Crisi della rappresentanza e conseguente crisi della democrazia. Non più attori da interpellare ma palle al piede dei potenti
Mi domando se siamo ancora in un sistema democratico dopo che nel mondo nei rapporti sociali e civili ha prevalso l’intolleranza, che, comunque si manifesti, non è accettabile. La conseguenza è un peggioramento complessivo della qualità della vita, in modo particolare perché si è scardinato il sistema di solidarietà. Inoltre la logica del mercato, la guerra, la Pandemia, il dominio delle multinazionali, la svalutazione sociale del lavoro hanno creato una situazione perversa in cui si tenta di convincere dell’impossibilità di migliorare la qualità della vita. Lo stesso concetto di rappresentanza si è modificato, modificando anche il ruolo dei vari soggetti, esclusi dalle decisioni politiche ed economiche, poiché non più ritenuti portatori di interessi diffusi, ma vere e proprie palle al piede che frenano le scelte per le decisioni di chi è al comando. Ciò ha influito sul grado di democrazia in atto proprio alla luce dei profondi cambiamenti avvenuti nelle forme di rappresentanza. In effetti, partendo dall’Italia vi sono allarmanti sintomi che preconizzano una vera e propria crisi della democrazia: la scarsa partecipazione alla vita pubblica e politica dei cittadini; il rientro al privato ed una crescente sfiducia nella classe politica; una tendenziale e percepita perdita di quei valori che accomunano una società; la perdita finanche delle regole pacifiche della convivenza sociale e di una educazione politica che induceva i consociati a sentirsi parte di una nazione, corpo di una società e, infine, non da ultimo, la crisi dell’economia che fatica a trovare il suo regime di crescita in una società in cui il lavoro umano è considerato un’attività sempre meno indispensabile.
Le basi della democrazia sono ben altre
Le regole classiche della democrazia, invece, esigono: il dialogo; il confronto; la consultazione; l’accordo con le minoranze; il riconoscimento e la tutela effettiva dei diritti umani che spettano, indipendentemente dalla nazionalità e dalla cittadinanza, a ogni individuo; l’allineamento alle libertà storiche delle democrazie, cioè ai diritti civili e politici; i sopravvenuti diritti sociali e i sopravvenienti diritti culturali possono giovare a cercare una risultante pacifica e ordinata delle attuali società.
Mentre la stessa opinione pubblica, e quindi la coscienza civile, presa da problemi quotidiani e da interessi individuali, succube del particolare, guarda con indifferenza e insofferenza a questi problemi, considerati generali, estranei dalla loro sfera di interessi.
Così si è trasformata anche la cultura dominante, non più interessata a battaglie per rendere la società più giusta, più coesa e solidale e, pertanto, parole come globalizzazione, deregulation, mercato, competizione sono diventati slogan che hanno fatto da schermo ideologico alla delocalizzazione di gran parte dell’apparato produttivo; alle esternalizzazioni e privatizzazioni con la svendita di moltissime aziende, alla marginalizzazione dello Stato nella politica e al ruolo del “cittadino”.
Oggi però le nostre società, proprio per l’assenza di partecipazione democratica, vivono una realtà quotidiana in cui si è prodotto: distruzione di ricchezza, impoverimento, attacco al mondo del lavoro, tensioni sociali, crisi del debito, rischio di implosione dello spazio europeo.
Le disuguaglianze sono divenute insopportabili. La fine del welfare e l’inadeguatezza della cultura giuridica
In Italia, un Paese in cui “le disuguaglianze sono divenute ormai insopportabili”, abbiamo vissuto una regressione politica e culturale molto forte in materia di diritti e il dilatarsi della distanza tra ceto politico e società.
È fondamentale ristabilire le connessioni della società alle istituzioni, perché in assenza di quest’ultime la convivenza civile viene meno e la comunità politica si sfalda.
La constatazione di una progressiva riduzione delle funzioni dello Stato porta ad ipotizzare che con la fine del modello del welfare, l’Occidente abbia chiuso anche la sua fase storica. In aggiunta, l’inadeguatezza della cultura giuridica rispetto ai mutati scenari della società e dell’economia degli ultimi decenni sta mettendo in discussione le categorie politiche e giuridiche fino ad oggi consolidate, perché la perdita del punto di riferimento statuale mette nell’impossibilità di ricostruire l’ordinamento giuridico come sistema.
Dobbiamo estromettere le grandi caste che hanno invaso la politica, a lei estranee
Bisogna quindi rimettere in discussione quei contesti che favoriscono le grandi caste estranee alla politica e al confronto democratico, che nessuno ha eletto e che, di fatto, governano al di sopra e contro la politica. A costoro che non rispondono ai cittadini, non si possono delegare decisioni che devono essere prese nell’interesse di tutti.
Le stesse relazioni sociali sono state, sono e saranno naturalmente compenetrate dal potere, come tendenza dell’uomo al dominio sull’altro, e proprio per questo la politica dovrebbe controllare e trasformare il potere in istituzioni e in diritto, altrimenti esso trova altri spazi e altri strumenti per imporsi.
Non è da nascondere che per dominare gli eccessi del mercato e della finanza bisogna anche agire educando le persone a cambiare le proprie abitudini, salvaguardando innanzitutto la propria libertà ed esercitando le più ampie capacità critiche, fondamentali in un sistema perverso, pubblicitario e informativo che spesso altera la stessa formazione dell’opinione pubblica e il sistema di controllo popolare, incidendo negativamente sulla cultura di massa.
In gioco sono la funzione delle regole e il comportamento democratico delle istituzioni, la speranza di legalità della politica e nella politica, con sempre maggiore difficoltà di controllo delle operazioni politicamente rilevanti.
Bisogna individuare un percorso alternativo, dopo che per un trentennio si è imposta la rivincita neo liberista sulla solidarietà e sulla coesione. Da dove partire? A mio modesto parere, bisogna iniziare dal rileggere la Costituzione. Essa è l’essenza del convivere unitario della comunità. Essa trasmette i valori ai nostri figli, dà un senso all’essere cittadini italiani. Ogni articolo della Costituzione rappresenta la coesione di un popolo e testimonia i principi che fanno forte una nazione ed orgoglioso il popolo di viverci: dall’art. 1, che riconduce il fondamento della nostra Repubblica al lavoro, ai successivi che riconoscono alla persona il diritto di emanciparsi attraverso il lavoro, il diritto al salario, un salario che deve essere in grado di farla vivere dignitosamente. La Costituzione italiana difende, ancora, valori fondamentali quali la libertà di pensiero, di religione, di partecipazione civile. Tutto ciò può essere mantenuto anche attraverso la mediazione culturale, per mezzo dei circuiti formativi che insegnino il pensiero della convivenza e della coesione. La Costituzione permette ad ogni cittadino di essere protagonista della vita politica e quindi della democrazia. Consacra la sovranità del popolo in quanto gli riconosce il diritto di eleggere i propri rappresentanti e la partecipazione alle scelte. Nella Costituzione vi sono le tutele di diritti fondamentali quali il riconoscimento della solidarietà e della coesione sociale, attraverso il welfare, cioè per mezzo della sanità, la previdenza, l’istruzione.
Non è semplice, ma rinunciare significherebbe accettare l’ineluttabilità di un possibile declino dell’Uomo e dei suoi diritti. È però un compito difficile quello di rimanere fedeli ad un sistema di valori in una società profondamente trasformata dagli interessi di pochi, dalle leggi di uno sviluppo economico senza regole, dall’affermazione del consumismo, dell’edonismo, del narcisismo, dalla competizione selvaggia.
La strada è impervia ma bisogna percorrerla! ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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