L’accessibilità e la fruizione dell’Arte richiamano la sua originaria funzione di scrigno di memoria, di trasmissione del pensiero filosofico, religioso, estetico e culturale a cui, come recita l’articolo 27 comma 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: «Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente [partecipando] alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici».
La sepoltura di Gesù
Dal Vangelo secondo Marco 15:42-46
Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d’Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia.
Iconografia del Cristo morto
Il tema iconografico della Deposizione (dalla croce e nel sepolcro) e il Compianto sul Cristo morto ha avuto, a partire dal XIII secolo, un’enorme diffusione nell’arte sacra sia nel campo della pittura sia in quello della scultura.
La scena del Compianto, che riguarda gli avvenimenti immediatamente successivi alla morte di Gesù, non è chiaramente descritta in nessuno dei Vangeli. Gli artisti hanno immaginato lo stesso dolore che ogni persona prova alla morte di un proprio caro e così lo hanno dipinto o scolpito: Gesù tra le braccia di sua madre, pianto dalle donne e dai discepoli. Questo momento segue la deposizione del corpo dalla croce e precede i preparativi per la sepoltura che, nel caso di Gesù, non poterono essere fatti perché egli morì circa tre ore prima che iniziasse il Sabato e non vi sarebbe stato il tempo di seguire il ben preciso rituale funebre, visto che la Legge mosaica non permetteva di fare alcun tipo di lavoro durante il Sabato. Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo trasportarono il corpo nel luogo della sepoltura, sospeso entro il lenzuolo funebre, la sindone: un tessuto di lino finissimo che fungeva da lenzuolo rituale per
avvolgere i cadaveri prima del seppellimento. Solo la domenica, le donne avrebbero potuto completare sul corpo di Gesù i riti funebri prescritti: profumarlo, cospargerlo d’olio e quindi bendarlo.
Il telo misurava circa 4 metri in lunghezza e oltre uno in larghezza; il corpo veniva avvolto morbidamente e non vi erano né cuciture né nodi, proprio per rimandare simbolicamente alla caducità della vita. L’uso di velare il defunto, con vari significati cultuali e culturali, si protrae nel tempo ed è quindi molto realistica la realizzazione della velatura del Cristo morto, effettuata per la prima volta dal Sanmartino.
La prima rappresentazione del Cristo Velato è, però, di Antonio Corradini che ne aveva realizzato il bozzetto in terracotta, su commissione del principe di Sansevero, Raimondo di Sangro, per la Cappella funebre della famiglia.
Una istantanea perenne
Il Cristo Velato di Sanmartino si trova a Napoli, nella Cappella Sansevero, nota in tutto il mondo come monumento funebre capolavoro dell’arte barocca e, nello stesso tempo, tempio esoterico. La cappella accoglie, oltre alle tombe della famiglia dei Principi di Sansevero, molte opere d’arte, la più famosa delle quali è proprio il Cristo Velato.
Raimondo Di Sangro, settimo principe di Sansevero, desiderava come suo monumento funebre «una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua» e ne affidò la realizzazione ad Antonio Corradini che aveva già scolpito per la Cappella Sansevero la Pudicizia, statua velata rappresentante la madre del Principe, morta giovanissima. Corradini fece il bozzetto in terracotta, ma non poté realizzare l’opera perché morì improvvisamente nel 1752.
Il giovane scultore Giuseppe Sanmartino non esitò a proporsi per realizzare l’opera che il Principe desiderava e, ricevuta la commessa, la realizzò da due blocchi, uno in
marmo di Carrara per il corpo del Cristo, il velo che lo ricopre e gli strumenti del supplizio e l’altro in marmo colorato per la coltre su cui poggia il materasso che accoglie il corpo. Il velo di tessuto finissimo che copre il corpo è talmente ben reso da sembrare reale e non scolpito nel marmo. Lo stesso Raimondo di Sangro scrisse che era «fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori».
È questa la prima volta che il corpo del Cristo morto viene rappresentato avvolto nella sindone: è l’istante in cui Gesù, semplicemente avvolto nel lenzuolo, è solo nella tomba scavata nella roccia.
