Tutti gli ultimi governi, di qualsiasi colore, hanno tagliato la spesa pubblica. Stessa logica, stessi risultati
In questi anni si può tranquillamente affermare che puntualmente le questioni economiche sono state affrontate mettendole al primo posto dell’agenda politica. Ne abbiamo avuto conferma, anno dopo anno, ogni qualvolta si presentava lo stato dei conti pubblici attraverso il documento di programmazione finanziaria ed economica e poi attraverso l’elaborazione dei diversi provvedimenti di gestione con la presentazione della legge finanziaria. Il Governo, di qualsiasi colore sia stato, negli ultimi anni, ha fotografato la situazione sempre allo stesso modo e i mass-media hanno riportato una serie di titoli sull’urgenza della riduzione dei costi dello stato sociale, in particolare, sulla necessità di tagliare su pensioni e spesa sanitaria, oltre che ridimensionare la spesa pubblica, intervenendo con drastiche misure nel pubblico impiego.
Pur comprendendo le difficoltà che comporta stilare una legge Finanziaria, non è possibile che ad ogni presentazione che si sussegue si continui, come se nulla fosse, a mettere in discussione conquiste fondamentali che il mondo del lavoro aveva saputo costruire nel tempo. Purtroppo, ogni legge Finanziaria, si porta dietro problemi complessi, problemi che riguardano tutti i settori della nostra società.
Le proteste in Francia contro la riforma delle pensioni. Sono già diventate un esempio per UK e Germania. E noi?
I commentatori del pensiero unico hanno sempre ripetuto che le scelte di politica economica inserite nelle varie finanziarie devono essere rivolte a ridimensionare le spese pubbliche, a fare le riforme delle pensioni in tutta Europa e a imporre a tutti i cittadini europei un tenore di vita molto diversa dal canone tradizionale di welfare che ha contraddistinto gli Stati europei negli ultimi cento anni (Bismarck 1933: i primi aneliti di stato sociale; le società di mutuo soccorso in Italia ai primi del 900). E allora la conseguenza scontata è che viene meno anche la sensibilità di chi dovrebbe riflettere sui vari tipi di occupazione che ciascun essere umano ha svolto nella sua vita, su quanto questi possano aver inciso sulla sua salute, fisica e psicologica. Assistiamo in Francia ad un rifiuto all’innalzamento delle pensioni con manifestazioni sempre più partecipate. Speriamo che sia un anelito di opposizione a queste politiche imposte dalla finanza che parta dalla Francia, si allarghi a tutta l’Europa e finalmente risvegli le coscienze per battersi contro questo disegno perverso.
La favola della ‘ripresa’ da ottenere privatizzando tutto
Ho sempre ritenuto che in questo scenario di crisi e di difficoltà economica, prodotto del fallimento delle idee neoliberiste, bisognasse ridiscutere l’austerità che è alla base della costruzione europea dei giorni nostri, perché essa ha colpito duramente i salariati e i ceti medi e inferiori attraverso tagli degli stipendi, la riduzione delle prestazioni sociali, fino all’allungamento dell’età legale per la pensione. Per completare il tutto, in nome di una fantomatica ripresa, si sono smantellati sempre più i servizi pubblici e si è privatizzato ciò che ancora non è stato privatizzato, con una soppressione massiccia di posti di lavoro (nell’istruzione, nella sanità, ecc.).
La ricetta è sempre uguale: privatizzare ancora e mercificare le ultime riserve di vita sociale, facendo crescere il valore di una massa immutata – o in diminuzione – dei valori d’uso per prolungare solo di qualche anno l’illusione della crescita.
Così il cittadino che prima ha pagato il salvataggio dei mercati, poi ha dovuto pagare la destabilizzazione degli Stati, che devono obbedire all’odierna parola d’ordine: “tagliare la spesa pubblica” o per meglio dire quel poco che ancora resta.
Dalla Scuola alle strade, dagli asili agli ospedali, tutto quello che ci tolgono un pezzo alla volta
Spesa pubblica significa innanzitutto scuola pubblica, università pubblica. Significa strade, centri culturali, asili, ospedali, cure mediche. Significa, in ultima analisi, redistribuzione del reddito e diminuzione della sperequazione economica; significa offrire un servizio a chi non potrebbe permetterselo; significa garantire una vita dignitosa a tutti.
Insomma rinunciare a tutto questo significa tagliare il Welfare State, che è stato una delle più grandi conquiste sociali di sempre.
Allora mi sembra evidente che prima il salvataggio dei mercati con i soldi pubblici e quindi a spese di tutti i cittadini che pagano le tasse, poi la riduzione, quasi l’annullamento, della spesa pubblica, soprattutto quella che qualifica il Welfare siano, in realtà, operazioni di drenaggio di risorse che dalla comunità passano agli speculatori finanziari.
Questo dato dovrebbe spingere i governi ad intervenire per mitigare questa forte sperequazione economica e non tagliare le “spese pubbliche” che aumentano il divario economico e sociale. Ma buona parte dei media ha insistito, prospettando scenari apocalittici, sulla necessità del taglio dei servizi pubblici o alle pensioni. Insomma la crisi doveva essere pagata dai ceti più poveri, dagli operai, dai lavoratori, dalle casalinghe e dai pensionati.
Usciamo dalle grinfie della finanza e abbattiamo la dittatura dei mercati!
Rifiutare democraticamente questo diktat significa fare uscire l’Europa dalla dittatura dei mercati e costruire l’Europa della solidarietà, della convivialità, quel cemento del legame sociale che Aristotele chiamava «philia».
Oltre alla guerra e alla crisi dei prodotti energetici, con il conseguente aumento di tutti i prezzi di prima necessita, si ripropone l’autonomia differenziata che ha lo stesso grado di pericolo per le persone. Non si può pensare che il Paese dividendosi esca dal limbo. Dalla crisi si esce tutti insieme e il Mezzogiorno, non può essere considerato solo un simulacro di assistenzialismo. Ha grosse potenzialità, eccellenze produttive e chiede lavoro e investimenti nelle infrastrutture materiali e immateriali, per poter competere e per avere pari opportunità. Se lo si fa, può essere un’opportunità importante per questo cambio di scenario economico. Basta con le divisioni e basta con l’idea che il Paese debba uscire dal circuito delle grandi opere perché cosi lo si impoverisce ancora di più.
Il contrasto alla povertà è senza dubbio una priorità per il Paese, ma la povertà non si combatte se non c’è lavoro e non si rafforzano le grandi reti pubbliche del Paese: sanità, istruzione e servizi all’infanzia e assistenza. Del tutto assenti sono i riferimenti all’innovazione nella Pubblica Amministrazione.
Dobbiamo recuperare le politiche che in passato hanno permesso una eccezionale crescita delle economie occidentali e del nostro Paese. Una crescita che è stata frutto di politiche tariffarie sistematiche di costruzione e ricostruzione dell’apparato produttivo, di difesa delle attività nazionali e di protezione sociale, di finanziamento del deficit di bilancio con ricorsi all’emissione della moneta. Purtroppo una politica economica miope sta conducendo, in tutti questi anni e con governi di tutti i colori, una vera e propria aggressione ai lavoratori italiani, al ceto medio, al mezzogiorno e al Paese. Ritroviamo il gusto dei grando progetti quelli che fanno forte un paese ed usciamo dalle grinfie rapaci della Finanza! ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Per l'immagine in alto: L'uguaglianza di fronte alla morte, Bouguereau, 1848.