Sul numero di Internazionale in edicola (n. 1483) si dà notizia che, per celebrare i quarant’anni dalla sua scomparsa, la casa discografica Sony pubblica una nuova edizione delle celebri Varazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach, interpretate dal leggendario pianista canadese Glenn Gould, spentosi appunto nel 1982.
Si tratta di un cofanetto di ben undici compact-disc dove viene fedelmente ricostruita la realizzazione del disco originale, apparso nel 1955 e che proiettò il musicista nella dimensione del mito, una dimensione poi alimentata dalla biografia personale dell’artista.
Per ascoltare undici compact-disc, contenenti differenti versioni di uno stesso brano, ci vuole pazienza oltre che amore – ma l’amore indubbiamente conduce alla pazienza, oltre a molte altre cose.
Più opportuno ricordare, almeno in questa sede, che a metà degli anni Sessanta (al culmine della propria popolarità) Gould decise di abbandonare l’attività concertistica e di dedicarsi esclusivamente alla produzione discografica. Specificò i concerti erano il passato mentre le registrazioni il futuro.
Non si trattò di un episodio isolato perché poco tempo dopo (e in quel caso la popolarità era ancora più estesa e gli interessi in gioco maggiori) la stessa decisione venne presa dai Beatles; i quali, dopo aver realizzato l’ambizioso disco “Sgt.Pepper”, scoprirono essere più attratti dalle composizioni che dalle esibizioni.
Per ragioni sia professionali che personali pure il trombettista Miles Davis, il più importante musicista jazz della storia, si ritirò a lungo negli anni Settanta; salvo fare ritorno nel decennio successivo, ribadendo il suo eccezionale carisma.
Rispetto alle regole del mercato, che ormai indirizzano non solo la vita dell’arte, ci chiediamo se oggi per chiunque sarebbe possibile il ritiro. Se fosse possibile poterlo fare. Averne la libertà. Ed è una cosa che vale per tutti, mica solo per i Beatles.