Le nostre mogli negli abissi di Julia Armfield

“Le nostre mogli negli abissi” di Julia Armfield, ovvero l’abisso della nostra coscienza

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Parliamo del romanzo Le nostre mogli negli abissi di Julia Armfield

Gli abissi marini sono case infestate: luoghi dove cose che non dovrebbero nemmeno esistere si aggirano nell’oscurità”. Irrequieto, è questo il termine che usa Leah, inclinando la testa di lato come per reazione a un qualche rumore, anche se è una serata tranquilla: fuori dalla finestra solo il monotono brusio della strada e ben poco che solleciti l’udito. “L’oceano è irrequieto,” dice “non hai idea di quanto sia profondo. Vai giù, sempre più giù, e ci sono cose che si muovono.

Julia Armfield è un’autrice inglese rimasta inesplorata finora, diventa famosa con Our Wives Under The Sea del 2023, pubblicato da Bompiani nell’Aprile del 2024 come Le nostre mogli negli abissi. Con questo titolo la scrittrice si candida in numerosi premi e vince il Polari Prize come Libro dell’anno. In alcune interviste Julia Armfield spiega che il libro nasce da una riflessione sul mare e suoi suoi abissi, è palpabile il fatto che l’autrice ne sia altamente affascinata, tanto che nelle note al testo finali cita il suo amore verso i polmoni di mare (la medusa più grande del Mar Mediterraneo).

Le nostre mogli negli abissi, la trama

Il libro si focalizza sulle vicende di Leah e Miri nel presente con flashback sul passato di Leah, biologa marina, che giorno dopo giorno fa preoccupare sua moglie per le sue recenti condizioni fisiche. Per un mese, Miri ha avvertito la mancanza di Leah come se fosse morta: aveva preso parte a una spedizione sottomarina per analizzare le specie degli abissi, ma non aveva fatto ritorno, tanto che la sua compagna aveva cominciato a pensare che non sarebbe più tornata, cominciando ad avvertire un senso di smarrimento e di perdita. Leah però torna in superficie dopo quasi un mese di scomparsa, ma non è più la stessa: sente suoni che non ci sono, la sua carnagione ha un colorito d’avorio, comincia a perderne dei pezzi di pelle e, soprattutto, non riesce a stare lontano dall’acqua, riempiendo vasche su vasche nella loro casa in città per rimanere in ammollo tutto il giorno. Nel libro questo malessere verrà chiamato “anomalia della riemersione” e si riferisce a tutta una serie di conseguenze fisiche che le persone riscontrano dopo aver passato troppo tempo sott’acqua.

Il rapporto tra Miri e Leah è spezzato, nessuna delle due riconosce più l’altra e Miri non sa cosa fare per cambiare la situazione ed evitare che Leah peggiori; continua a chiamare il Centro che si capisce essere il responsabile della missione sottomarina, ma nessuno le risponde, e se le rispondono la ignorano, dicono che è tutto normale, che Leah è stata troppo tempo a contatto con il mare, che passerà, ma la situazione peggiora e Miri si sente come se stesse riperdendo Leah, o peggio, come se non fosse più la stessa persona.

Penso che dovrei provare a fare un salto al Centro di persona. Ci sono stata una volta, quando sono andata a prendere Leah al ritorno dalla missione, ma non so dove è finito l’indirizzo. Passo un’ora a sfogliare documenti nella vana speranza di trovarlo e poi mi arrendo. In fondo cosa mai potrei dire una volta lì? Potete ripararla? Potete restituirmi quella vera?

La perdita del partner e della realtà come sentimento primario

Il romanzo di Julia Armfield è permeato continuamente da un forte senso di perdita nei confronti di ciò che si conosceva prima. Miri, durante l’assenza di Leah, deve far fronte a tutte le difficoltà del ritrovarsi da sola dopo aver condiviso per molto tempo la propria vita con un altro essere umano, adottandone gli usi, le preferenze, ogni piccola sfaccettatura. Ciò che si ritrova a vivere Miri è un collasso della propria identità, che si affanna per recuperare i ricordi ancorati a un abisso che sembra corrispondere a quello che, nel frattempo, sta inghiottendo il corpo di Leah e continua a trascinarlo con sé.

