Per i lavoratori. Un ricordo non-scientifico di Gianni Garofalo

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Mario Giovanni GarofaloMario Giovanni Garofalo (Bari, 1944 – 2011) era un uomo notevole sotto molti punti di vista, e mio fratello maggiore. Un giurista eminente, un giuslavorista, essendosi per tutta la vita occupato di Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali, di cui era docente presso l’Università di Bari Aldo Moro, oltre ad essere stato per alcuni anni preside della facoltà di Giurisprudenza. Lo spessore del suo contributo alla disciplina giuslavoristica si può commisurare, oltre che dalla sua vasta produzione scientifica, dai convegni che gli sono stati dedicati: il più recente è stato la Giornata di Studi del 5 dicembre 2022, intitolato I giovani giuslavoristi e gli studi di diritto del lavoro, curata dall’AIDLASS (Associazione italiana di diritto del lavoro e della sicurezza sociale) e dalla stessa Università di Bari. Ma va ricordato anche il convegno in memoria del 24 settembre 2021, e il volume Studi in memoria di Mario Giovanni Garofalo di AA.VV., pubblicato nel 2015 dall’editore più fedele, Cacucci, che testimonia il vuoto forse incolmabile da lui lasciato in questo ambito di ricerca.

C’è poi la sua produzione scientifica, che vanta la ragguardevole cifra di 211 pubblicazioni distribuite in 44 anni di lavoro, fra cui svariati libri sotto il suo nome; l’attività di insegnamento durata quanto la sua vita, la presidenza di facoltà come si è detto, e infine il periodo nel quale fu segretario della CGIL SNU (Sindacato Nazionale Università) poi SNUR (Università e Ricerca).

Subito dopo, e persino prima della conclusione degli studi universitari, Gianni ebbe l’opportunità di inserirsi in uno dei centri di ricerca più dinamici ed attivi dei primi anni settanta: una incubatrice di giovani giuslavoristi sotto l’egida di due “maestri”: Gino Giugni, che fu poi ministro del lavoro nel 1993 –’94, ed Edoardo Ghera. Del gruppo facevano parte con lui Gaetano Veneto, Bruno Veneziani, Silvana Sciarra, Franco Liso, Maurizio Ricci, Maria Luisa De Cristofaro e vari altri. Quell’Università che soltanto dopo il terribile sequestro e delitto del 1978 prenderà il nome di “Aldo Moro”, era già allora e sarà ancora per decenni il centro della cosiddetta école barisienne, una vera rinascita intellettuale che aveva una importante sponda nelle case editrici Laterza e, finché sopravvisse, De Donato, e che si estendeva su vasti ambiti del sapere: dalla sociologia all’economia, dal diritto alla filosofia, dall’antropologia all’informatica. È proprio il giovane ricercatore dei primi anni settanta che intendo portare all’attenzione.

I primi passi, già importanti, nella filosofia del Diritto. Lo Statuto dei lavoratori e la legge 300 del 1970

Ancora anni prima, la domenica, invadevamo il grande letto dei nostri genitori; Gianni era uno studentello liceale ed era in qualche modo presente, sempre con qualche lettura sotto gli occhi. Io giocavo al sottomarino, infilandomi completamente sotto le coperte fino ai piedi del letto e contemplavo i riflessi della luce, sempre vivace in quella nostra casa, filtrata dal tessuto. Certamente un’infanzia felice la mia, bruscamente interrotta dalla prematura scomparsa di nostro padre nel 1967 quando i fratelli, Gianni e Luciano che è il mediano, giocarono un ruolo, anche quello prematuro, di “adulti” che dovevano informarmi della morte di papà. Ventitreenne allora, Gianni ebbe il suo esordio come nuovo riferimento per la famiglia a sostegno e complemento di nostra madre. Quella disgraziata vicenda tuttavia non frenò né rallentò il suo percorso accademico ed esistenziale. Come detto avvenne tutto nel volgere di pochi anni. I giovani giuslavoristi formarono intorno a Giugni e Ghera un circolo permanente, collaborando a vario titolo agli studi preparatori, e probabilmente alla stesura di vari articoli dello Statuto dei lavoratori: legge 300 del 1970, destinata alla storia per aver rappresentato nel nostro paese la prima formulazione legislativa organica dei rapporti di lavoro, ossia del complesso di relazioni fra datore di lavoro e dipendenti, riportato ad un superiore livello di universalità etica mentre la disciplina, fino a quel momento, era stata considerata di natura squisitamente privatistica e scarsamente normata.

L’intento universale e la nuova filosofia del lavoro dello Statuto emerge con chiarezza nell’enunciato dell’art.1, che recita:

Libertà di opinione.

I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge.

(TITOLO I: Della libertà e dignità del lavoratore)

Con un’intonazione degna della Dichiarazione di diritti dell’uomo e del cittadino del XXVI agosto 1789, i lavoratori sono riconosciuti come portatori di diritti inalienabili sul luogo di lavoro, e non sfuggirà la stretta relazione di questo enunciato con l’art. 1 della Costituzione (“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”) ma ne supera l’astrattezza e specifica quanto l’esercizio di questa sovranità in capo al “popolo” non possa essere prevaricata nella prassi concreta dei rapporti sociali, e infine, che la responsabilità di preservare la sovranità popolare, esplicitamente politica, sta in capo alla massa dei lavoratori e allo stesso modo del più ristretto gruppo degl’imprenditori.

