Nessuna visione strategica e la sanità pubblica è abbandonata a sé stessa. Ancora tagli: ma che differenza c’è con l’austerity dei tecnocrati?
Il governo Meloni ha approvato, recentemente, la manovra economica nella legge di bilancio 2023. Una manovra sulla quale il giudizio è negativo, perché mostra elementi di inadeguatezza ed è carente di una visione del Paese e di un disegno strategico che sia capace di ricomporre e rilanciare le politiche pubbliche finalizzate allo sviluppo sostenibile e al lavoro, ma è carente anche sulla sanità pubblica che è stata abbandonata a sé stessa; come pure sulla salute e sicurezza, mentre continuano a morire sul lavoro ogni giorno i lavoratori.
Nella manovra mancano le risorse per gli investimenti poiché si privilegia invece la spesa corrente, si preannunciano ulteriori tagli e si introducono misure che non determinano creazione di lavoro.
Il contrasto alla povertà è senza dubbio una priorità per il Paese, ma la povertà non si combatte se non c’è lavoro e non si rafforzano le grandi reti pubbliche del Paese: sanità, istruzione e servizi all’infanzia e assistenza.
Niente innovazione per la Pubblica Amministrazione
Del tutto assenti sono i riferimenti all’innovazione nella Pubblica Amministrazione. Anzi è una logica diversa da quella che punta al settore pubblico come fondamentale per lo sviluppo. Anche alla scuola pubblica ancora una volta non vengono aumentati i finanziamenti e ciò produce una realtà scolastica che rischia di diventare marginale e riservata alla fascia della popolazione che, nei fatti, vive emarginata ed esclusa. Invece, bisogna sostenere la scuola pubblica affinché migliori sempre di più, perché, in una società evoluta, bisogna dare pari opportunità di accesso al sapere e alla conoscenza per ridurre di molto l’emarginazione e l’esclusione.
Ancora si parla di autonomia differenziata: il contrario del garantismo e dell’equità, che sono le funzioni primarie di uno Stato
Inoltre si continua a sostenere l’Autonomia differenziata. Non si può pensare che il Paese dividendosi con l’autonomia differenziata esca dal limbo. Si esce tutti insieme e il Mezzogiorno, non può essere considerato solo un simulacro di assistenzialismo. Ha grosse potenzialità, eccellenze produttive e chiede lavoro e investimenti nelle infrastrutture materiali e immateriali, per poter competere e per avere pari opportunità. Se lo si fa, può essere un’opportunità importante per questo cambio di scenario economico. Basta con le divisioni e basta con l’idea che il Paese debba uscire dal circuito delle grandi opere perché così lo si impoverisce ancora di più.
Legge di bilancio 2023, Tutto da rifare: ancora nessuna politica del lavoro. Esclusione sociale e povertà dilagano incontrastate
Lo stesso decreto sul lavoro, approvato il 1° maggio dal governo Meloni, a fronte di alcuni contenuti positivi come: il nuovo taglio sul cuneo fiscale; le modifiche al reddito di cittadinanza e alcuni incentivi per le nuove assunzioni, ha delle lacune molte evidenti. Non è per niente positivo non aver individuato nuove politiche che mettano al centro il lavoro e la sua qualità, in particolare per i giovani e le donne
Complessivamente le due misure non sono in grado di contrastare l’esclusione sociale e la povertà; non ci sono processi redistributivi e di coesione nel Mezzogiorno, che prevedano investimenti: in infrastrutture materiali e sociali, innovazione, sanità, scuola, formazione e ricerca, prevenzione e messa in sicurezza del territorio e che sostengano le politiche industriali.
Siamo lavoratori e siamo stanchi di subire aggressioni da governi di ogni colore. Vogliamo solidarietà e coesione, vale a dire ricostruire il patto generazionale
Dobbiamo, invece, recuperare le politiche che in passato hanno permesso una eccezionale crescita delle economie occidentali e del nostro Paese. Una crescita che è stata frutto di politiche tariffarie sistematiche, di costruzione e ricostruzione dell’apparato produttivo, di difesa delle attività nazionali e di protezione sociale. Purtroppo una politica economica miope di tagli, per rispettare i dogmi della finanza e dell’austerità, ci ha condotto, in tutti questi anni e con governi di tutti i colori, ad una vera e propria aggressione ai lavoratori italiani, al ceto medio, al mezzogiorno e al depauperamento del nostro sistema produttivo.