Il virtuosismo dello scultore nel realizzare questa istantanea ha dato adito, nel corso dei secoli, a una leggenda secondo cui lo stesso Principe, che fu anche alchimista, avrebbe insegnato allo scultore una procedura di calcificazione di cristalli di marmo nel tessuto. In realtà un documento del 1752, conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, parla chiaramente “della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo”
Le copie
Dopo quasi tre secoli, tra il 2010 e il 2014, tre scultori hanno replicato il capolavoro di Sanmartino realizzando riproduzioni quasi perfette dell’opera originale.
La prima è stata realizzata nel 2010 dallo scultore casertano Pietro Santamaria ed è la più fedele riproduzione dell’originale partenopeo.
La seconda è stata ultimata nel dicembre 2010 dallo scultore Felice Tagliaferri.[1] La sua particolarità è data dall’intenzione dell’artista che ha chiamato la sua opera Cristo RiVelato intendendo così: «velato per la seconda volta» e di «svelato ai non vedenti» in quanto perfettamente accessibile al tatto.
[1] Felice Tagliaferri sintetizza in sé e nella sua opera tutto ciò che è stato detto finora. È uno scultore di fama internazionale. Ha realizzato una sua versione del Cristo Velato, chiamandola Cristo riVelato. Si batte perché l’Arte sia accessibile e fruibile da tutti. È cieco.
Felice nasce in Puglia. A quattordici anni perde la vista a causa di una malattia. Sarà il judo, praticato a livello agonistico, ad aiutarlo a superare il buio. Studia, lavora, poi risponde all’annuncio dello scultore Nicola Zamboni che all’epoca, circa vent’anni fa, era docente a Brera e cercava dei non vedenti per verificare quanto fosse indispensabile vedere per scolpire. Dopo i primi due incontri con lo scultore, Felice capì che non solo la vista non era necessaria per utilizzare scalpello e martello, ma che la sua vita aveva avuto un’altra svolta importante. Frequentò la bottega di Zamboni per due anni, imparando a destreggiarsi abilmente fra i diversi materiali: creta, marmo, legno e pietra, riuscendo così, nel corso degli anni, attraverso
l’applicazione e lo studio, a realizzare decine di opere che oggi si trovano in varie parti del mondo.
È proprio in occasione di una mostra, a Napoli, che nel 2008 vorrebbe vedere il Cristo Velato di Sanmartino. Questo non sarà possibile, perché il “Vietato Toccare” si applicava indiscriminatamente a tutti, cosicché, per un cieco, l’unico momento di fruizione rimaneva la descrizione orale. Felice decide, quindi, di scolpire un suo Cristo. Con l’aiuto di gruppo di persone, realizza da un blocco di marmo di Carrara di circa tre tonnellate la sua opera più famosa: il Cristo riVelato. Interpretato attraverso la rielaborazione della descrizione, centimetro per centimetro, e poi vissuto con le mani, affinché fosse anche rivelato, cioè messo a disposizione di tutte le persone che non hanno possibilità di vederlo con gli occhi o attraverso le riproduzioni grafiche.
La terza è del 2014 ed è stata realizzata da Helmut Perathoner, scultore della Val Gardena. È una scultura lignea, in cirmolo, ricoperta da strati di gesso su cui è stato applicato un colore che le dà le sembianze del marmo.
Queste tre copie, pur riproducendo l’identico tema iconologico, non sono solo differenti tra loro, ma sono interpretazioni che nascono da intenzioni diverse di comunicazione artistica degli scultori.
Scultura e cecità: sfatiamo la leggenda
L’opera di Giuseppe Sanmartino è realizzata in due blocchi di marmo: uno per la base e uno per il Cristo e gli strumenti del supplizio. Come detto, anche il velo è opera esclusiva del virtuosismo scultoreo dell’artista. E che di questo virtuosismo Raimondo Di Sangro fosse ben consapevole lo dimostra un’altra leggenda legata al Cristo velato che racconta che il principe fece accecare lo scultore in modo che non potesse replicare la sua opera.
Le parole scultura e cecità erano, quindi, assolutamente irriducibili e anche oggi in tanti condividono quest’idea, senza sapere che la scultura è un’arte praticata anche da chi non vede. Intanto perché la scultura prima che opera visiva è opera tattile e il tatto è il senso che il non vedente ha sviluppato come senso vicario della vista, non come surrogato, ma proprio come canale percettivo che tutti dovrebbero imparare a usare e sfruttare al meglio.
