Ho qualche domanda da farti. Romanzo di Rebecca Makkai

Rebecca Makkai e la filosofia della violenza nell’età contemporanea

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Ho qualche domanda da farti di Rebecca Makkai esce in Italia per Bollati Boringhieri

Solo perché non riesci a immaginare qualcuno che fa qualcosa, non significa che non ne sia capace

Rebecca Makkai pubblica I have some questions for you nel 2023 e il 12 marzo 2024 uscirà la traduzione italiana per la casa editrice Bollati Boringhieri: Ho qualche domanda da farti. Negli USA, l’autrice si è già fatta spazio nel panorama della narrativa contemporanea americana, non solo perché ha scritto un thriller i cui meccanismi girano perfettamente, il cui risultato finale è una storia avvincente, ma perché si fa cara alle tematiche della letteratura, portando al suo interno tematiche che hanno un certo peso sociale.

Trama del romanzo

Ho qualche domanda da farti. Romanzo di Rebecca MakkaiIl romanzo narra la storia di Bodie Kane, una docente di cinema e una podcaster, che racconta anche vari episodi legati al true crime. Il suo passato, però, è oscuro quanto quello delle vittime di cui parla nei suoi brani: nel 1995 la sua compagna di stanza alla scuola di Granby, Thalia Keith viene uccisa, e per anni Bodie cerca di non incastrarsi più in quei ricordi, illudendosi che la scelta della polizia di arrestare Omar, il ragazzo che tutti pensavano intrattenesse una relazione sessuale con Thalia, fosse la scelta giusta, ma i conti non tornano e Bodie continua ad essere ossessionata dai pensieri del passato, con il dubbio che forse avrebbe potuto cambiare le conseguenze della vicenda, comunicando segreti di cui era a conoscenza, ma che non aveva rivelato alla polizia. Dopo anni, Bodie viene invitata ad insegnare proprio alla Granby ed è in quel momento che si apre nuovamente la porta sul delitto, una porta che ha cercato di tenere chiusa per anni ma dalla quale i fantasmi del passato fuoriescono e non hanno intenzione di tornare indietro.

Dormi bene? Sogni? Nei tuoi sogni vieni perdonato?

Ho qualche domanda da farti: La morte come dominio pubblico

Mi nausea il modo in cui la loro morte sia diventata di dominio pubblico, persa in ostaggio dall’immaginazione collettiva. Mi disturba il fatto che le donne sulla cui morte mi soffermo siano per lo più belle e benestanti. Che siano quasi tutte giovani, proprio come immaginiamo gli agnelli sacrificali. E mi disturba il non essere sola nelle mie fissazioni.

Rebecca Makkai usa in modo perspicace la figura professionale di Bodie Kane per illustrare un tema molto attuale, che ci fa percepire la morte degli altri in maniera differente. La stessa Bodie ha un pubblico che la segue proprio perché analizza omicidi di persone che non conosce e per i quali sviluppa una sorta di ossessione nel ricercare i dettagli per poterne narrare la storia. Questo non è un fenomeno che ci è nuovo, se pensiamo all’ultimo decennio, possono venirci facilmente in mente altre persone che hanno creato canali di divulgazione simile. Sarà una questione intrinseca dell’essere umano, quella di aver bisogno di comprendere come una vita possa spezzarsi in modo così effimero? O è forse un pensiero legato al fatto che non crediamo più nelle nostre giurisdizioni e che ci ritroviamo a sentirci spaesati, senza un vero e proprio controllo che possa salvarci da chiunque voglia farci del male? Di conseguenza, il bisogno primario diventa quello di farsi capostipite della propria incolumità, ricercando, nelle storie degli altri, dove si nasconda la parte fallata del nostro sistema.

La spettacolarizzazione degli omicidi

Il termine “tana buia” ci fa pensare ad Alice che precipita giù, ma quello che intendo è una vera e propria tana buia del coniglio, con i suoi infiniti tunnel circolari, i percorsi ramificati e tutta la claustrofobia che ne consegue.

Rebecca Makkai descrive in questo modo la sete di conoscenza della morte delle vite altrui, un senso di soffocamento che ci fa affamare e che ci risulta impossibile non seguire.

Il sangue resta

Diventiamo sciacalli di un sistema rotto, che non ci fa percepire alcun sentore di sicurezza e, come polo opposto, ci ritroviamo ad essere bestie feroci pronti a parlare delle vite altrui, a divorarne quello che rimane, a portarci il loro sangue addosso, pur di far parte di questo circolo infinito di dubbi e possibili verità. Per sentirci parte di un ente giustiziere, che nella notte si avvinghia agli avvenimenti del passato, con lo scopo di trovare un senso all’atto disumano di togliere la vita di un’altra persona. Il problema è che un senso esistenziale non c’è.

