ecco come venti anni di austerity hanno portato il paese alla rovina

Ecco come venti anni di austerity hanno portato il Paese alla rovina. Puntiamo su crescita e sviluppo

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Rimettere insieme le parti sociali, ascoltare i giovani, contrastare l’iperliberismo e allargare il dibattito per trovare nuove regole comuni

Con l’iperliberismo, la crisi economica globale, la pandemia, la guerra e l’aumento speculativo dell’energia sono tornati in primo piano i temi legati alla condizione di vita del cittadino e dell’occupazione. Bisogna riprendere l’azione a livello mondiale, europeo ed italiano per ridefinire i contenuti di una società dove siano salvaguardati la persona e i diritti di cittadinanza in tutti i suoi aspetti: dal diritto al lavoro al diritto alla vita; dalla sicurezza sociale e personale al ripristino del potere di acquisto e ad un fisco che recuperi la sua funzione di ridistribuzione della ricchezza e della solidarietà.

Occorrono programmi diversi, più ampi e complessi da discutere; occorre far vivere una concezione della “coesistenza” fra esperienze di pari dignità che ancora stenta ad essere accettata; occorre guardare con occhi attenti al rinnovamento, senza mostrare pericolose indifferenze; occorre ritrovare un rapporto con i giovani. Su queste basi si può dare davvero l’addio al passato e trovare nuovi assetti costruttivi da porre a confronto.

Pertanto, da tutte le rappresentanze politiche e sociali deve venire una nuova iniziativa che metta al centro della discussione politica la ricerca di nuove proposte, di nuove regole e nuovi diritti, quale prospettiva per gli anni a venire. Si devono rilanciare valori e solidarietà, coesione e certezze.

La parte sana della società deve evidenziare al Paese il comune sentire circa l’urgenza di porre fine alla perdurante illegalità della finanziarizzazione dell’economia e quindi avanzare la richiesta di contribuire a ridefinire “regole nuove”, capaci di garantire il delicatissimo passaggio politico-istituzionale che stiamo vivendo.

Basta con flessibilità e politiche che indeboliscono i contratti di lavoro. In un mondo in cui la ricchezza è concentrata nelle mani di pochissimi, le istituzioni devono ritrovare la loro autorevolezza, tornando a proteggere i più deboli

Bisogna ridare alle istituzioni la loro autorevolezza in modo che, ancor prima che con le norme, possano divulgare la cultura dell’economia sociale, della partecipazione, dell’emancipazione civile, democratica e sociale.

Al giorno d’oggi la ricchezza mondiale ha raggiunto la massima concentrazione storica nelle mani di una élite e abbiamo un sistema globale in cui pochissime persone al vertice sono molto ricche mentre più della metà della popolazione di questo pianeta è irrimediabilmente povera e sarà povera per sempre perché solo i soldi producono soldi.

Secondo le ultime stime, nei Paesi industrializzati, vi sono circa  cinquanta milioni di disoccupati, il livello più alto dal dopoguerra. Nonostante questo, si continua a parlare di eccessive ‘rigidità’ del mercato del lavoro, essendo ormai certificato, anche dagli ultimi rapporti OCSE, che un ventennio di politiche di “flessibilità del lavoro” ha generato solo una consistente riduzione della quota dei salari sul PIL e non ha di certo accresciuto l’occupazione. Oggi si continua a seguire una linea, secondo la quale si ritiene che – ferma restando la ‘flessibilità’ del lavoro – la disoccupazione sia imputabile al modesto tasso di crescita delle economie dei Paesi industrializzati e che, per far fronte al problema, siano necessarie politiche di riduzione della spesa pubblica.

Il cane che si morde la coda: ecco come venti anni di austerity hanno portato il Paese alla rovina.

La crescita economica, a sua volta, secondo i sostenitori dell’austerità, sarebbe trainata da politiche favorevoli alla ‘libertà d’impresa’, cioè politiche che annullano i vincoli relativi ai diritti dei lavoratori, alla tutela dell’ambiente, agli oneri burocratici e alla tassazione.

