Pubblichianmo oggi la seconda parte del racconto Il Cavaliere e i Satanisti tratto dal più corposo Il cavaliere stanco, del nostro Franco Garofalo. Qui i lettori e le lettrici troveranno la prima parte. Buona lettura.
Fra il 1998 e il 2004 fra Somma Lombardo e Arsago Seprio, provincia profonda ai confini fra Lombardia e Piemonte, imperversò una banda di balordi facili all’assassinio per noia e per assenza di significato della vita che dopo tre delitti accertati, sei presunti e un’induzione al suicidio furono finalmente fermati, prima che finissero per ammazzarsi a vicenda coerentemente con i presupposti, certo singolari, della loro setta. I lettori più attenti penseranno al Club dei suicidi di R.L. Stevenson, in cui chi si rifiutava di eseguire puntualmente il voto di togliersi di mezzo veniva perseguito dagli altri membri. E in effetti la scabrosa storia delle “Bestie di Satana” merita qualche interesse e non solo come caso criminale. Nel loro richiamarsi al satanismo privo di qualsiasi reale retroterra spiritualistico, ma solo per le suggestioni più o meno subliminali presenti nei gruppi musicali del genere dark o black metal le Bestie hanno, del tutto involontariamente è bene dirlo, inaugurato la corrente dell’analfabetismo esoterico, oggi ben insediata fra noi. Il cavaliere impersona il narratore, che assiste in diretta alle turpitudini del gruppo.
Il diavolo fa le pentole, al resto ci devi pensare tu
Si uccide per uccidere, lo scopo delle Bestie è di non aver alcuno scopo, si uccide perché è un’azione che porta a conseguenze gravissime le quali, però, non si avvertono subito; l’ambiente, diciamolo pure, è anestetizzato, e viene da pensare quanto sia incredibile che un papà a cui la figlia sottrae una calibro 38 a tamburo, che spara proiettivi capaci, appunto, di cancellare i connotati dello sparato e di ridurgli la faccia ad un compost di ulcere, non se ne dia per avvertito e si limiti ad una scrollata di spalle e ad un bofonchiamento.
Nessuno si preoccupa di cosa facciano, della loro giornata, dei vaghi dai 18 ai 28 o 30 anni, tutti uniformemente neri e capelluti, perché spille, borchie e tatuaggi fanno ormai parte del panorama; tanto si conoscono i genitori, tanto basta come garanzia; e poi al Midnight a Milano ci vanno tutti, si sa che quando arriva il gruppo, i Lambs of God o i Disturbed, si inneggia a satana, alla crudeltà, alla follia, insomma a tutti quei deliziosi tormenti che accompagnano la storia del capitalismo dal XVIII secolo ad oggi, questo modello economico in cui si è troppi a vivere, e in cui è sempre troppo tardi per morire. Noi eravamo inutili, e mai fioriti al senso della vita, potrebbe essere la seconda didascalia ai cristalli liquidi, in stile Oregon Scientific, che aleggia sui nostri due giovani assassini. Certo, Lisa è ancora molto giovane, ma assolutamente determinata: avrebbe voluto essere lei a sparare per prima e, in effetti, vi confesso (sono un Cavaliere, non posso nascondere troppo a lungo elementi essenziali alla comprensione della scena del crimine) che se guardate bene, la ferita di Mariangela è molto più compatibile con una fucilata da apprezzabile distanza, che con un colpo di calibro 38 a bruciapelo; non voglio dire nulla, ma traetene le vostre conclusioni; la Ballarin avrà avuto desiderio di apparire più realista del re. Non è che perché sono diciottenne non so far fuori la tua ex fidanzata. Oltretutto è più grande, sono gelosa, ovviamente in modo patologico! Decidete voi, allora, cosa è successo.
Sfortunatamente Mariangela non è morta sul colpo. Ma come? Non dovevamo compiere l’atto rituale? Il delitto non ti porta per mano? Il demonio non completa l’opera con la sua plurimillenaria abilità di artigiano, una volta che tu hai messo in pratica la volontà di dare forma ai suoi malvagi suggerimenti? Mariangela è ancora viva, ma soffre molto. Chiama Nicola. Che stai facendo? Mica sono il vostro burattino, che c’ è? Senti, qui c’ è un problema serio, meglio se vieni subito. Cosa avete combinato? Mariangela. Chi? Mariangela, gli ho sparato. Ah beh, era ora, era da tanto che dovevi farlo, ma cosa c’ è adesso? Liberatevene, cazzo. Pare facile, non è ancora morta, vieni su dai. Io? Ma non potete fare da soli, una cazzo di cosa nella vita? È lì Lisa? Fatti aiutare – ma no ma no, cazzo, stiamo andando in paranoia, ora mollo tutto e me ne vado al diavolo (driiin, suona il campanello nelle tempie di Nicola, lo stimolo che arriva forte e chiaro, di questo qui non ci si può fidare) No aspettatemi, che arrivo.
