Nuove forme di violenza che richiedono nuove risposte

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In questa settimana sono accaduti due fenomeni di violenza. La violenza è un problema che attraversa trasversalmente tutte le forme di rapporto dell’uomo con gli altri, siano queste individuali, sociali, economiche, politiche, culturali. Essa rappresenta certamente il sintomo nel quale si manifestano, nel modo più drammatico, le fragilità che appartengono al sistema socioeconomico e civile, frontiera sulla quale la società e l’individuo rischiano costantemente il senso e il valore della propria identità, dove s’interrompe la possibilità per l’uomo di comunicare con sé stesso e di riconoscersi nel rapporto con gli altri. Vi sono lacerazioni aperte di violenza, quando si produce una negazione sociale, che inevitabilmente è anche esistenziale. Pensiamo alle tante povertà, non solo di natura economica; pensiamo alle emarginazioni delle minoranze, alla condizione femminile, che ancora è segnata da troppa violenza; oppure pensiamo ai rapporti fra cittadini e giustizia o ancora alla condizione del lavoro e di chi non ha lavoro; ai molteplici luoghi dove viene consumata la violenza, ai ghetti, le carceri etc. È evidente come laddove esiste violenza qualunque sia la sua origine, esiste una necessità di promuovere una pienezza civile disattesa.

[sulle carceri, leggi questo articolo o quest’altro]

Ma queste due forme accadute in questi giorni, sono da analizzare perché generano una nuova forma di preoccupazione.

La prima avviene in concomitanza all’insediamento formale del nuovo governo di destra, che in pratica si autoproclamato governo dei pregiudizi. La contestazione avviene alla Sapienza da parte degli studenti per fermare un dibattito per la presenza di un presunto fascista e conseguentemente vengono a loro volta affrontati molto duramente dalla polizia.

Non dobbiamo cedere alle contrapposizioni. Conosciamo già gli scenari possibili

Quello che è avvenuto alla Sapienza fa riflettere per la contemporaneità sia con il dibattito parlamentare del nuovo governo sia rispetto alla violenza sguaiata verbale che si è scatenata da parte delle forze politiche di opposizione, senza mai riconoscere le ragioni dei propri avversari. Ricomincia così una drammaticità dello scontro che rischia di esplodere sempre più ampiamente. La preoccupazione che di fronte ad un governo di destra, si possa riproporre una nuova escalation di violenza politica. Non facciamo tornare indietro il Paese all’estremismo di sinistra o di destra che è già costato tanti morti al Paese.

Queste immagini di violenza fanno pensare a quella degli anni Settanta. Vi era all’inizio la stessa cattiveria, le stesse forme di ribellione. Certo quei giovani, spinti da cattivi maestri e da false ideologie hanno poi alzato il tiro con violenze contro i militanti politici di destra o di sinistra, costituendo i prodomi di un fenomeno più grave, quale il terrorismo e le brigate rosse. Certo non siamo a questo livello. Ma dobbiamo restare vigili perché per la prima volta dal dopoguerra, nasce un governo di destra e questo potrebbe essere l’avvio di nuovi livelli di scontro. Ed è proprio il governo che, per prima, deve mantenere molta responsabilità e soprattutto calma per evitare che ciò accada.

La seconda: non più tardi di qualche giorno fa ad Assago in un supermercato, si è esplicitata con la morte ed i ferimenti di alcune persone che stavano facendo la spesa, da parte di un italiano. È pazzia? È disagio? È altro? Non è ancora chiaro!

Partendo da ciò, si tratta inizialmente di cercare di definire cosa si intende per violenza.

La violenza chiama violenza, devono capirlo anche le istituzioni. Ricostruiamo la coscienza sociale con autentico approccio laico

Si tratta prima di tutto di saper riconoscere come la violenza abbia attori differenti, così come sono differenti le azioni violente, le ragioni, i contesti e perciò i destinatari. Gli attori possono essere: la cultura, intesa come il complesso delle consuetudini, dei valori, dei costumi e dei comportamenti che identificano un gruppo sociale o una comunità, costituisce senza dubbio l’occasione di una violenza possibile. Laddove determina differenze tra soggetti e valori, tali da investire negativamente l’identità individuale e collettiva di alcune categorie di soggetti o di comportamenti. Evidenti sono gli esempi che riguardano la condizione femminile, gli omosessuali, i tossicodipendenti, i no vax.

Bisogna impegnarsi affinché si affermi, sempre più indispensabile, una coscienza sociale contro la violenza. Nel sostenere una simile politica, occorre evitare di impiegare categorie di interpretazione che fanno della violenza un fenomeno isolato, oppure che distinguano troppo nettamente la violenza dal contesto in cui è presente. Occorre cioè un approccio laico, affrancato da apriori ideologici, che sappia intendere la violenza nel suo sviluppo storico ed effettuale, rispetto alla quale, quindi, realizzare un’idonea consapevolezza. Allora questo impegno che bisogna prendere si può concretizzare assumendo una prospettiva politica che rilanci la solidarietà sociale, la partecipazione dei cittadini allo sviluppo delle condizioni che determinano la democrazia, le equità, le tolleranze e la giustizia. Ciò significa che non è più sufficiente, per quanto essenziale, tutelare una parte di cittadini quando devono affrontare una negazione che li coinvolge nei loro rapporti con lo Stato, oppure quando si trovano estranei alle scelte che decidano il funzionamento delle istituzioni o del sistema produttivo, oppure quando loro malgrado, sono marginalizzati dalla cultura, dal sapere e dalla conoscenza che si sviluppano nella società e, infine, la possibilità di riconoscere al cittadino la possibilità di riscuotere i propri diritti, senza che ci siano abusi, soprusi e burocrazie. Si impone il compito di operare affinché simili necessità trovino adeguate soluzioni. Come? Innanzitutto attraverso l’informazione e la partecipazione. Cioè attraverso la Politica che sia occasione di conoscenza, di diffusione e allargamento della consapevolezza in modo che il cittadino ritorni ad essere al centro di tutto e non  suddito.

 

 

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