A chi non è capitato di essere ingannato dai propri occhi e di aver ricorso alle mani, al toccare, per svelare l’errore della vista? Alcuni particolari, anche molto importanti,
possono sfuggire allo sguardo più attento, ma non alle mani che sfiorano, stringono, tastano, soppesano, e hanno accesso anche alle parti nascoste alla vista: il fondo, il retro, i lati di qualcosa.
La vista, per sua natura, è un senso sintetico: dà informazioni generali immediate su ciò che ha davanti: la forma, il colore, la dimensione, la posizione nello spazio. Per scoprire i dettagli e i particolari è necessario scomporre l’immagine generale in parti sempre più piccole, con un uno sguardo volontario.
Il tatto, al contrario, è un senso analitico: dà informazioni limitate alla porzione dell’oggetto che si sta toccando. Informazioni che difficilmente sono subito utili, soprattutto se l’oggetto è di dimensioni tali da non poter essere contenuto tra le mani. È necessario ricostruire l’intera figura attraverso i dettagli, pazientemente, dopo averne esplorato i confini che delimitano la forma, con i movimenti delle dita e lo sfioramento dei polpastrelli. Una volta che lo sguardo tattile riconosce il particolare, l’immagine mentale dell’oggetto può essere ricostruita e perfezionata, dando origine a un piacere estetico simile a quello che si può avere con la vista. È la parola, orale, scritta o gestuale, che completerà la percezione con la descrizione iconologica, uniformando così la conoscenza e la memorizzazione di ciò che viene guardato con le mani o con gli occhi.
Attraverso l’argilla, il legno, il marmo e altri materiali il disabile visivo è protagonista nel modellare la realtà, può dominarla e farla propria. Può trovare il modo di comunicare il proprio “punto di vista” sul mondo, esattamente come avviene per gli artisti normodotati e con ottimi risultati artistici.
Il Cristo riVelato
La scultura, di centimetri 180 x 80 x 50, è realizzata a partire da un blocco di marmo di Carrara, sbozzato da artigiani con la supervisione dell’artista che aveva precedentemente preparato il bozzetto in terracotta e che poi l’ha portata a compimento, dopo due anni di lavoro, alla fine del 2010. Tagliaferri ha studiato, attraverso il racconto di un esperto d’arte, l’originale Cristo Velato. Si è creato la sua immagine mentale, l’ha rivestita dei suoi sogni: dimostrare che un marmo, per quanto prezioso, non può subire alcun danno se toccato da un cieco le cui dita sfiorano le cose con la stessa leggerezza dello sguardo, abituate come sono a sostituire gli occhi. Presso il suo laboratorio, la Chiesa dell’Arte, di cui è direttore, Felice ha lavorato al Cristo. Ha aperto le porte, perché la scultura fosse di tutti e per tutti, a chiunque volesse dare un aiuto “solidale”: una spianata con la gradina o lo scalpello; una raspata; una martellata a una sgorbia; un po’ di tempo per la lucidatura del velo. Gesti necessari a rendere unica quest’opera, fortissimamente voluta per essere non di un artista o un committente, ma di tutti. Il Cristo riVelato è stato benedetto da papa Benedetto XVI nel settembre 2011.
È stato esposto in varie città italiane e toccato da migliaia di mani, permettendo così di dimostrare che l’accessibilità e la fruizione dell’arte richiamano la sua originaria funzione di scrigno di memoria, di trasmissione del pensiero filosofico, religioso, etico, estetico e culturale a cui, come recita l’articolo 27 comma 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani:
“Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente [partecipando] alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico ed ai suoi benefici.” ©RIPRODUZIONE RISERVATA
[1] Ho sempre pensato che il libro, inteso proprio come supporto cartaceo, sia, misteriosamente, parte integrante del testo che contiene e viceversa. Ecco perché ho realizzato questa breve guida con immagini e informazioni ridotte che rispondessero ad alcune curiosità e che, soprattutto, rappresentassero un utile strumento per l’approccio all’opera CRISTO RIVELATO di Felice Tagliaferri. Alla fine di ogni capitolo, sempre a destra, è presente una pagina speciale, riconoscibile perché presenta gli angoli, superiore e inferiore, tagliati di sbieco: al centro è stampato un QR. Questa pagina rappresenta l’accesso al testo per i non vedenti. Il catalogo, quindi, può essere sfogliato e letto con i propri tempi. Le informazioni che vi sono contenute possono essere rintracciate in ogni momento.
Per l'immagine in alto: "Il Cristo riVelato" di Felice Tagliafferi | ©Paola Maccioni