Grazie, oltre alla ormai consueta indifferenza, al festival della canzone italiana (da Monteverdi in poi pretendiamo in questo campo un’egemonia duramente contesa dagli altri popoli), le campagne elettorali di Lazio e Lombardia si sono chiuse, all’antivigilia del voto e alla vigilia del “silenzio elettorale”, in varie forme.
Il mio bel tacer, che per confutare il Badoer oggi fu pure scritto è particolarmente gradito, dopo settimane convulse più per i rovelli interiori – avrò fatto bene a mettermi in gioco? Non rischio i residui brandelli di reputazione? Come la gente interpreta l’impegno di qualcuno in politica: passione civile o puro e semplice carrierismo? – i denari (pochi) investiti, le iniziative elettorali nella gamma più ampia: dagli occhi negli occhi con quegli amici che ancora accettano di scomodarsi per una riunione cattura-voti, alla platea virtuale degli streaming, silente e soprattutto invisibile, ma non per questo meno esigente e giudicante, la cui consistenza può andare dalle decine all’infinito; dopo tutto questo, sano appena quanto basta per riprendere a respirare, attendo il responso delle urne finalmente sul sofà.
Il candidato della destra Francesco Rocca, forse a disagio in pubbliche manifestazioni, ha chiuso addirittura il 5 all’Auditorium di Via della Conciliazione, a pochi metri dal Pontefice Romano, per poi chiudersi in un nobile silenzio significando forse che, dopo il 5, la sua leader e sponsor aveva altro di cui occuparsi, in Europa, pensosa delle sorti del sovranismo prigioniero del paradosso logico: se ogni nazione europea è radicalmente nazionalista, come può trovare altre nazioni alleate in Europa, dato che queste a loro volta saranno radicalmente nazionaliste? A loro, l’ardua risposta.
La candidata Cinquestelle Donatella Banchi, perseguitata come dal fantasma di Banquo dall’ombra dell’olandesina Mira Lanza che la rese famosa negli anni giovanili, propende per una sobria adunata nel cinema Aquila al Pigneto, sede rinomata per le rassegne di cinema d’essai. E’ lei stessa, ai mei occhi, una candidata d’essai: impietoso come d’abitudine, D’Agostino riferisce di una sua previsione con lei al 40 per cento, che per fair play mi astengo dal commentare, ma che pure rivela una certa propensione della signora per il fantasy, genere che – riprendo dalla Treccani (ragazzi) – ha una struttura i cui caratteri
sono simbolicamente riconducibili alla lotta tra bene e male, costruita all’interno di una trama che assegna al protagonista il compito di sconfiggere il male attraverso il superamento di prove spaventose e difficili.
Definizione che a mio avviso le si attaglia, appunto, in modo alquanto spettacolare.
Il candidato del centro-sinistra Alessio D’Amato ha scelto, invece, una chiusura all’aperto, a breve emblematica distanza dal palazzo sede della Regione Lazio, mettendo alla prova le ultime scaglie di resistenza fisica dei suoi sostenitori e contando, magari, sul calore delle passioni, sull’effetto di contatto umano e carnale e, perché no, su un meteo clemente e sul benefico favore esterno del trasporto pubblico, dato che tangente al raduno era la fermata del 715, linea d’autobus desaparecida all’andata, ma abbastanza puntuale al ritorno. Certo che sui mezzi pubblici di Roma bisognerà lavorare ancora molto e, temo, dovrà farlo il sindaco Gualtieri in buona sinergia con il futuro presidente della Regione, al quale fa capo la COTRAL, azienda di trasporti regionale.
Alessio, si potrebbe dire, a questo punto è uno di famiglia. Non è un eccelso oratore: sensibile calata romanesca, selezione dei termini un po’ rudimentale, assenza di citazioni suggestive, troppe note a margine che affardellano l’eloquio; uomo essenzialmente pratico, è l’assessore uscente. Un tecnico del settore sanitario con mansioni di empowerment e di ristrutturazione di aziende sanitarie precedentemente dissestate dal clientelismo. Quando non ha dovuto – nella squadra di Zingaretti – rivestire il duro sacco penitenziale della spending review regionale sulle ceneri degli indimenticati festini del 2012 con le maschere testa di porco organizzati dal consigliere Pdl De Romanis, giunta Polverini; altri tempi, Basso Impero. Nei suoi anni assessoriali D’ Amato ha dovuto allo stesso tempo tagliare gli sprechi, ricostruire un’assistenza sanitaria capillare, monitorare i tempi di attesa per le analisi con il limite a sessanta giorni per le differibili, infine affrontare i due anni di pandemia da COVID-19 creando posti di terapia intensiva ed evitando il collasso del sistema. Proprio oggi ho ricevuto una lettera della ASL Roma 1 relativa ad una campagna per la prevenzione del tumore del colon retto cui sono invitato a partecipare. Se nel frattempo D’ Amato non ha potuto prendere lezioni di eloquenza e dizione per il doppiaggio, nel cuore mi sento di perdonarlo.