Non so se lo sapete, ma c’ è un limite fisiologico oltre il quale l’assunzione di droga paralizza qualsiasi iniziativa, è reso impossibile agire in vista di un fine determinato; quando arriva Nicola i due assassini stanno girando in tondo, in un caos indescrivibile, a terra c’ è Mariangela e girano intorno a lei e, a volte, le si rivolgono come se potesse sentirli ancora. Che fate? Niente, voglio parlarle. E poi, la famosa frase, uscita intatta persino dai processi e dai tre gradi di giudizio: non sapete uccidere neanche una ragazza! Dai, Nicola, trascinala nella serra, fai vedere come si fa a questi due incapaci. Ora, non si può propriamente dire che si lamentasse, di fatto era già andata, non c’ è più niente da fare, gran parte del cervello deve essere danneggiato ma non riesce a finire, non arriva un collasso pacificatore, le funzioni vitali si rifiutano di cedere. Questo trascinamento è già un trascendimento, la tanto sospirata collaborazione del Nemico di Dio. Nicola è più scrupoloso nel non trascurare dettagli, nelle mattanze; lo manda ai matti la faciloneria dei due debosciati: sicuramente hanno agito – suprema vergogna per loro – azzoppati da scrupoli e sensi di colpa. Ma come si fa ad essere satanisti acidi, e provare sensi di colpa? Una vera vergogna.
Non si può propriamente dire che si lamentasse, ma quel corpo ha scariche elettriche che l’attraversano, e poi da quella che era la sua testa sale un borbottìo, un gorgoglìo, uno ciangottìo potrei dire. A parte che si vede pochissimo; c’ è qualche lampada da giardino accesa là fuori ma la luce è talmente pallida (lampade opportunamente a basso consumo), talmente fioca che nella serra quasi si sente il sibilo delle tenebre che dilagano. Ma questo pallido chiarore può bastare, per le ultime operazioni. Dammi il badile, quello lì. Eccolo. Spacchiamole la testa. Pochi colpi bastano. Con tutte le forze e dall’ alto in basso.
Mariangela non c’ è più. È fatta. Ora seppelliamola. Ma chi ha voglia, dopo una serata simile, di fare questa schifosa faticaccia? Nicola scava un po’ ma più nell’ agitazione del momento che per fare una vera e propria fossa; a parte che è gennaio, la terra è dura, quasi ghiacciata. E alla fine la seppelliscono in tre e pure male, lì sotto poche dita di terra, quasi potresti contarli i granuli di terriccio da giardino che gli hanno rivangato sopra, dopo aver lacerato sacchi giallini con su scritto: “arricchito con sali minerali”; il tutto eseguito con superficiale ignoranza, dato che in questo momento da Mariangela non può nascere nulla, nessun virgulto, nessuna nuova piantina, non è mica Lisabetta da Messina della novella di Boccaccio, che seppellì la testa dell’ amante morto in un vaso, da cui poi rigogliosa crebbe una pianta di basilico.
I tre assassini – a loro si è aggiunto Nicola, prima riluttante poi, davanti alla corroborante violenza, con maggior piacere – nonostante l’infame gelo notturno del bosco di Golasecca devono detergersi il sudore, che sgorga copioso dalle loro fronti. Liberatisi del cadavere, così perlomeno credevano, ma ben vediamo di quante cose fanno rapido calcolo per poi questi calcoli sbagliare, restava la questione di come liberarsi della macchina di Mariangela, la Uno. È sempre Nicola ad organizzare la bisogna: a pochi chilometri c’ è un viadotto sul Ticino, ma in realtà crede sia un viadotto ma non ci è mai stato sopra, comunque il fiume adesso è ben gonfio di acque e scorre tumultuosamente. Bisogna portare fin là l’auto e gettarla e farla inabissare; Andrea alla guida con Nicola accanto avrebbero invece portato l’auto del padre della Lisa (lo stesso del revolver). Che poi più che un viadotto si tratti di una chiusa, questo è per loro dettaglio di poco conto. Tutt’ altro che di poco conto, perché un viadotto è carrozzabile mentre una chiusa non lo è, e sarà proprio questa trascuratezza a perderli. Insomma i nostri vanno, percorrono piccole vie di terra battuta, ma siccome si gela e non piove, il sottobosco non li fa impantanare.