La perdita appare come il sentimento primario del libro, che si prende la responsabilità di spiegare un rapporto che sta andando in malora e che potrebbe fare da specchio a tutte quelle situazioni in cui non si riconosce più il/la partner di cui ci si è innamorati all’inizio. Julia Armfield diventa una devota esploratrice dei cambiamenti nelle relazioni, ma, invece di costruire una storia nel presente, con il rischio di appiattirla e non darle il giusto spessore, crea una trama spessa di oscurità che non riusciamo a vedere, ma che si percepisce per tutta la durata della storia.

Le nostre mogli negli abissi è stato chiamato anche “favola gotica queer”, imponendo sotto un’unica etichetta il fatto che la storia rappresentata dalla Armfield corrisponda a una narrazione d’amore tra due donne con risvolti fiabeschi e gotici. In un’intervista con Writers Unlimited, viene chiesto alla scrittrice se sente questa definizione sia giusta per la sua storia e lei si esprime dicendo che una volta che la sua storia viene pubblicata, automaticamente smette di appartenere a lei, poiché ognuno è libero di vedere all’interno delle sue trame ciò che preferisce. Quello che ci conferisce la scrittrice è quindi uno specchio sulla nostra interiorità, un’occhio attento che soggettivamente analizza il mondo e ne riproduce ciò che ritiene attinente alla realtà.

Le nostre mogli negli abissi è anche una storia di fantasmi (della mente)

La capacità di espressione nello stile di Julia Armfield non è qualcosa che si scopre piano piano, già dall’incipit riportato nell’introduzione dell’articolo è evidente come la scrittrice sia in grado di veicolare l’uso delle parole associando ogni sensazione alla realtà e questo rappresenta il suo paradosso nel riuscire a raccontare di cose che non esistono e non si vedono, facendole attecchire completamente a una dimensione terrena. Sebbene il romanzo non sia assolutamente una storia sovrannaturale, ha tutte le caratteristiche che conducono il libro verso quella via. Ritrovarsi con una moglie con un corpo d’avorio, sempre più trasparente, sempre più legato al mare, che non vive più senza acqua e sente rumori e voci che non esistono, lega tutta la dimensione narrativa a una sorta di portale ultraterreno, pronta a riprendersi la creatura fuggita dal suo territorio di dominio; eppure l’autrice riesce a collegare tutti gli aspetti fiabeschi a una storia che permea il mondo reale, rendendolo quasi credibile, come se non stessimo leggendo davvero di una donna che sta scomparendo nei ricordi degli abissi.

Tutto quello che accade nell’oceano ci viene detto, ma non spiegato ed è qui che sta la differenza più grande. Si percepisce, ma non si comprende a fondo; si cerca di entrare all’interno del tessuto appartenente ai ricordi, ma sono essi stessi a buttarci fuori, a non consentirci l’entrata in un mondo che non può essere toccato da noi umani.

I cinque livelli del mare come le cinque ferite dell’anima

Le nostre mogli negli abissi può risultare la scrittura di una vera biologa marina. Julia Armfield ha fatto ricerche con un’attenzione sopraffina che si manifestano durante la lettura del romanzo. Si presenta diviso in cinque sezioni, che a loro volta corrispondono esattamente ai cinque livelli presenti nell’oceano, secondo i quali gli scienziati hanno diviso la densità dell’acqua, la pressione e le specie che si possono trovare a quell’altezza. Troviamo, quindi: la zona epipelagica, la zona mesopelagica, la zona batipelagica, la zona abissopelagica, la zona adopelagica. In queste differenti zone, troviamo i punti di vista alternati di Miri e Leah: una ci porta con sé nel presente deteriorato, l’altra ci trascina con sé nelle profondità del passato.

Secondo alcuni studi, l’essere umano sarebbe condizionato, nel corso della propria esistenza, dalle cinque ferite dell’anima, che rappresenterebbero dei traumi insiti nella memoria dell’essere umano in quanto tale. Questi traumi si attivano nel momento in cui accade qualcosa che va ad accendere l’aspetto corrispondente alla ferita. Se pensiamo al romanzo di Julia Armfield come a qualcosa che lei stessa immagina come ciò che le persone vogliono vederci all’interno, una delle spiegazioni che si potrebbero dare alla storia è proprio la seguente: Miri e Leah rappresentano i due estremi del cammino sulla Terra. Se la prima è ancorata ad essa e ne subisce ancora i danni emotivi, l’altra appare completamente distaccata, tanto da essere diventata più oceano che altro.

