Meloni e CGIL: tanto stupore per un po’ di dialogo. Siamo talmente disabituati al confronto che subito si loda il Principe. E le minoranze?

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“La giustizia aggiustata” di Trilussa

Giove disse a la pecora: – Non sai

quanta fatica e quanto fiato sciupi

quanno me venghi a raccontà li guai

che passi co’ li lupi.

È mejo che stai zitta e li sopporti.

Hanno torto, lo so, nun c’è questione:

ma li lupi so’ tanti e troppo forti

pe’ nun avè ragione!

Siamo così poco abituati al confronto che si enfatizza, senza motivo, il discorso di Meloni al congresso della CGIL

Questa bella poesia di Trilussa rappresenta bene quello che stiamo vivendo per la carenza di dialogo e di confronto sui problemi per il conformismo imperante. Quante lodi, al principe ed ai suoi cortigiani, si leggono o si sentono. Non ultima, l’enfasi con cui è stato presentato l’intervento della Presidente del Consiglio, Meloni, al congresso della CGIL. Seppure sia stata abile e come ha sostenuto Silvano Danesi, in un bello articolo, è stata brava tanto da sembrare addirittura una leader del centrosinistra. Pur condividendo la sostanza dell’articolo, non mi sembra che questa sua presenza sia tanto da enfatizzare, come è avvenuto in tutti i mass-media. In una democrazia è normale che ci sia un confronto costante fra governo e sindacato. Qui sembra che sia stato un evento da celebrare, forse perché i governi precedenti non hanno avuto la stessa sensibilità e hanno sempre osteggiato il sindacato, da Monti a Renzi, fino ai governi del centro destra. Nonostante questo ostracismo nei confronti del sindacato, i problemi economici e sociali, non sono mai stati risolti, ma si è sempre litigato fra opposte fazioni e si è pensato a demonizzare il proprio interlocutore.

Il problema di fondo, per non dar ragione a Giove che consiglia alla pecora di evitare di lamentarsi, perché è fiato sprecato, è tentare di immaginare un confronto vero su questa situazione di disaggio sociale e di crisi economica, per individuare un nuovo modello di  società e quali valori la devono sottendere.

Silicon Valley Bank, Signature Bank, gli effetti su Credit Suisse. I capitalisti che si fanno male pur essendo i soli a giocare

Dopo il fallimento della Silicon Valley Bank, il fallimento di un’altra banca Usa, la Signature Bank, e gli effetti che si sono determinati su Credit Suisse la domanda che dobbiamo farci: è all’orizzonte il rischio di una nuova crisi? Nonostante le smentite che possa determinarsi un nuovo ciclone sulla situazione economica mondiale, il rischio è elevato. Queste situazioni non nascono per caso ma sono dovute al capitalismo arrembante e alla finanza. Ormai è evidente il fallimento della Finanziarizzazione dell’economia e del turbo capitalismo che tanti guai hanno fatto all’economie e come sempre, quando succedono queste vicende, quelli che pagano sono sempre gli stessi.

Venendo alla nostra situazione italiana, dove già la crisi non ci ha mai abbandonato e il rischio reale è che si aggravi ancora di più

Noi viviamo mille contraddizioni su tanti fronti. La nostra non è certo una società democratica, dove pluralismo e rappresentanza vengono svilite e con fastidio sopportate. Non è società coesa e solidale quella che riduce le condizioni di vita delle persone, aumentando le tasse a chi le paga e non scova gli evasori. Non è società civile, quando non si vede il continuo allargamento delle povertà e della disoccupazione. Non è società del benessere collettivo, quando non si prende atto che i consumi sono ridotti al lumicino, anche dei generi alimentari, perché il potere di acquisto dei salari e delle pensioni diminuisce sempre più, anche per gli aumenti incontrollati dei generi di prima necessità e dei prodotti energetici, per la speculazione che la guerra ha alimentato. Non è una società giusta ed equa, quando ci sono incapienti, inoccupati e cassa integrati. Non è società includente, quando si riduce sempre più il perimetro dello Stato, ridimensionando lo stato sociale e colpendo, così, la Pubblica Amministrazione che né è l‘espressione massima e di conseguenza le persone sono diventate sempre più povere. Non è una società democratica, quando si dividono i cittadini fra bravi e cattivi, quando si ridimensiona la possibilità di esprimere, protestando senza violenza, opinioni diverse dalla maggioranza. Certo diranno che sto esagerando, ma sono convinto che chi governa, si deve far carico di tutto quello che la Costituzione garantisce, perché è la Carta che stabilisce quali sono i valori con cui tenere insieme la nostra società. Purtroppo ci si rende conto, speriamo non troppo tardi, di come si evolvono in negativo la libertà, l’uguaglianza, la solidarietà, la coesione, la cittadinanza, in sintesi la democrazia. Nel corso degli ultimi trent’anni si è determinato un passaggio da una concezione “ambiziosa” della democrazia (in cui la riduzione delle disuguaglianze e la vasta partecipazione sono centrali), ad una concezione “minima” della democrazia (in cui diventano centrali solo le procedure e in cui la partecipazione si riduce al momento elettorale). Dunque, l’esito di una riduzione della struttura democratica e partecipativa sono rischi reali nella società contemporanea, per cui è quanto mai opportuno mantenere viva la riflessione sul tema e alta la vigilanza sulla qualità delle nostre democrazie. In questo scenario nessuno s’interroga più. Tutti conformisti, tutti si schierano con il vincitore, magari un attimo prima che succeda, per garantirsi solo vantaggi personali. Si può pensare di continuare così? Non credo. Una svolta è necessaria, anche culturale, per continuare a far pensare le persone sulla necessità di interrogarsi come si vuole costruire il domani; come, qualsiasi scelta che si deve fare possa presupporre un’evoluzione positiva.

Tornado alla poesia di Trilussa, bisogna sconfiggere i tanti acquiescenti, i tanti conformisti, alla logica del potere che inneggiano al “principe” di turno e dare un po’ di fiato alle minoranze, che immaginano una società diversa dove deboli e forti vivano insieme e dove i secondi rinuncino ad un pezzo della loro ricchezza a favore dei primi. Non è utopia! Si chiama stato sociale, si chiama socialismo, si chiama laicità, si chiama democrazia, dove le persone devono essere “cittadini” e non sudditi, partecipi alla vita politica e sociale, così come prevede la Costituzione. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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