Femminicidio: ok dal Senato, e all’unanimità. Il 23 luglio 2025 è arrivato il via libera dal Senato al ddl d’iniziativa governativa che prevede l’introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne. Ora dovrà occuparsene l’altro ramo del Parlamento. Il provvedimento si compone di 14 articoli e introduce il nuovo reato autonomo di femminicidio (art. 577-bis del Codice penale), punito con l’ergastolo quando il reato avviene per comprovati motivi di controllo, possesso, dominio, rifiuto o odio verso la donna. Le aggravanti nei casi di violenza domestica, sessuale o persecutoria sono state rafforzate e compaiono nuovo varie tutele processuali e penitenziarie per le vittime e i loro familiari, compresa la confisca dei beni obbligatoria, l’obbligo di ascolto rapido della persona offesa e la possibilità per i minori vittime di accedere autonomamente ai centri antiviolenza. Infine, è previsto un investimento nella formazione di personale sanitario, operatori sociali e magistrati.
Bene. Alcuni, tuttavia, si domandano se questa attenzione al fenomeno dei femminicidi – pur riconoscendo la gravità dei fatti – non sia in qualche misura l’evidenza di una qualche forma di qualunquismo che emergerebbe dalla cultura woke; si parla tanto di parità, fanno notare, ma questa misura non è dettata da un sentimento di autentica uguaglianza. Al di là di chi vorrebbe fare rivoluzioni culturali modificando il linguaggio, l’omicidio di una donna è pur sempre omicidio, si potrebbe perciò focalizzare sul movente, o sulle condizioni che portano all’omicidio della donna, inasprendo le pene per questi tragici casi.
A questi noi rispondiamo, da un lato, che effettivamente il femminismo italiano – sottolineiamo italiano – ha generato il separatismo, che gli è sfuggito di mano come un virus dal lavoratorio. Ora il separatismo si sta mangiando la realtà, i pensieri, le percezioni, e che quindi, sì, basterebbe rivedere, ma radicalmente, l’idea di omicidio… Osservazioni come questa potrebbero avere senso, dunque, rispetto all’idea di parità. Dall’altro, paragonando chi si macchia di omicidio e chi di femminicidio a due figli entrambi violenti, dove però il secondo crede di poterlo essere – non v’è dubbio che questa è la convinzione che sta nella psicologia degli uomini che uccidono le donne – ebbene, tu genitore infliggere punizioni ben diverse. Perché la parità si colloca nella condizioni di partenza – educative, di giudizio e di merito – mentre l’uguaglianza si colloca nel fine educativo. Dunque, questa nuova misura è – precisamente – dettata dalla ricerca dell’uguaglianza e la realizza pienamente. Non possiamo non congratularci col Governo per averla portata avanti. Fare Giustizia, infatti, che ne dica il popolo, vuol dire, in un certo senso, fare proprio due pesi e due misure. Lo sanno bene i genitori che abbiano almeno due figli. Se si vuole davvero trattarli in modo uguale, si dovrà dare di più a chi ha di meno, di meno a chi ha di più, aiutare maggiormente chi più ha bisogno, lasciare eredità asimmetriche, ecc.
Certamente, scomodare qui l’immagine del genitore allo Stato che amministra la Giustizia ha un mero scopo retorico da parte nostra, giacché essendo noi liberali, lo Stato non può e non deve essere considerata una famiglia. Non ne ha lo spessore né il ruolo, meno che mai il ruolo educativo, che non può scendere dall’alto e neppure frontalmente, da istituzione a cittadino, bensì deve essere condiviso da tutta la cittadinanza, in modo libero e circolare. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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