Nella stessa intervista citata prima, la scrittrice parla dell’acqua come veicolo di femminilità e di creazione. L’oceano è la casa di un terreno ancestrale che fatichiamo a capire, ma che sappiamo corrispondere all’origine di tutto; in effetti, anche durante i mesi di gestazione all’interno del grembo materno abitiamo un luogo che si collega facilmente all’ambiente acquatico.

Mi sono seduta nella cabina principale e ho ripensato a Sylvia Earle, a una cosa che diceva nell’articolo che avevo ritagliato e custodito come un tesoro. Sosteneva che la nostra comprensione dell’universo deriva dall’oceano. L’oceano ci ha insegnato che c’è vita ovunque, anche alle grandi profondità; la maggior parte della vita si trova proprio negli oceani; sono gli oceani a governare il clima. I nostri pregiudizi probabilmente dipendono dal fatto che, in quanto creature terrestri, abbiamo bisogno dell’aria, ed ecco perché ci abbiamo messo tanto a comprendere che tutto quello di cui ci importa è ancorato all’oceano. Ero spalle all’oblò mentre pensavo a quelle cose e d’un tratto mi è sembrato di non essere più in grado di sopportare l’opprimente spazio vuoto al di là del vetro.

Se, quindi, Leah affronta questa missione e al contempo si ritrova a perdere freddamente la sua umanità, sacrificandola per diventare tutt’altro, Miri invece si ritrova a combattere con le paure più vicine all’essere umano. Le cinque ferite, infatti, corrispondono a riti di passaggio che segnano profondamente l’esistenza di ognuno: il rifiuto, l’abbandono, l’ingiustizia, l’umiliazione e il tradimento.

La Miri che all’inizio ci fa conoscere la donna stessa è una Miri che, se da un lato rifiuta la situazione creatasi, faticando a credere che la moglie sia effettivamente scomparsa, successivamente vive una fase di profondo abbandono, in cui colpevolizza Leah di averla lasciata lì per una missione sconosciuta in fondo all’oceano e questo sentimento di “essere lasciati indietro” è molto forte e violento, Miri ne è profondamente toccata. Successivamente, una volta riavuta la moglie, si ritrova a dover fare i conti con una burocrazia che non ascolta i suoi bisogni. Il Centro a capo delle missioni misteriose rappresenta tutto ciò che c’è di sbagliato e oscuro nel mondo; il non sapere è una lenta tortura che alla fine non lascia vivo nessuno. L’umiliazione e il tradimento vanno di pari passo, investendo Miri con una sensazione totalizzante di sensi di colpa e impossibilità a ricreare una fiducia con la partner che non sembra più la stessa. Leah e Miri, infatti, partecipano ad alcune sedute di psicoterapia fornite dal Centro per abituarsi nuovamente alla presenza dell’una e dell’altra e per imparare i nuovi meccanismi della relazione. È palpabile il fatto che Miri fatichi a scendere a patti con i suoi traumi, le sue emozioni sono forti e opprimenti, seppure di base l’amore che prova per Leah, per quello che significa per lei, per il rapporto che hanno, per il tempo trascorso insieme, sia forte e dirompente. Miri rappresenta un’acqua tormentata, piena di onde passivamente rabbiose che si riversano sulla sabbia; Leah simboleggia la pacatezza inquietante dell’acqua profonda di cui non sappiamo nulla.

Ho pensato al giorno in cui, morta lei, al mondo non sarebbe rimasto nessuno che amavo davvero. Credo si possa amare qualcuno a lungo senza averne la consapevolezza, te ne accorgi dal modo in cui noti un’imperfezione del viso o un difetto di pronuncia, un’anomalia che non puoi più dimenticare, una volta che l’hai riconosciuta. Ti stai rendendo conto solo adesso che le persone muoiono? mi aveva chiesto Leah quando avevo formulato quel pensiero a voce alta, mentre me ne stavo rannicchiata accanto a lei sul divano, le ginocchia premute dietro le sue. Non le persone, le avevo risposto, tu.

Il romanzo Le nostre mogli negli abissi di Julia Armfield si presenta come una storia dalle mille sfaccettature, in cui ognuno può recepire qualcosa di diverso dal significato delle profondità dell’abisso. Ci si può attenere a una visione più lineare, vivendo una storia tormentata di una relazione difficile; si può cercare il sovrannaturale in qualunque cosa accada o si può guardare ogni evento con occhio – per quanto possibile – scientifico.

Una cosa è certa: quando si guarda all’interno della profondità della nostra coscienza, se ne esce profondamente cambiati.

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