In Italia e in tutto il mondo si è sviluppato un processo di trasformazione e redistribuzione della ricchezza e del potere politico ed economico che ha reso incerte quelle prospettive di consolidamento e allargamento della democrazia e di quei diritti fondamentali dell’uomo che erano divenuti, dopo la seconda guerra mondiale, le basi di ogni società civile e moderna. In questo contesto di crescente instabilità sociale, si è consumata una gigantesca ristrutturazione industriale che, mentre accelerava il cambiamento, contemporaneamente introduceva, accanto ai vecchi irrisolti conflitti socioeconomici, nuovi motivi di contrasto.
La diminuzione della sfera di intervento statale richiesta e ottenuta dalle politiche neoliberiste contro gli interessi dei cittadini
Gli effetti della crisi politico-economica, che si trascina da anni, sommati alla incontrastata ripresa di idee conservatrici e liberiste, hanno minacciano i valori e le conquiste di un lungo e faticoso processo di politica riformatrice. Queste politiche neo liberiste hanno chiesto allo stesso Stato di ritirare il suo perimetro di intervento, senza considerare che facendo così si contribuiva all’impoverimento dei cittadini. Questi ultimi valutano lo Stato dal riscontro che si ha del funzionamento della Pubblica Amministrazione, che ne rappresenta lo strumento d’azione sul territorio. Esso, quindi, è considerato attento o lontano dai bisogni e dalle esigenze dei cittadini a seconda se la sua amministrazione è funzionante o meno. Contestualmente, lo stesso processo di integrazione europea si è modulato esclusivamente sui parametri monetari e ha rappresentato il passaggio verso un nuovo modello politico fondato sull’austerity. Puntuale nell’osservazione dell’oscillazione dei cambi, dello spread, dell’abbattimento dell’inflazione, della tenuta dei parametri e disinteressato nei confronti dell’esercito dei disoccupati, dei sottoccupati, dei deboli e degli anziani.
Un progetto chiaro, un meccanismo perverso: immolare stato sociale, dignità e diritti sull’altare della competitività. La disoccupazione di massa utilizzata per giustificare la violazione del principio di solidarietà. Ecco come
È evidente quindi l’obiettivo di questa politica: tutte le spese di ciò che ancora sopravvive dello stato sociale dovevano essere immolate sull’altare della competitività, venendo meno ai principi costituzionali di solidarietà e coesione che danno dignità al cittadino. Di conseguenza, sembra piuttosto difficile far marciare a braccetto il completamento della democrazia politica con quello della democrazia economica. Per cui al moderno sviluppo corrisponde la crescente disoccupazione di massa, i cui dati vengono usati come grimaldello per violare i principi di solidarietà che ancora resistono nello stato sociale. Quel Welfare State contro cui quotidianamente in questi anni si sono scagliati liberisti e monetaristi, in un movimento divenuto trasversale a quasi tutti gli schieramenti politici. Come se ciò non bastasse, la proposta di autonomia differenziata, riproposta in questa legislatura dalla Lega, vanifica ancora di più il ruolo unificante dello Stato e di produttore di benessere per tutti i cittadini, rinnegando la solidarietà e affermando l’egoismo. Noi pensiamo che lo Stato debba mantenere, pur in un’articolazione dei poteri, un raccordo centrale sulle politiche, che si attui mediante poteri di coordinamento, controllo, riequilibrio e di supplenza in funzione di tutela e solidarietà nazionale, non abbandonando, di conseguenza, le sue funzioni costituzionalmente riconosciute.
L’imperante educazione delle nuove generazioni al disfattismo. A forza di denigrare tutto e tutti in barba al bene comune, finiranno col distruggere le istituzioni dall’interno, allora recuperarle sarà troppo tardi
A quest’opera di smantellamento del vecchio modello di welfare si è accompagnata un altrettanto pervasiva campagna di disfattismo nei confronti del Parlamento, delle Istituzioni e dei partiti, che ha minato la credibilità agli occhi dei cittadini delle forme di rappresentanza e di tutto quello che è pubblico. E a furia di ripetere certi concetti di offesa verso tutti, compresi i sindacati, questo tam tam finirà per attecchire sempre più nelle nuove generazioni, anche grazie a quella sempre più generalizzata perdita della memoria storica delle lotte popolari per l’unità e la democrazia e delle battaglie dei lavoratori contro lo sfruttamento e per l’uguaglianza dei diritti. La mancata soluzione dei problemi istituzionali, dei quali si è discusso per anni, e l’inadeguatezza dei provvedimenti adottati stanno disgregando i valori sociali e la stessa credibilità dello Stato, creando un palese sistema di delegittimazione generale. Sempre più si vuole avere un rapporto diretto con i singoli individui e non con chi li rappresenta, dimenticando le lezioni della storia che al facile condizionamento del singolo ha risposto con la nascita delle rappresentanze collettive. Non si tratta di un problema di poco conto, anzi se ne parla troppo poco! Riguarda tutti noi, perché si stanno sgretolando goccia a goccia i pilastri su cui si è costruito il nostro modello di società. Come si diceva, l’Amministrazione pubblica ha sempre mutuato il suo potere dallo Stato che, in quanto tale, è per antonomasia un soggetto autoreferente. Ma se il suo ruolo si restringe e si praticano solo politiche economiche di tagli, addirittura lineari, alla P.A vengono a mancare i mezzi umani, culturali e finanziari con cui lavorare. E chi lavora in questa P.A. non può che subirne drammaticamente le conseguenze, sentendosi estraneo al ciclo di sviluppo della società. Oggi le difficoltà sono tutte figlie del fatto che senza un rilancio dell’autorità dello Stato, di cui i pubblici dipendenti sono un elemento fondamentale, non è possibile recuperare l’immagine o ancor meglio il senso della funzione pubblica.
Lavoro. Concentrarsi sui contratti non basta per ripulire il curriculum dello Stato. Dobbiamo riprendere la cultura del bene comune, la trasparenza, semplificazione dei linguaggi e ricostruire la partecipazione attiva dentro e fuori la Pubblica Amministrazione
Il contratto, la qualità della prestazione – nel modo di definire una professionalità, una funzione, una retribuzione, uno status giuridico – non sono risolutivi a modificare l’immagine negativa su cui si è operato in questo Paese. Ma noi che ci siamo sempre impegnati a favore di riforme che migliorassero la funzionalità dell’amministrazione e valorizzassero i lavoratori, dobbiamo continuare a perseguire una linea propositiva, coniugando la difesa dei diritti dei lavoratori con la soddisfazione dei diritti dei cittadini utenti. E ancora! Dobbiamo proseguire la nostra iniziativa per concretizzare alcuni presupposti fondamentali che sono all’oggetto delle nostre discussioni da anni: dalla separazione fra politica e amministrazione alla delegificazione; dalla semplificazione del linguaggio burocratico alla trasparenza. E, infine, vanno rilanciate le forme di partecipazione, attraverso le nuove relazioni sindacali che rendano i lavoratori protagonisti di una P.A. più efficiente, perché quegli stessi dipendenti ne hanno tutto l’interesse. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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