri di combattimento. Il racconto “impegnato” di Machen ebbe fin da subito un’eco straordinaria presso i lettori, i quali probabilmente volevano sentirsi raccontare di apparizioni benedette, aspettavano qualcosa come un sacro crisma sulle operazioni di guerra nel continente europeo: nell’inconscio collettivo del pubblico britannico il sovrannaturale doveva provare l’appartenenza delle truppe inglesi alla schiera dei giusti, e che l’impero stesso era una regione della “Repubblica degli spiriti” di cui parlò Immanuel Kant nel 1766.
Nei Sogni di un visionario (lo abbiamo già citato in questo articolo in relazione alla teologia di Swedenborg, ndr) il filosofo tedesco, esortato da alcuni amici a prendere posizione su uno dei maggiori successi editoriali del tempo, gli Arcana Coelestia di Swedenborg, prova a rispondere alla domanda se l pretese della metafisica possano fornire in una qualche forma una conoscenza vera.
Tra Spirituale e Spiritico. La Repubblica degli Spiriti: le domande di Kant 15 anni prima della Ragion pura
Il lettore accorto si sarà reso conto che si tratta della medesima tematica della ben più organica e approfondita Critica della ragion pura, ma in una versione pamphlettistica e di ben quindici anni precedente. Eppure l’importanza del piccolo libro non si ferma qui: in esso troviamo, a mio modo di vedere, la prima distinzione razionale – cioè elaborata alla luce del razionalismo di derivazione illuministica – fra spirituale e spiritico; distinzione forse non del tutto chiara neppure a molti dei nostri contemporanei.
Nei Sogni Kant si spinge anche oltre, pur lasciando tutto allo stato di appunto mentale sbozzato, ma non del tutto definito. Distingue, dopo aver dichiarato il concetto di “spirito” oscuro e ostico per la ragione umana, fra mondo degli spiriti, immaterialità volente (cioè fornita di determinazione e volontà) e la già citata “Repubblica degli spiriti”, verso la quale la ragione può inclinare senza tradirsi, in quanto descrivibile come una complessa unità d’intenti che, nel corso della storia, si è mostrata capace di indirizzare eventi e cambiamenti in varie, importanti occasioni.
Quando si parla del cielo come della dimora dei beati, l’opinione comune lo colloca al di sopra di noi nello spazio cosmico. Ma non si riflette abbastanza che la nostra terra appare come una stella del cielo, e che gli abitanti di altri mondi potrebbero allo stesso modo indicare nella nostra direzione e dire: ecco – la sede delle gioie eterne e il soggiorno preparato per riceverci, un giorno. Una meravigliosa illusione fa sì che la speranza sia sempre legata al concetto di salire, senza pensare che per quanto si possa salire, arriverà un momento in cui bisognerà scendere di nuovo per andare in un altro mondo.
Tutto rimanda all’inconcepibile privazione di risposte intorno alle questioni ultime, che ciascuno di noi sperimenta nel corso dell’esistenza. La sete di trascendimento, il bisogno quasi fisico di conoscere se avremo un destino ultramondano, quando si è già fissata in noi l’idea del quando – senza sapere con precisione quando accadrà tale trapasso, ne abbiamo già fissato la scadenza senza data, come capita a certuni eccessivamente, forse, cauti, che si fanno scrivere a lettere di piombo l’epitaffio sul marmo del sepolcro lasciando in bianco la data finale – spiega, secondo Kant, la ragione del successo di un testo oscuro, indigeribile e prolisso come gli Arcana coelestia.
Ben altro significato è attribuito dal filosofo alla “Repubblica degli spiriti”, alla koiné, al terreno comune e condiviso di tutte le intelligenze che si raccolgono, in una data era, con la non vana speranza di riuscire a comunicare con le intelligenze delle ere che seguiranno, inseguendole, per così dire, fin nel futuro remoto.
Gli Angeli di Mons, cosa c’è di vero nell’apparizione raccontata da Arthur Machen, maestro di Lovecraft
Tornando all’episodio di Mons, per quanto pragmatico possa essere il nostro approccio è difficile non nutrire qualche dubbio sul fatto che sia stata una semplice, per quanto brillante, trovata propagandistica.
