Graal di Valencia
il "Graal di Valencia" conservato nella Cattedrale | Photo ©Franco Garofalo | 2024

Il Graal di Valencia: è un sacro mistero cristiano?

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Il Santo Graal tra realtà e leggenda. Parliamo dell’esemplare conservato nella Cattedrale di Valencia – non proprio l’umile calice di legno di Indiana Jones

Nella Cattedrale di Valencia è conservato l’esemplare più verosimile del Santo Graal. Dico verosimile per molteplici ragioni. La prima è che il suo aspetto è quanto di più vicino al modello emergente dalla lunga, e notevolmente ampia, letteratura intorno al Sacro Calice: una coppa traslucida minerale di agata, montata su un piede in pietra tratto da un vaso egizio o califfale e tenuto insieme da un complesso castone metallico, alla base circolare con inserti di pietre preziose, più in alto con due anse di forma cardioide e un supporto per la coppa. La sferetta posta esattamente al centro dell’oggetto sembra alludere alla leggenda secondo cui nel Graal sarebbe stata fusa la pietra caduta dalla fronte di Lucifero, a seguito della sua cacciata dal Paradiso Terrestre.

Le corrispondenze tra il Graal di Valencia e l’iconologia artistica

Il Graal di Valencia è – secondo le parole del priore della Cattedrale e Celador della reliquia Àlvaro Amenar Picallo – l’oggetto sacro più documentato della storia: nella miniatura e nella pittura, nei documenti e nelle testimonianze le sue peregrinazioni sono ben tracciate, perlomeno nel corso di tutto il basso medioevo; retrocedendo nel tempo, le testimonianze del suo arrivo a Roma portato da San Pietro e il suo successivo spostamento in Spagna durante le persecuzioni di Valeriano del 257-258, contengono probabilmente elementi leggendari. Mentre è abbastanza certa la sua disponibilità nelle mani della corona aragonese dal 1399, quando il re Martino I lo acquistò dai benedettini del monastero di S. Juàn de la Peňa, lo stesso padre Amenar Picallo respinge l’antica voce secondo cui sarebbe stato portato dai Cavalieri Templari ai sovrani aragonesi, per motivi in fondo comprensibili: nella tradizione cattolica i Templari hanno uno stigma negativo di eretici; e altrettanto la tradizione che vorrebbe il Santo Calìz dato in custodia ai Catari (o Albigesi) di Montségur non trova da parte cattolica alcun credito. Naturalmente questo punto di vista non confuta di per sé solo l’attendibilità di queste informazioni.

Gli altri manufatti che si contendono il titolo di Santo Graal

Vari altri manufatti si contendono il titolo di Santo Graal: il Sacro Catino di Genova che si conserva nel Museo del Tesoro della cattedrale di San Lorenzo; in Inghilterra la Coppa Hawkstone Park di soli sei centimetri di diametro; nel nord della Spagna, al centro del Cammino di Santiago, il Santo Graal O’ Cebreiro conservato nel monastero di Santa María de O’ Cebreiro dalla metà del XII secolo. Si intuisce che questa proliferazione di Graal possa dipendere da molte cose: la venerabile antichità della reliquia e il desiderio di trarne delle copie in primo luogo, oppure la scelta di moltiplicarla ad arte per disorientare predoni e miscredenti, rendendola di fatto inafferrabile; infine, la grande incertezza degli autori nel descrivere l’oggetto secondo la sua forma esatta.

In un suo pregevole articolo Antonella Sciancalepore scrive:

Originariamente, tuttavia, questa parola in francese doveva delineare una ciotola di metallo, non necessariamente prezioso, atta a contenere degli alimenti: il monaco Helinand di Froidmont, (…) intende il nome comune graal come il termine francese per scutella, e in altri testi come il Girart de Roussillon e il Roman d’Alexandre, nei quali compare la parola, essa designa un piatto dedicato al trasporto di alimenti; inoltre, ancora ora nei dialetti di molte zone, dalla Catalogna al Nord della Francia, si trova la stessa radice in parole che designano recipienti, scodelle o secchi. Nei romanzi successivi, inoltre, il graal diventa di volta in volta un vassoio, un calice, e anche una sorta di vaso dalle dimensioni indefinite, grande abbastanza da dover essere portato da due fanciulle e da poter contenere cibo e vino, ma anche capiente abbastanza da contenere un bambino, come nella visione di Galvano in Perlesvau.