Elisabetta-Lisa, oltre che omicida e complice, è strafatta oltre ogni dire; già è difficile guidare in quelle condizioni su strade accidentate e poco battute, ma ecco affiorare un ulteriore problema: lei sente di non essere da sola in auto. Dietro percepisce i fari dei complici compagni, dell’auto di famiglia sua. Ha la sensazione che un’ombra si muova sul sedile del passeggero; si volta di scatto, non c’ è nessuno, ma quasi va a sbattere contro un tronco robusto di conifera. Intanto il Ticino, gonfiato fin dalle fonti, e la sagoma del ponticello, si possono intravedere fra i rami; Lisa crede di vedere qualcuno sul sedile posteriore e sente cristalli di ghiaccio paralizzarle il flusso di sangue nelle vene.
Questa volta non vuole voltarsi, tanto non ci sono dubbi, lei è lì, la morta, Mariangela, il verro innocente, la vittima sacrificale, e sacrificata senza un solo moto di umana pietà, sta lì nella macchina, d’ altronde è sua, ne ha ogni diritto. Lisa grida, grida forte, questo sì: grida che le rimbombano nelle orecchie come se, in questo caso, fosse un estraneo a gridare e lei ad esserne assordata. Sta imboccando il ponticello; nessuno le ha spiegato cosa fare per liberarsi di quell’ auto che immediatamente li denuncia, anche perché la chiusa ha un muretto di circa un metro, da una parte e dall’ altra, per tutta la sua lunghezza, oltre ad un casotto in cemento armato giusto nel mezzo, ed in mezzo qualcosa che al massimo potremmo definire un camminamento, dove neanche un tre ruote riuscirebbe ad infilarsi.
Siccome la confusione è grande, con uno spettro molto maldisposto dietro le spalle, due complici inutili perché fuori tiro di voce, una pazza che strilla senza fermarsi Lisa, invece di fare l’unica cosa ragionevole e cioè fermare ed accordarsi con gli altri sul prosieguo, accelera sul ponticello e va ad incastrarsi nella implacabile strettoia di cemento, ad una velocità discretamente alta, e quindi, con un notevole contraccolpo che le fa sbattere i denti sullo sterzo. Ha la bocca insanguinata, un sapore acre e dolciastro che lei conosce bene, per averlo avidamente succhiato durante i rituali. L’ abitacolo le gira intorno, come una trottola impazzita; naturalmente è solo un effetto speciale, qualcosa di neurologico, sta per svenire, allora cerca di aprire lo sportello per uscire dalla Uno: ma lo sportello è bloccato da uno dei muretti, e quello accanto dall’ altro, muretto. Nel frattempo, vedendo cosa sta succedendo alla sua ragazza, anche Andrea è andato a sbattere contro una balaustra di ferro e si è fermato di traverso, e Nicola per non sbattere la testa si è protetto con i gomiti. Guardano con orrore il finestrino lato guida della Uno portata da Lisa andare in frantumi, anzi, polverizzarsi. Sicuramente nelle menti ossessionate si fa strada l’immagine di un terribile mostro che sta dilaniando Lisa, la quale si dibatte furiosamente; ed immaginano che l’abitacolo stia scoppiando. Senza una parola, Nicola scende dall’auto e sparisce in un attimo nel bosco, Andrea ora è solo. E solo deve affrontare l’inevitabile; vuole vedere cosa sta succedendo dentro la Uno maledetta, certo che il mostro selvaggio, una volta sminuzzata Lisa, salterà addosso anche a lui. Con fatica e strisciando le ginocchia sulla muratella del ponte vede, fra i frammenti del vetro-pane del finestrino, una Lisa esanime.
Deve essere morta, non c’è più niente che lui possa fare. In una sola serata ha ammazzato una ex fidanzata, e assistito alla dipartita dell’attuale. La sua naturale condizione di solitudine, e di abbrutimento nella solitudine, è tornata a ghermirlo; pazzo lui a credere di poter sfuggire al suo destino; si era fatto adoratore del demonio per avere uno scopo, sia pure strano e alquanto paradossale… Ora era tornato nelle braccia della mater lacrimarum, che non perdona i figli sfuggenti; ma tanto nessuna delle Madri perdona, in nessun caso.