Avete mai pensato di dormire in cucina?
Che domanda assurda, penserete voi. Chi, abituato alla comodità di una camera da letto, penserebbe mai di spostare lì il suo giaciglio?
A volte non è questione di mettersi a dormire in cucina. Non è nemmeno una possibilità, se ci pensate bene: arredando una casa, chi metterebbe mai un letto sul muro antistante il frigo? Chi progetterebbe una cucina prevedendo la presenza di un letto singolo tra il bancone e il ripostiglio delle scope? Chi farebbe una cosa del genere, dite voi?
Non scervellatevi, la risposta l’avevo io fin dall’inizio. Semplice: chi deve affittare una casa a studenti.
Vi chiedo un altro sforzo di immaginazione – abbiate pazienza.
Siete appena laureati.
Avete superato con successo uno dei grandi scogli della vita accademica; siete soddisfatti e scoppiate di brillanti aspettative per il vostro futuro. The world is your oyster. Decidete di proseguire negli studi, e, perché no? vi informate per iscrivervi a qualche facoltà come fuorisede. Vi innamorate del piano di studi, degli ambienti universitari, delle biblioteche in cui già vi immaginate faticare durante la sessione.
La città? Uno spettacolo. Sentite sulla lingua il sapore dell’indipendenza, e una scossa vi percorre la schiena vertebra dopo vertebra, perché finalmente è il vostro momento, finalmente tocca a voi.
E poi, la fredda realtà.
Studenti fuorisede senza casa e abbandonati
Iniziate a passare ore, giorni, settimane sui siti di annunci immobiliari, e i vostri sogni, piano piano, ingrigiscono.
No, non posso mollare, andiamo. Ti pare che non si possa trovare un alloggio in una città così grande? Con un’università storica, una delle più grandi d’Europa? Con duemilaottocentosettantatré milioni di abitanti? Non abbandonerò i miei sogni solo perché non riesco a trovare nemmeno una camera singola.
Qualche proprietario, indolente, vi risponde al telefono; qualcun altro vi concede addirittura un appuntamento per andare a vedere l’alloggio.
L’esperienza presto vi insegna, tuttavia, che le case per studenti finiscono più velocemente delle caramelle al compleanno di un bambino.
“Mi scusi, sa, ho dimenticato di togliere l’annuncio: l’ho già affittata.”
“Guardi, so che avevamo un appuntamento, ma l’ho già affittata.”
“Ah, siete studentesse? No, mi spiace, non affitto a studenti, non mi fido.”
L’Italia è un Paese che da sempre si vanta del livello di preparazione dei propri studenti, dalle scuole secondarie superiori fino ai più alti percorsi accademici. Però i giovani non ci vogliono stare in Italia. Scappano.
Fughe di cervelli, le chiamano.
Io, le chiamo fughe di disperazione.
Tante volte ne ho parlato, tante volte mi sono sentita rispondere: “Eh, ma è colpa del covid, che ci vuoi fare? I ragazzi erano abituati a stare a casa, a seguire lezioni e sostenere esami a distanza, ma è ovvio”, dicono tutti col tono saccente di chi ha già da un pezzo salutato la via degli studi, e ormai ha ben altre preoccupazioni per la testa, “è ovvio che appena tutto ha riaperto le città si sono riempite.”
Vorrei fare una riflessione ben distante da qualsiasi velleità etnografica e statistica, riguardo la popolazione studentesca italiana.
Come è possibile che sia così difficile per un ragazzo qualsiasi, come me o come voi, trovare un appartamento – dignitoso – in cui risiedere come fuorisede?
Certo, esistono le agevolazioni, esistono le borse di studio, i progetti, tutto quello che vi piace, intanto gli studenti fuorisede sono senza casa e abbandonati. Ma come è possibile che un ragazzo appena ventenne debba rinunciare alle proprie aspirazioni perché non riesce a trovare un appartamento?
Fate attenzione, non si tratta di avere la puzza sotto il naso o i gusti difficili: molto spesso, una stanza con angolo cottura e divano-letto viene considerata una proposta ragionevole da aggiungere sul mercato immobiliare; una stanza per cui i proprietari hanno anche avuto l’ardire di valutare nell’ordine delle migliaia di euro al mese.