“I crimini violenti sono quasi tutti noiosissimi. La stragrande maggioranza degli omicidi coinvolge due giovani che hanno un alterco e uno uccide l’altro. Se si scava a fondo nei crimini irrisolti, o tra virgolette interessanti, si scopre che nella maggior parte dei casi un uomo uccide il suo o la sua partner. Quindi o parli di razzismo strutturale, violenza domestica, problemi di sicurezza, oppure finisci per scegliere una storia che risulti interessante per qualche aspetto specifico. Di solito qualcosa che rompe un po’ con i soliti schemi. Il timore è che questi possano essere rappresentati in modo errato. Certo, c’è la tentazione di sensazionalizzare le cose.”

Ho qualche domanda da farti sulla… violenza di genere

Sapientemente, Rebecca Makkai, oltre a scandagliare il modo in cui ci poniamo nei confronti dell’aggressività nella società contemporanea, crea uno specchio necessario che riflette le conseguenze della violenza sulle donne ed è qui che il romanzo prende una piega fortemente riflessiva su tutti quegli abusi silenziosi che molte donne hanno subito nel corso degli anni. Il personaggio di Bodie Kane riflette non solo sulla contemporaneità, ma su come la prepotenza de generis abbia avuto un ruolo che è sempre passato in sordina. L’autrice crea una sorte di timeline e pone l’attenzione sul cambiamento della nostra percezione come esseri umani nei confronti di tutti quei soprusi che sono rimasti silenti per molto tempo e che, in modo malsano e deleterio, hanno lasciato un seme nelle vite di molte persone, che se dapprima appare insignificante, si trasforma posteriormente in una pianta carnivora pronta a divorare l’animo della vittima dall’interno, danneggiandola per l’intero periodo della sua esistenza; perché una violenza non è mai rinchiusa in un evento unico, ma ha spettri ampi che contaminano tutto quello che c’è attorno, lasciando dietro di sé una scia di traumi rilevanti.

A distanza di anni è chiaro: ero impegnata a cancellare il mio corpo. […] Se avevi un corpo potevano prenderti, se avevi un corpo potevano distruggerti.

Il romanzo diventa una missiva bruciante di furore contro tutte le brutalità rimaste nascoste, inviolate, lasciate marcire fino a creare un’esistenza autonoma di nocività, che si impiglia nei ricordi del passato pur di non essere elaborata nel presente.

La correlazione tra oppresso e oppressore

La particolarità del personaggio di Bodie Kane sta nella sua umanità, Rebecca Makkai non ci presenta un personaggio perfetto, abbatte gli schemi del “politicamente corretto”, portando un carattere nella sua interezza, un’entità all’interno di questa nuova società che mette in atto meccanismi che fatichiamo ancora a comprendere. Si chiede quale sia il valore della giustizia e ci mette davanti al dilemma di credere o meno all’oppressione, alla speculazione che viene creato dopo ogni atto violento. Sarà successo davvero? Starà mentendo? Il chiedermi se stia mentendo è malsano? Dovrei credere a chi ne parla senza farmi domande? È sbagliato esprimere pareri personali sulla violenza altrui? Difendere qualcuno che agli occhi di tutti appare come il carnefice, perché io credo che sia innocente?

La correlazione tra oppresso e oppressore è il nucleo del romanzo, poiché l’autrice non solo aggroviglia le vicende narrative attorno alla violenza di genere, ma cerca di comprendere il ruolo maschile all’interno della società, tanto quanto quello femminile. Seppure la base del pensiero sia un’attenta considerazione delle ripercussioni del maltrattamento della figura della donna all’interno della nostra società, non tiene al di fuori quella che si scatena sugli uomini, spesso più presente a livello psicologico che fisico. Il grande contributo del romanzo di Rebecca Makkai è l’equilibrio di indagine tra potere femminile e potere maschile e cosa accade nel momento in cui l’uno prevale sull’altro; non si aggrappa quindi alle comodità sociali di far ripercuotere la violenza su uno stretto raggio d’azione, ma ne sonda i meccanismi nella sua totalità, creando una riflessione che va a coprire ogni atto nocivo verso l’altro.

È attraverso l’omicidio della studentessa Thalia Keith e il ritorno a Granby della docente Bodie Kane che riusciremo a rimanere piacevolmente coinvolti da un thriller sorprendente, che non rimane slegato da tematiche sociali, anzi, le innesta al suo interno e le rende vive, palpabili, portando a galla i ragionamenti scomodi che nel 2024 ancora non riusciamo a gestire e ci fanno conseguentemente sentire impotenti.

Ho qualche domanda da farti è uscito il 12 marzo per Bollati Boringhieri e si presenta già come un libro adatto a capire il sistema della nostra società, regalando al contempo una lettura piacevole dalla quale è difficile distaccarsi.

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