Il gruppo di ricercatori intorno a Giugni e Ghera. Giovani docenti universitari già a 30 anni

L’importanza storica dell’opera di Giugni, Ghera e dei “Giugni boys” fu confermata dal fatto che praticamente tutti loro divennero docenti intorno alla trentina, ad un’età anagrafica oggi impensabile per le carriere universitarie. Ciò rende facilmente spiegabile la ragione per cui gran parte delle pubblicazioni di mio fratello in quegli anni abbiano ad oggetto un’approfondita esegesi dello Statuto. Nel 1974 il Commento all’art. 22 dello Statuto dei lavoratori (RGL, Rivista Giuridica del Lavoro I, 609); l’anno successivo il Contributo all’esegesi dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori, (in RTDPC 1975, 560); nel ’79 il Commento agli artt. 18, 22, 28 e 29, (in Lo Statuto dei lavoratori – Commentario a cura di G.  Giugni, Giuffrè, Milano) e così via.

Mario Giovanni Garofalo | photo credit: ©Franco Garofalo

In quel periodo Gianni assunse una fisionomia definita e riconoscibile di studioso che non disdegnava l’essere anche un poco personaggio, come ben descritto nella benevola caricatura qui riprodotta: baffi e pizzetto, occhiali dalla montatura nera ad accentuare la severità del suo sguardo, l’immancabile pipa e l’odorosa confezione di tabacco Amphora, per gli amanti del tabacco Virginia fra i quali certamente Gianni si annoverava.

Diritto del Lavoro non solo per la crescita dell’industria ma per la vita sociale italiana. Nel mirino delle Brigate Rosse

Il principio di un “laboratorio” giuslavoristico dalla parte dei lavoratori, inteso come contributo della scienza giuridica all’inveramento ed alla realizzazione del dettato degli artt. 1, 4, 35 e 37 della Costituzione, curando le astrattezze di enunciazioni che sfidano la società italiana ad uscire dalla sua immaturità e arretratezza, è stato indubbiamente molto ambizioso: di positivo ha senza dubbio l’aver dato un vigoroso colpo di mazza alla lutulenta Italia della Democrazia Cristiana, divenuta proprio negli anni sessanta industrialmente moderna, ma restando negli stessi anni piuttosto arretrata sul piano sociale. La coscienza pubblica dell’importanza dell’opera di quel gruppo di giovani ricercatori si traduce nel successivo, impetuoso sviluppo del giuslavorismo, fino al coinvolgimento per l’ingegneria legislativa prima, come si è detto, di Gino Giugni, e dagli anni novanta di Massimo D’Antona, Marco Biagi e Pietro Ichino. I primi due furono, purtroppo, messi nel mirino dell’ultima frazione delle Brigate Rosse e vennero assassinati: D’Antona a Roma il 20 maggio 1999, Biagi a Bologna il 19 marzo 2002. Anche Gino Giugni era stato vittima di un attentato delle BR, per fortuna non mortale, a Roma il 3 maggio 1983. In un tempo in cui, nonostante le speranze degl’inquirenti e della polizia, le BR non erano state ancora disarticolate ma ne era solo fortemente diminuita la capacità operativa a seguito dell’assassinio di Moro, per l’attentato a Giugni venne evocata la sinistra espressione “gambizzato”.

Cambia l’Italia, nuovi temi, nuove collaborazioni, la Contrattazione collettiva

La società italiana stava cambiando in modo significativo. Sotto il fuoco convergente, da una parte della reazione, nell’ambito delle politiche del lavoro, del mondo imprenditoriale in direzione di una sempre maggiore flessibilità dei contratti (o “precarizzazione” del lavoro), e dall’altra delle sgradite attenzioni del residuo nucleo delle BR guidato da Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi, il quale dagli anni novanta sembra puntare soltanto sui giuslavoristi, il circolo dei “Giugni Boys” sembra perdere compattezza, ed i suoi componenti prendono strade diverse. Gianni Garofalo intraprende collaborazioni con una seconda generazione di studiosi e nel 1995 pubblica con Marco Barbieri La contrattazione collettiva (in Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dal d. lgs. 29/1993 alla Finanziaria 1995 – Commentario diretto da F. Carinci, Giuffrè, Milano), affrontando nuovi temi come la funzione pubblica ed il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. L’anomalia rappresentata dal pubblico impiego, a fronte della più classica visione delle relazioni industriali fra privati datori di lavoro e loro dipendenti presenta varie caratteristiche, che la dottrina giuridica non può ulteriormente ignorare.