Alessio è un cinghialotto (fauna familiare ai romani) ben piantato, con capelli come setole e con sguardo e sorriso guizzanti e coinvolgenti. Se vale la metafora del calciatore in lui vedo un mediano di spinta, raccordo fra difesa e centrocampo; insomma, per chi ha buona memoria, molto simile al Giuseppe Furino della Juve degli anni settanta, quando la Vecchia Signora non era ancora inquinata dalla corruzione alla Moggi, dai falsi bilanci e dalle fumose prospettive della Super League.
Anzi! Mi sia consentito di sviluppare la similitudine. Cos’hanno in comune la orienda Super League dei Super Club europei con i vari governi di destra-centro? Va da sé: il culto della ricchezza e dei ricchi. E’ sotto gli occhi di tutti da decenni, non mi si accusi di rozzezza semplificatrice. E fin qui, tutto ovvio: non si può imporre a nessuno di amare, o ancor meno di servire, i poveri e i diseredati. Da quel peculiare punto di vista le masse servono, certo, ma solo per il consenso; una volta ottenuto il quale, le masse possono serenamente tornarsene ai loro abituri di fango, paglia e cartongesso.
Ma volesse l’Onnipotente che tutto vede, che i ricchi fossero quelli d’ una volta! I ricchi veri, quelli che Fortebraccio, al secolo Mario Melloni, corsivista de «L’Unità», chiamava un tempo lor signori. E invece no. I nuovi ricchi portati in luce dalle varie incarnazioni dell’era berlusconiana erano, e molto spesso sono, ricchi di debiti: la ricchezza come misura venale della potenzialità di contrarre debiti. Da qui la periodica necessità – alquanto stringente, me ne rendo conto – di una discesa in campo nell’agone politico e di vincere elezioni. Al “popolo” si promette di tutto; il “popolo”, mosso dalla paura dei penitenzieri e moralizzatori di sinistra, si lascia incantare; si mettono le mani sui beni pubblici – quanto gli deve piacere fantasticare, ad esempio, sulla succosa melagrana della “Cassa depositi e prestiti”, tempio del risparmio italiano! – e li si saccheggia in piena Libertà, celebrando il banchetto con ancelle in tuniche succinte e figuranti con maschere di porco… Al giro seguente, si lascerà gestire il dissesto ad un governo serio e quaresimale di centro-sinistra, che avrà l’ingrato compito di spiegare agli italiani che “la festa è finita”. Sembra di sentir risuonare le quasi identiche parole (“la pacchia è finita!”) della Presidente del Consiglio. Il problema è che gli italiani normali – cioè quelli che non fanno parte dell’allegra combriccola di De Romanis – non ricordano proprio quando la festa sarebbe cominciata. Per forza: nessuno li ha mai invitati.
Ancora una volta, quindi – vi assicuro, ne avrei fatto volentieri a meno; magari fossero state semplici elezioni per cambiare una squadra di amministratori con una nuova – da domenica non si voterà per due regioni, ma s’ingaggerà una battaglia della italica Guerra dei Cent’Anni per un minimo di civiltà e decenza. Nella chiusura di ieri si respirava un’aria gradevole; citando un leader politico troppo sottovalutato – spesso proprio dai suoi – e cioè Achille Occhetto, v’era la sensazione di far parte di una “gioiosa macchina da guerra”: guerra per un’Italia bella, moderna e cosmopolita cui non mi voglio sottrarre.
E’ così che il candidato, prescindendo dal suo relativo successo personale, sarebbe felice di veder scaturire, come esito di queste elezioni regionali, frammenti del paese cospicui e rivelatori (le due regioni, Lombardia e Lazio, da sole fanno il 26,5 per cento della popolazione italiana, fonte censimento del 2020) del bisogno di una rinascita collettiva e anzi, del bisogno stesso di riconoscersi come collettività, al di sopra dello spirito di fazione e degli interessi di gruppi sociali ristretti, da troppo tempo privilegiati. Sarebbe felice, il candidato, di vedere le tante anime del centrismo e della sinistra convergere su una scelta dettata dalla logica e dal buon senso: il desiderio, urgente, impellente, di vedere sanità e scuola pubblica esaltate da adeguati finanziamenti, non avvilite dai sub-appalti di intere fette dell’assistenza e della educazione a entità private che nulla dicono dei loro metodi e delle loro finalità. Chi opera nel campo educativo, come può dimenticare la piaga del precariato e l’assalto della TreElle ai curricoli scolastici preparando il terreno, con la sistematica denigrazione del sistema pubblico dell’educazione e della formazione, alla scuola elitaria e di classe?
Quando questo breve diario uscirà, i giochi delle elezioni nel Lazio e in Lombardia saranno fatti. Vedremo se disaffezione al voto e astensionismo saranno stati ancora una volta decisivi. Se non altro, il Vostro affezionatissimo candidato non avrà da rimproverarsi di essersi messo da una parte, di aver ignorato il “grido di dolore” che gli italiani non sanno neppure di aver levato fino al cielo. Io ci sono. E ci sono stato. E le due regioni interessate avranno i loro nuovi, rispettivi governi, che potranno legiferare su un numero amplissimo di materie concorrenti così come recita l’Art.117 della Costituzione, riformato con legge costituzionale 3/2001. Un piccolo comma del quale, forse poco noto ai più, dichiara:
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.
Perciò mie care e miei cari, andiamo a votare in scienza e coscienza; e non potrete dire che non vi abbia avvisato. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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