Le politiche di austerità sono, al tempo stesso, dannose e inevitabili. Sono dannose, in primo luogo, perché la contrazione della spesa pubblica, riducendo la domanda aggregata, riduce l’occupazione e, a sua volta, la riduzione dell’occupazione, in quanto riduce il potere contrattuale dei lavoratori, riduce i salari e, dunque, i consumi. In secondo luogo, in assenza di iniezioni esterne di liquidità, politiche di bassi salari e alta disoccupazione su scala globale restringono i mercati di sbocco per la produzione, riducendo – per le imprese nel loro complesso – i margini di profitto e gli investimenti. Quindi, tirando le somme, le politiche di ‘austerità’ hanno accentuato la crisi perché hanno contribuito ad accelerare la caduta della domanda aggregata. Se, come la visione dominante sostiene, la riduzione della spesa pubblica è funzionale alla riduzione del rapporto debito pubblico/PIL, e dunque a scongiurare attacchi speculativi, va rilevato che, per contro, il calo dell’occupazione riduce la produzione e, dunque, il PIL; la riduzione dei redditi di conseguenza abbassa la base imponibile[1] e può accrescere il debito pubblico. In altri termini, le politiche di austerità hanno generato gli effetti che si proponevano di contrastare, aumentando l’indebitamento pubblico in rapporto al PIL, per effetto della contrazione del tasso di crescita. Ed ecco come vent’anni di austerity hanno portato il Paese alla rovina.

Le famiglie ultimo ammortizzatore sociale, anch’esso danneggiato dall’austerity europea. È necessario e urgente ridiscutere le politiche da attuare

Gli incrementi di disuguaglianza del reddito familiare sono stati in gran parte determinati dai cambiamenti nella distribuzione di salari e stipendi che rappresentano il 75% del reddito familiare degli adulti in età lavorativa. La famiglia, in questo frangente, è stata l’unico e più efficace ammortizzatore sociale, anche se questo compito solidaristico è stato coattivamente ridotto dalle ultime manovre al ribasso operate dai Governi, in particolare italiani, francesi, greci e spagnoli, sulla base delle direttive Ue che hanno continuato nell’opera di restrizione e di austerity.

Di fronte a questo scenario, bisognerebbe ridiscutere le politiche imposte dal neo liberismo e dall’austerity che hanno colpito direttamente i salariati e i ceti medi e più bassi con tagli degli stipendi, riduzione delle prestazioni sociali, allungamento dell’età legale per la pensione che di conseguenza che ha significato anche la diminuzione concreta del suo ammontare.

L’Italia è al quarto posto in Europa per tassazione

Sulla base, anche, dell’emergenza economica in Italia si è riversato sui cittadini una bordata di tasse che ha prodotto un aumento esponenziale delle stesse — anche per l’aggiunta a quelle nazionali di quelle locali — al punto che ci collochiamo al quarto posto in Europa per peso della tassazione. Inoltre, dobbiamo fronteggiare la spesa per interessi più alta in Europa nonostante il saldo primario dell’Italia continua ad essere secondo solo alla Germania.

Il nuovo record assoluto del debito pubblico italiano è la conferma che la politica di restrizione e di austerity ha fatto precipitare il nostro Paese in una spirale rischiosa. Bisogna, quindi, invertire le scelte di politica economica: abbandonare le politiche di austerity e puntare sulla crescita e lo sviluppo. È questo l’unico modo per rilanciare l’economia.

Consultazioni a tappeto, subito, allargare il dibattito per discutere e ridisegnare il destino del Paese contro l’apatia e il sonno delle coscienze

Certo non può essere solo una discussione che si restringe nell’angusto perimetro nazionale ma deve essere frutto di un confronto anche a livello europeo laddove si decidono le scelte di politica economica. Bisogna ricreare le condizioni per stimolare la discussione e la partecipazione per evitare che l’apatia mini alla radice la possibilità di cambiare le cose.

Un accenno finale al rischio che, oltre alle questioni economiche, anche una altra partita altrettanto importante, mini i valori di solidarietà e di coesione che sono punti fondamentali del convivere in una comunità come la nostra e cioè l’autonomia differenziata. Abbiamo scritto molto su questa deriva di frammentazione del Paese, spacciata come una riforma. Quello che preoccupa è la poca attenzione che i cittadini e le forze politiche e le Istituzioni stanno prestando a questa materia. Pochi solo stanno gridando con voce ferma la loro non condivisione. Non vorremmo che poi quando questo processo verrà definito compiutamente qualcuno potesse dire che non ne sapeva niente. Va avviata una fase di consultazione a tappeto. Tutti devono essere coinvolti. Si deve uscire dall’apatia e risvegliare le coscienze e le intelligenze. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

[1] Si può rilevare che la riduzione del reddito disponibile, nella congiuntura attuale, interessa principalmente i lavoratori dipendenti. Si tratta di individui che, di norma, non possono ricorrere all’evasione fiscale, così che il calo della base imponibile deriva direttamente dalla riduzione dei salari, per date aliquote d’imposta.

 

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