Prese di posizione e contraddizioni del nostro sistema di welfare complicano ancora di più la situazione relazionale in un’Italia in cui, ogni giorno che passa, si sfaldano coesione e solidarietà. Un fenomeno che emerge nel dibattito è la divisione intergenerazionale e quindi il venir meno del patto proprio fra generazioni. Tale contrapposizione fra giovani e anziani, alimentata strumentalmente, è sintomatica di un tempo che cerca di ridurre il peso delle rappresentanze sociali per influenzare le scelte economiche in una logica ultraliberista.
Come si può pensare di opporsi a questa campagna denigrando invece che confrontandosi. Se è vero che si è rotto il patto generazionale, allora la domanda è: come lo si rivive se non si accetta il dialogo ma si mette tutti uno contro l’altro, con l’unico scopo di indebolire le due generazioni?
In tal senso, bisogna recuperare una forma di dialogo dove i giovani, se vogliono contribuire alle scelte strategiche economiche e sociali, hanno un modo molto più forte che è quello di entrare e partecipare direttamente alle scelte e alla vita politica e sindacale, in modo da confrontarsi così anche con le altre generazioni. I giovani d’oggi sono dipinti come soggetti avulsi dalle problematiche collettive e sempre più chiusi nelle proprie individualità e in competizione continua, fino all’esasperazione del concetto che li raffigura refrattari alla solidarietà e alla coesione.
Ma ci siamo mai chiesti se è proprio così? Chi frequenta i giovani vede in essi persone sempre più smarrite, perché manca loro un punto di riferimento; persone a cui, in molti casi, è stata tolta la possibilità di programmare la propria vita e che al contrario vorrebbero avere uno scopo che li faccia sentire parte attiva della società e delle scelte che essa fa. Sono quindi interessati a capire e a confrontarsi, ma dove lo possono fare?
Il problema vero è che dobbiamo, almeno noi che abbiamo fatto della nostra vita una battaglia di libertà, democrazia e impegno civile e sociale, individuare e ricostruire strutture e sedi dove ci si possa confrontare sulle problematiche politico-sociali ed economiche emergenti per ritornare ad essere soggetti protagonisti e partecipi della vita sociale e civile di questo Paese.
Ma tornando alle manovre finanziarie, purtroppo, la mancanza di chiarezza all’interno del Governo ci rende difficile individuare un percorso virtuoso sul piano economico e occupazionale in questa complessa fase.
Come se tutto questo non bastasse, ci si mette l’Unione Europea: Patto di Stabilità e Crescita ma…
A complicare le cose è arrivata la proposta di riforma sul nuovo Patto di Stabilità e di Crescita che la Commissione UE ha presentato nei giorni scorsi con “l’obiettivo centrale di rafforzare la sostenibilità del debito pubblico e promuovere una crescita sostenibile e inclusiva in tutti gli Stati membri attraverso riforme e investimenti”.
Di fronte a queste nuove regole del Patto si può dire che vengono meno le aspettative e ripresi, di nuovo, gli elementi pre-covid che hanno portato molte economie europee in una crisi drammatica: aumento dei debiti, disoccupazione, emarginazione e povertà. Concordo con il vicepresidente del Consiglio Tajani che ha affermato di fronte a queste linee economiche non si può pensare di tornare a una politica rigorista, che sarebbe anti-economica e non contribuirebbe a ridurre il debito pubblico.
Ritornerebbe la solita politica di austerity che tanti guai ha portato e si dovrebbe continuare con nuovi interventi correttivi per risanare i conti pubblici, senza poter investire in sviluppo e occupazione perché ancora sono conteggiate nel calcolo su cui si misura il rispetto dei parametri.
Torniamo alle Riforme, vere, concrete, contro i numerosi interessi che lavorano per demolire lo Stato
Le nostre perplessità sul merito delle misure e del nuovo Patto proposto dalla Commissione debbono trovare una sede di confronto fra forze politiche, forze sociali e Governo, altrimenti qualsiasi proposta di modifica rischia di affievolirsi di fronte alle esternazioni europee. Credo che il punto sia proprio questo: in questo Paese, purtroppo anche grazie al contesto europeo, non si riesce a discutere per fare le riforme, poiché interessi molteplici e consistenti spingono per proseguire una vera e propria politica di demolizione dello stato sociale e di un modello di società che è stato. Pertanto, bisogna avviare una riflessione per opporsi a questa politica e fare di tutto per raggiungere intese soddisfacenti e adeguate a ridare fiducia nel futuro a questo Paese.
A questo punto, da sostenitore di quel modello sociale, quello dello Stato sociale, ossia il modello socialdemocratico, riformista, ritengo che solo una ripresa strategica della politica sociale possa permetterci di ripristinare regole e diritti, volti non a garantire privilegi, come affermano i sostenitori del neoliberismo, bensì pari opportunità di sviluppo, in particolare ai giovani e su scala mondiale a tutti i paesi del mondo.