Intanto, sulla fede nel sovrannaturale di Arthur Machen, l’autore dei misteriosi racconti scritti sotto la suggestione di Pan, dio dal piede caprino, che appare soltanto nel fondo della tenebra del mezzogiorno suonando la siringa, accompagnato da un corteggio di miriadi di spiriti elementali fra boschi, corsi d’acqua, radure non percorse da piede umano, insomma: sulla qualità visionaria di Machen non è lecito dubitare. Basterà ricordare che il celebrato H.P. Lovecraft, quello del Mito di Cthulhu, lo considerava il suo Maestro. V’è poi da mettere nel conto l’enorme sensibilità dei combattenti. Quei soldati che, fra i primi esempi nella storia, si trovano nella condizione di carne da macello in una guerra ad alta tecnologia distruttiva in cui entrano, in rapida sequenza, aerei, carri armati, sommergibili, dirigibili, obici, cannoni a lunghissima gittata come la famigerata Bertha tedesca, gas nervino e gas mostarda. Uomini terrorizzati e resi pazzi dai bombardamenti a tappeto delle artiglierie che preparavano gli assalti alle trincee; e infine l’arma bianca, il corpo a corpo, il celebre chiodo dell’elmetto prussiano usabile come arma disperata e di ultima istanza. Uomini che avevano in definitiva bisogno di credere, e che vedevano – anzi, per rispettare la cronologia degli eventi – avevano visto ciò che Machen dichiarò di aver solo immaginato.
Machen fu spaventato dalla eccessiva risonanza del suo articolo, e pubblicò una precisazione nella quale sottolineava che si trattava di un racconto e non di una cronaca, e che tutto era puramente frutto della sua fantasia. Nello stesso periodo Machen aveva ripreso il tema nel racconto The bowmen.
La cosa veramente singolare che era accaduta a seguito di una nuova pubblicazione – nell’immediato dopoguerra – fu che molti reduci della battaglia confermarono quanto raccontato da Machen; ed alcuni anni dopo anche numerosi militari tedeschi parlarono della presenza di spiriti bellicosi da cui erano stati sopraffatti.
Machen, Yeats, Crowley e il nesso con la Golden Dawn
Non so quale importanza possa avere, ma ricordiamo che Machen fu amico di William Butler Yeats e con lui e Aleister Crowley fece parte della Golden Dawn, o Ordine Ermetico dell’Alba d’Oro. I primi venti-trenta anni del secolo videro un pullulare di società iniziatiche e pseudo-iniziatiche. Per molte di esse il segreto più gelosamente custodito fu ciò che Nietzsche definisce Volontà di potenza; ed è stata forse proprio l’incrociarsi di tante diverse Willen zu Macht spesso individuate su base nazionalistica, a innescare la tragedia delle guerre mondiali, delle “inutili stragi” come disse Papa Benedetto XV con le migliori intenzioni di stigma e condanna (ma esistono, poi, stragi utili?), dell’ immensa carneficina che tolse agli europei – si spera, per sempre – la voglia di guerra e di egemonia mondiale.
Il “mito degli angeli di Mons” sembrava confermare il carattere sacro-ideologico della monarchia britannica. Gli spiriti più fini su questo punto osserveranno che anche oggi la monarchia inglese sembra più di ogni altra, fra quelle sopravvissute, prigioniera della sua pompa tradizionalistica, nello stesso tempo in cui il re d’Inghilterra reigns but doesn’t rule. Ed è il solo caso, a mia memoria, di una Chiesa e della sua massima autorità ad essere sottomessa a un sovrano, nell’Europa democratica moderna.
È indubbio che il racconto di Machen fu una delle fonti di quel “nazional-fascismo” che anni dopo sfociò nella formazione del BNP di Oswald Mosley; o più in generale, nella politica di non ingerenza inglese nei confronti delle ambizioni territoriali degli stati fascisti degli anni Trenta (Germania, Italia): espressione, in taluni ambienti della corte, di una malcelata simpatia per le dittature di una parte dell’aristocrazia britannica, incarnata da Charles Vane-Tempest-Stewart, settimo marchese di Londonderry.