No, si tratta, spesso, di dover scegliere tra una stanza claustrofobica a 45 minuti di mezzi pubblici dalla città universitaria, e il nulla.
Una ragazza che ho conosciuto quest’anno mi ha raccontato di voler andare a studiare a Bologna per la laurea magistrale; stiamo parlando di Bologna, una delle più famose e gremite città universitarie d’Italia, badate. Ha dovuto rinunciare a trasferirsi perché non c’erano alloggi disponibili.
“Che problema c’è, basta rimanere a studiare nella città in cui vivi!”
Il desiderio di andare a studiare in un’altra città, tuttavia, ha ben poco a che fare con il percorso di studi che si vuole intraprendere.
Noi italiani siamo considerati tra le popolazioni più “mammone” d’Europa. Sentiamo quotidianamente politici, telegiornali, esperti opinionisti, filosofi, finanche gente che non ha la benché minima cognizione di ciò che dice, portare con fierezza il baluardo dell’indipendenza dei giovani. “Bisogna esporsi, bisogna provare, bisogna fare gavetta, bisogna sporcarsi le mani!”
Come se i giovani di questa generazione non avessero intenzione di fare nulla di tutto questo.
L’importanza di spostarsi dalle proprie radici e cercare di ambientarsi in un luogo nuovo, sconosciuto, spaventoso, perfino, è tanto vitale quanto banale a spiegarsi. Come ci aspettiamo di diventare persone autonome, di costruire una sicurezza in sé stessi e di prendere dimestichezza col mondo se non riusciamo nemmeno a trasferirci da una parte all’altra del suolo nazionale?
Studenti fuorisede, dimenticati da tutti. Non possono tornare a casa per votare e partecipare alle elezioni in un’altro comune è ancora fantascienza
I fuorisede sono una categoria di studenti in via di dimenticanza – basti guardare il modo in cui sono stati gestiti i bonus regionali ferroviari alle scorse elezioni di settembre 2022. È come se gli enti governativi guardassero queste moltitudini di giovani con gli occhi pieni di sogni riversarsi fuori dalle porte di casa, e poi, dopo una scrollata di spalle, si voltassero dall’altra parte, verso i veri problemi del Paese.
Chi decide di non accontentarsi del cartello “mammone” appeso sopra la propria testa, spesso deve stringere la cinghia delle proprie finanze (come la propria famiglia) e accettare di trascorrere due o tre anni in un buco, in cui magari non è contemplata nemmeno l’idea di una postazione per studiare, e sborsare settecento, ottocento euro al mese – utenze e bollette escluse.
Eppure, non finisce qui.
Sono centinaia le persone che subiscono truffe sui siti di annunci immobiliari, gente che accetta di visitare appartamenti e che si ritrova ad aspettare il proprietario per due ore. Un proprietario che, come avrete indovinato, non esiste.
L’ipocrisia del merito e degli studenti modello. Per ogni studente con 110 e lode, un altro si suicida. Questa è la vera pandemia nelle università
Vogliamo premiare le lauree lampo, gli studenti modello e i piccoli prodigi che riescono a ottenere risultati stellari nella metà del tempo che serve agli altri; non solo, li portiamo ad esempio, li copriamo di lodi e guardiamo in basso verso chi non riesce a fare lo stesso. E intanto, la pandemia del suicidio tra gli universitari invade le sedi accademiche sempre di più. Per ogni 110 e lode ottenuto in tempo record, un ragazzo che si impicca per paura di deludere i propri genitori.
Facciamoci qualche domanda. Mettiamo sotto la lente del microscopio questi casi che da fuori sembrano identici, e chiediamoci se davvero l’impegno nello studio sia la cosa che conta.
Per ogni smagliante neolaureata che sorride davanti all’obiettivo, ce n’è un’altra che viene sottopagata come cameriera perché deve aiutare la famigli a mantenere il proprio percorso di studi.
La difficoltà nel trovare una casa – dignitosa – in una città universitaria non è che una delle migliaia di cartine tornasole che riflettono la situazione degli studenti universitari in Italia, quelli che dovrebbero costituire le fila del futuro, la moltitudine di italiani del domani che, appena potranno, si rifugeranno nelle braccia dell’Europa e del mondo per non accontentarsi. L’Italia è un paese di vecchi perché ha deciso di voltare lo sguardo dall’altra parte. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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