I soloni della finanziarizzazione e della globalizzazione hanno enfatizzato, in questi anni, la necessità di fare sacrifici per evitare il “disastro”. Sulla base di tale dogma economico, tutto è stato giustificato, anche le aberrazioni come ridurre diritti o aumentare povertà ed emarginazione. Addirittura si è arrivato ad imporre governi tecnici, cambiando i governi eletti dai cittadini per far prevalere l’esigenza ineludibile – per loro – della economia finanziaria, in modo da aumentare sempre più i loro profitti. Questa politica, tuttavia, era spacciata quale unico modo per creare ricchezza per tutti e per realizzare sviluppo duraturo.
Pertanto, tutto doveva esser funzionale alle logiche del “neo liberismo” compresa la politica. Infatti, per evitare opposizioni, si enfatizzava il principio della necessità di governance, osannata quale efficiente partecipazione democratica. Questo principio, invece, è stato utilizzato e solennemente celebrato per delegittimare e soffocare il conflitto sociale, ma, soprattutto, perché priva di quegli elementi caotici tipici degli esercizi di democrazia, non riassorbiti nella rappresentanza.
Tuttavia le caratteristiche della governance, termine alquanto variabile nei suoi significati, si sono rivelate, a seguito della crisi in atto, ben diverse dalle promesse.
Ed è un fenomeno che riguardato tutto il mondo, compreso l’Europa.
Governance significa governo tecnico, cioè governo delle oligarchie
Infatti tutta l’Europa si è dotata di una sua governance di natura essenzialmente finanziaria, il cui interlocutore principale è la rendita e la cui missione è conservare e riprodurre gli attuali rapporti di forza tra i soggetti sociali così come tra gli Stati. E questo ha sospinto gli Stati membri a rendersi efficaci articolazioni degli imperativi liberisti, eliminando tutto ciò che li poteva ostacolare.
In tal modo, la governance si fa “governo”, non certo governo politico di cui si invoca retoricamente la necessità di una legittimazione democratica, ma “governo tecnico”, che altro non è se non il governo delle oligarchie.
Questa centralizzazione tecnocratica del potere, destinata a sfociare in un dispotismo tutt’altro che illuminato, ha usato, come si diceva, il terrorismo finanziario per giustificare il suo insediamento non elettivo al governo e, di fatto, comprime ogni forma di democrazia e partecipazione politica.
Anche in Italia il fenomeno non è stato da meno. Servizi, salute, gestione rifiuti, acqua, sono stati consegnati all’interesse privato per una competizione inesistente. Scuola, Ricerca, Università e Sanità allo sbando
Insomma, il liberismo finanziario, secondo la prassi dei regimi ex comunisti, ha attuato la vecchia idea di pianificazione, ma questa volta al servizio dei “mercati”. È stato promosso – in nome di una inesistente concorrenza – l’interesse privato nella gestione dei servizi pubblici, dai trasporti allo smaltimento dei rifiuti, alla gestione delle reti idriche.
I risultati di queste scelte sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dallo stato in cui versano la scuola, la ricerca e l’università, all’erosione di redditi e dei diritti sociali e politici per finire col sistema sanitario nazionale, che le politiche di rigore – come ebbe a dire Monti poco tempo prima di dimettersi – lasciavano prevederne la non sostenibilità delle prestazioni finora erogate. Nella Pandemia è venuto fuori, con molta evidenza lo stato della Sanità che ha ridotto enormemente le prestazioni e la capacità di cura. Oltretutto è stato aggravato il tutto con politiche di continui tagli di risorse e con normative dirigiste che si sono abbattute sui diversi servizi pubblici della cosiddetta “spesa pubblica”.
Noi riteniamo che il progresso della nostra civiltà, altamente tecnicizzata, deve permettere all’umanità non solo il godimento delle sue conquiste economiche, che si vanno, sempre più, concentrando velocemente nelle mani di pochi, ma soprattutto non deve impedire che anche le conquiste politiche e sociali progrediscano come quelle tecniche ed economiche. Tutto ciò pone anche il bisogno di un rinnovamento profondo dell’azione della politica e del sindacato. Appare evidente, quindi, la necessita di modificare anche l’attuale azione del sindacato, con un rinnovamento che deve coinvolgere la struttura, i rituali e la strategia al di fuori della fabbrica. Il controllo dal basso può essere esercitato solo da organismi democratici eletti da tutti i lavoratori e funzionanti all’interno della fabbrica.
È ora di abbandonare la governance e tornare a fare governo, riprenderci a cuore un’opera che sia valoriale
In conclusione, se non vogliamo sperare nel continuare nella buona sorte e se non vogliamo vivere nel ricordo del passato dobbiamo riprendere un’opera di formazione valoriale con azioni o con parole, per ridare centralità alla solidarietà, alla coesione, all’uguaglianza, alla libertà e alla tolleranza, alla cultura del dialogo, con idee e valori che puntino al rispetto del pensiero altrui.
Diventa sempre più difficile restare fedeli ai principi e al sistema di valori di cui è intrisa la cultura politica che è nata nel Novecento in una società profondamente trasformata dagli interessi di pochi, dalle leggi di uno sviluppo economico senza regole, dall’affermazione del consumismo, dell’edonismo, del narcisismo, dalla competizione selvaggia.
Per questo dobbiamo fare lo sforzo di riportare di nuovo quei valori nella società in modo da recuperare il senso della vita e ridare centralità alla solidarietà, alla coesione, all’uguaglianza e alla libertà. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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