Perceval , l ‘uomo del peir: una nota etimologica

Le fonti letterarie del Graal

Le principali fonti letterarie e poetiche del ciclo medievale del Graal sono infatti Il racconto del Graal di Chrétien de Troyes e il Parzival di Wolfram von Eschenbach. Uno in antico francese provenzale, l’altro in “alto” tedesco. Non è scopo di questo articolo un esame approfondito di uno dei cicli narrativi e mitologici più importanti d’occidente, ma piuttosto definire con ampi tratti le ragioni del possesso di un’ aura di straordinarietà di questo incantevole artefatto. Ad esempio, non ritengo opportuno esaminare analiticamente le tesi sostenute da Julius Evola nel suo Il Mistero del Graal, in cui l’autore sostiene la stretta correlazione fra il simbolo del Calice e la tradizione “polare” nordica e iperborea, in contrapposizione alla tradizione “solare” e mediterranea: mentre in quest’ultima – in estrema sintesi – il potere teocratico sarebbe sovraordinato a quello imperiale e guerriero, nella tradizione polare sono, al contrario, sovrano e cavalieri a prevalere sull’ordine sacerdotale fino al punto, ben rappresentato dai Templari o dagli Ospitalieri, di sovrapporsi completamente ad esso, fondando un ordine monastico-militare che ben si conforma al concetto di “nuovo ordine” e di effrazione della Gerarchia per opera di audaci; insomma, al neoghibellinismo del pensatore, riconosciuto precursore e padre nobile della moderna cultura di destra, politica ed intellettuale. Ci limitiamo a citarlo, se non altro per osservare come possa risultare artificioso, e veramente arduo da sostenere, che il ciclo arthuriano, con il Graal al suo centro, non abbia un carattere squisitamente cristiano ed anzi, ne descriva, sia pure in termini altamente simbolici, una spiritualità alternativa che si ritiene possa fare completamente a meno della teofania religiosa.

Pur apprezzando la vasta erudizione di Evola, l’istanza di fondo del testo appare come un’ ascensione sugli specchi sia pure non priva di una certa grandiosità. Evola dimentica con grande stile che in fin dei conti il Graal – e soprattutto quello di Valencia, che lo stesso editore di Evola mette in copertina al trattato – è il prototipo perenne del calice eucaristico, del quale tutte le coppe sollevate dai sacerdoti celebranti la liturgia in ogni tempo e ogni angolo del mondo non sono che copie. Mi sembra sinceramente impossibile dimenticare che tutto il carattere sacro e tutta la potenza magica del Graal consista proprio nell‘ essere stato la coppa impiegata nell’Ultima Cena; e con uno scarto drammatico, il contenitore del sangue del Cristo fuoriuscito dal suo costato durante il supplizio della crocifissione, raccolto da Giuseppe d’ Arimatea. Da cosa dipenderebbe, altrimenti, l’incalcolabile potere attribuitogli di guarire le malattie, d’invertire l’inesorabile corso della vecchiaia, di far rifiorire regni in rovina, di abolire il tempo e confondere lo spazio, se non dal fatto di essere l’unico oggetto sopravvissuto e coevo alla Passione?

Le prove scientifiche – l’esempio della medievale Sindone di Torino

Il Santo Graal è conservato a Valencia?
photo ©Franco Garofalo | 2024

Prove scientifiche hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che il Calice (ossia la coppa posta sull’artefatto di epoca medievale) risale al primo secolo avanti Cristo. Delle reliquie più sante della cristianità è l’unica che abbia superato l’esame delle più moderne tecniche di datazione dei manufatti. Per consentire un confronto, la Sindone di Torino – meravigliosa opera d’arte – esaminata con analogo rigore ha rivelato che il lino di cui è fatta è stato tessuto nel medioevo, intorno al XIII secolo. Senza nulla voler negare del potenziale di adorazione che vi si collega, va pur detto che, nonostante una contro-perizia eseguita da analisti più vicini alla Santa Sede abbia dato un esito contrario, riportando la datazione al primo secolo, nel caso della Sindone siamo di fronte ad una reliquia perlomeno controversa e che la sua autenticità – non il suo valore artistico, lo ripeto, inestimabile – è dubbia. Del Graal di Valencia possiamo invece dire, senza spingerci troppo oltre, che è compatibile con una sua presenza sulla tavola dell’ultima cena di Gesù e degli Apostoli.