La questione del ‘merito’ nel lavoro e nella scuola. Le origini del dibattito

Secondo la previsione dell’Art. 97 Cost., al pubblico impiego si accede esclusivamente tramite concorso. Echeggia in esso l’Art.34 Cost., terzo comma, dove si dice che “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Ma questa esplicita previsione del “valore democratico del merito”, altrimenti detto “meritocrazia”, entrava ed entra in urto con usi e consuetudini profondamente radicate nella società italiana come la raccomandazione, la ricerca di scorciatoie più sbrigative nelle carriere, l’abitudine a cercarsi e trovare “santi in Paradiso”, in breve, un protettore potente. Il pubblico impiego, che per quel presupposto costituzionale deve teoricamente selezionare soltanto i migliori e più preparati fra i candidati, finisce in molti casi, in seguito all’ostinato boicottaggio che la consuetudine attua nei confronti della selettività, per diventare una riserva di caccia per elargizioni clientelari, una modalità per erogare stipendi senza contropartita lavorativa, o addirittura una specie di ammortizzatore sociale per contenere la disoccupazione intellettuale, soprattutto nelle regioni del centro sud.

Lo sguardo obliquo di Mario Giovanni Garofalo: l’intuizione sui fenomeni migratori e la loro relazione con il Lavoro

Col nuovo millennio la “purezza” e l’energia rivoluzionaria del giuslavorismo degli anni settanta appare, quindi, piuttosto contaminata. Nel frattempo anche Gianni ha avuto una sua evoluzione, e somiglia sempre meno al personaggio degli anni giovanili. Divorziato, ha una nuova famiglia ed una compagna con cui condividere anche gli interessi di studio e di lavoro. Nel 2000 pubblica con Monica Mc Britton La legge sull’immigrazione e il lavoro, in E. Pugliese (a cura di), Immigrazione. Lavoro, sindacato, società con Ediesse, e Immigrazione e lavoro: note al T.U. 25 luglio 1998, n. 286, (in RGL). Il connubio è felice. In età matura Gianni scopre il forte portato valoriale e concettuale delle letterature. Non deve sorprendere quindi che, in un lavoro del primo decennio del Duemila, metta in epigrafe un’ampia citazione da I due ussari di Lev Tolstoj. Tali nuovi interessi – la sua biblioteca si viene popolando di novelle, racconti e sillogi poetiche, specie di autori latino-americani – affinano notevolmente le sue competentissime analisi, come si rileva dal suo contributo del 2009 al volume di AA.VV. curato da Edoardo Ghera (Jovene, Napoli) L’attualità dei principi fondamentali della Costituzione in materia di lavoro dal titolo È ineluttabile il passaggio da una Costituzione fondata sul lavoro ad un ordinamento fondato sul libero mercato?  Proprio questa “ineluttabilità” si sta facendo strada negli ordinamenti. Lo spettro di una società “deregolata”, vista dall’osservatorio di chi, come lui, vive ed opera in una regione meridionale, comporta notevoli rischi per la tenuta sociale di un’area che necessita, al contrario, di un’attenta e chiara regolazione per evitare il completo distacco fra società reale, i conseguenti rapporti di lavoro e la società ideale, raffigurata nella Costituzione.

Gli ultimi anni. La tensione morale fino all’ultimo, indagando il metodo

E siamo agli ultimi giorni. L’attività scientifica e didattica di Gianni non è mai venuta meno, nonostante la diagnosi di leucemia di qualche anno prima, ma è drasticamente ridotta. Il suo ultimo intervento è L’ambiguità dell’interpretare: conoscere o decidere? in Il Diritto e il Rovescio, pubblicato nel 2011 da Pensa. Una riflessione metodologica, quale si conviene a docenti esperti che hanno valicato i confini della disciplina e possono volgersi a meditare le sue condizioni di validità. A giugno vengo informato dai suoi figli più grandi che le condizioni si sono improvvisamente aggravate. Dopo un paio d’anni di convivenza con la malattia, forse anche in conseguenza di un ultimo, audace viaggio transoceanico in condizioni fisiche precarie, è stato ricoverato. In viaggio mi raggiunge una sua telefonata: mi stupisco dell’immutata energia della sua voce: calma, profonda, quasi ipnotica come sempre era stata. Il giorno dopo, credo una domenica, lo vado a trovare in ospedale. Ne ricavo tutt’altra impressione. La sua voce baritonale è sempre quella, ma le condizioni complessive mi appaiono senza speranza. Il decorso della leucemia è complicato dall’insufficienza renale, le difese immunitarie sono azzerate, il suo corpo è aggredito su tutti i fronti. Noto diversi orzaioli sulla sua pelle delicata, parla pianissimo e con affanno. In quell’estremo momento ci stringiamo forte una mano; dopo alcuni minuti lui stesso la scioglie da quell’ultimo saluto e si volta verso la finestra, assetato della luce mattutina che per lui è sul punto di spegnersi. Nel cordoglio, ho la consolazione di essere stato una delle ultime persone ad averlo visto in vita.

Un uomo incomparabile, tanto migliore di me. Un modello di serietà, uno scrigno di capacità al servizio di un retto sapere è venuto a mancare. Per ricordarlo non resta che la memoria di chi lo ha conosciuto, di chi può oggi testimoniare, per dirla con Gurdjieff Incontri con uomini straordinari. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Leggi anche il ricordo personale di Antonio Foccillo

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