Dopo aver procurato dispiacere al riconosciuto maestro della destra politica e culturale, devo però spiacere anche alla Chiesa Romana, nel momento in cui uso il termine magico a proposito del Graal. Nel ciclo bretone-arthuriano che s’impernia sulla Queste du graal e soprattutto osservando il personaggio di Perceval, Parsifal o Perzeval che ne è lo scopritore, è impossibile ignorare un sostrato mitico più antico di quello cristiano, che la Sciacalepore ricollega giustamente alle immagini del paiolo e del calderone magico nella tradizione celtica irlandese o gallese. La magia potrebbe qui consistere in una sorta di vin cotto, cioè alla cottura di una bevanda euforizzante e psicotropa che compare frequentemente nelle leggende, laddove ricorre – in particolare – la descrizione di una solenne bevuta durante festini rituali, e di una “gerarchia del bere” nella quale riveste grande importanza la “porzione dell’eroe”, che quindi deve bere per primo e copiosamente, dando l’esempio a tutti gli altri cavalieri.

Proseguendo con la concatenazione di analogie, la cottura nel calderone ricorda molto fedelmente la centralità dell’ Atanor nell’ operazione alchemica e la trasformazione del cavaliere, dimostratosi superiore nella sfida, con l’assunzione del prodotto della cottura secondo un meccanismo di morte-rinascita, appare abbastanza evidente anche nel racconto di Chrétien de Troyes. Dopo aver ricevuto l’invito del Re Pescatore – presentato come il padre malato di Re Arthur – a raggiungere il suo castello, Parsifal se lo vede comparire davanti dal nulla dopo solo una breve passeggiata: lo stesso padrone del castello ne è stupito, poiché considera che non avrebbe dovuto raggiungerlo con meno di un giorno completo di viaggio. Una volta all’interno, Parsifal assiste ad una processione: dietro un valletto che reca una lancia insanguinata (evidentemente la lancia di Longino, altra celebre reliquia della Passione) e due altri fanciulli con due candelabri, ecco una vergine che reca il Graal. Il Calice getta luce davanti e dietro di sé, al punto di far apparire la vasta sala come immersa nella tenebra.

Parsifal assiste al corteo con stupore; ma per la sua inesperienza, o, più probabilmente, perché non ancora cavaliere e quindi non illuminato dall’iniziazione, omette di chiedere per chi fosse quel Calice. E’ così che Parsifal perde la sua prima occasione di impossessarsi del Graal, effettivamente destinato proprio a lui.

Il Santo Graal ovvero “oggetto vibrazionale”

Queste suggestioni della letteratura sul soggetto, assieme alla contemplazione pur sbrigativa da me effettuata, porta ad alcuni possibili e interessanti sviluppi concettuali. Non saprei infatti descrivere il celebre potere “taumaturgico” e universale del Graal se non come effetti di un oggetto vibrazionale. Qui una maggiore o minore fede nel potenziale della reliquia non c’entra davvero molto. “Vibrazionale” è la proprietà di un oggetto di “vibrare” in molti-mondi, ossia in dimensioni diverse, mantenendosi consistente pur assumendo forme differenti.

Calice o coppiere, catino, piatto o calderone, persino – volendo dare credito a certe teorie più recenti, come quella di Baigent, Leigh e Lincoln contenuta nel libro Il Santo Graal del 1980, secondo i quali il Graal sarebbe il “Sang-Real “, la discendenza di Cristo e della Maddalena – una particolare eredità genetica, questo sovrapporsi di diverse immagini è confuso solo in apparenza. In realtà rimanda alla proprietà multidimensionale di quest’oggetto, al suo essere qui invisibile e lì visibile in rapporto alla purezza di chi lo contempla, come il castello del Re Pescatore.

A certe condizioni, l’osservatore può entrare in risonanza con il Calice. Si può ritenere che le nostre stesse capacità vibratorie vengano attivate proprio da oggetti di questo tipo, rari ed eccezionali, di cui come nel caso del Graal di Valencia è consentita l’ostensione solo due volte all’anno, una nel Venerdì Santo. È possibile che tale stato sia conseguito più intensamente con il tocco, cosa purtroppo interdetta al visitatore dato l’ isolamento e la distanza dalla reliquia. L’attesa di un’ intensificazione mediante la manipolazione diretta può spiegare perché, durante le loro visite pastorali a Valencia, due pontefici, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, abbiano voluto celebrare messa utilizzando il Graal.

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