Le lagrime amare di Paola Egonu, pallavolista italiana, al termine della partita che ha visto la Nazionale italiana vincere la medaglia di bronzo ai Mondiali, dimostrano che sull’integrazione e l’inclusione l’Italia è ancora molto indietro, nei giorni dell’insediamento del nuovo Governo di centrodestra: ci attendono anni difficili.
Paola Egonu, una delle più forti pallavoliste al mondo, è nata a Cittadella, in provincia di Padova, Veneto. I suoi genitori sono di origine nigeriana: là il padre faceva il camionista, la madre l’infermiera. Gioca in un club turco, ed è la star della Nazionale. Il 15 ottobre 2022, appena vinta la partita con gli USA che è valsa all’Italia la medaglia di bronzo a Mondiali, è crollata in lagrime dicendo che quella sarebbe stata la sua ultima partita in Nazionale, perché sui social network era stata massacrata da trolls che le scrivevano: «Perché sei italiana?». Il suo sfogo è diventato virale, e una ondata di solidarietà l’ha convinta a restare: le hanno inviato messaggi di solidarietà anche il Presidente del Consiglio ancora in carica, Mario Draghi, e il Presidente del CONI, Giovanni Malagò. Lo sport italiano negli ultimi anni, con molto ritardo rispetto ad altri Paesi europei come Francia, Inghilterra, Germania, ha cominciato a vedere nelle nazionali ragazzi dal fisico non caucasico; la maggioranza dei tifosi non ha alcun pregiudizio nei loro confronti, ma esiste un esercito di trolls razzisti che non la smette di tormentarli. A che punto siamo con i parametri di tolleranza, inclusione, pregiudizio? Indietro, molto indietro.
GUARDA IL VIDEO Paola Egonu in lacrime dopo la partita Italia-USA
[Leggi la nostra lettera aperta a Paola Egonu a seguito del video in questione]
La scuola, territorio di inclusione
La scuola dell’obbligo italiana ha grandi meriti nel lavoro di inclusione: in ogni classe dell’infanzia, della primaria, della secondaria di primo grado (le “medie”), a seconda delle città e dei quartieri i bambini figli di immigrati di prima o seconda generazione sono in contino aumento. Chi ha una famiglia povera qui, che già era povera e non istruita nel Paese da cui è emigrata, ha ovviamente grandi difficoltà di apprendimento, difficoltà a pensare, parlare, scrivere in un italiano corretto, in una fase storica in cui neanche i bambini e i ragazzi italiani da generazioni sanno più pensare (in generale), parlare e scrivere (soprattutto) in italiano. Salendo negli ordini scolastici le diseguaglianze calano, e spesso si trovano studenti con genitori di origini non italiane che manifestano eccellenti competenze.
Dal 2016, dopo trent’anni di lavoro nel giornalismo culturale, sono tornato ad insegnare, perché i giornali dopo il 2000 che ha visto esplodere Internet non li compra più quasi nessuno e i giornalisti non li paga quasi più nessuno. Quando cominci, sei un precario con pochi punti, e quindi finisci nelle scuole che i docenti con più anzianità di carriera snobbano, perché sono in quartieri disagiati, e la percentuale di studenti “non caucasici” nelle classi arriva anche al 50% e oltre. Ne ho viste di tutti i colori: studenti di origine maghrebina e musulmani che «non vedo l’ora di avere 18 anni per andare a combattere in Palestina contro i sionisti», studenti di origine albanese che davano fuoco al banco e me lo lanciavano contro… Ma i loro genitori erano quasi tutti rispettosi e fiduciosi nei confronti di me come professore, perché nei loro Paesi di origine l’istruzione rimane una speranza di ascesa sociale: negli ultimi anni, da quando sono approdato a scuole in quartieri carini, chi mi dà problemi in classe ha genitori laureati che disprezzano i docenti, e che contestano con mail dirette ai dirigenti scolastici la tua azione educativa nei confronti dei loro maleducatissimi adorati piccini…
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Negli anni scorsi la rivista culturale on line «doppiozero» ha ospitato un mio diario scolastico che di settimana in settimana raccontava cosa succedeva nelle mie classi di periferia. Volevo scrivere una specie di “Cuore 2.0”, aggiornato da Daniel Pennac con il suo fondamentale Diario di scuola. Ero un po’ stufo dei luoghi comuni sulla scuola, e io stesso ho voluto ridarmi una testimonianza minimale, diaristica, appunto, anche perché quando si arriva ai mass media i luoghi comuni sulla scuola diventano veramente muffiti e ridicoli. Ho raccontato i miei studenti: raccolto le loro emozioni, le loro parole, la loro rabbia; ho raccontato il mio lavoro, le mie “strategie” – come si dice in pedagogia – i miei sforzi per favorire il loro apprendimento, la loro consapevolezza, la loro capacità di argomentare, di arrivare a una metacognizione, a concepirsi soggetti capaci di talento, di sogni legittimi, di visioni del futuro. Volevo che tutto fosse molto semplice, con la narrazione di quello che accade ogni mattina, cinque mattine alla settimana, quattro settimane al mese, dieci mesi all’anno: duecento giorni in classe ogni volta, da settembre a giugno. L’ho intitolata “Indicativo presente” perché è il modo del verbo che indica ciò che veramente accade, nel passato, nel presente, o nel futuro: le vere azioni, i veri accadimenti. Chi volesse leggerne qualche puntata la trova qui, dall’ottobre 2018 in poi, per un paio di anni scolastici.
Parlare con i nuovi italiani all’Università
I pregiudizi, i bias: Albert Einstein scrisse: «What a sad era when it is easier to smash an atom than a prejudice». Siamo nel 2022, è finita un’altra legislatura e ancora il nostro Parlamento non ha voluto approvare una legge sulla cittadinanza che vada oltre il durissimo ius sanguinis vigente. Si era arrivati a un compromesso che sembrava potesse persuadere gli odiatori dell’accoglienza, uno ius scholae che potesse dare il passaporto italiano almeno ai ragazzini che erano stati cinque anni nella nostra scuola con i loro compagni ugualissimi a loro. Niente, nessuna nuova legge approvata. Quando arrivano alla fine della terza media i 2, 3, 10 compagni di classe non sanno nemmeno di non essere come gli altri. Poi, se vai a prendere un documento della segreteria, scopri che qualcuno, o tanti, hanno nazionalità algerina, marocchina, nigeriana, camerunense, senegalese… Quanto siano ancora le mortificazioni che li attenderanno dai 14 ai 18 anni lo scopriranno negli anni della superiore. Questo ho voluto indagare pensando di completare Indicativo presente con le parole di tanti giovani che oggi studiano nelle Università italiane o che si sono laureati lasciando l’Italia, perché da noi hanno molte meno chance di lavorare senza ostacoli come possono i loro coetanei in Francia, Belgio, Svezia, Germania, Inghilterra. Così ho cominciato a censire sui social network questo mondo di milioni di “italiani quasi”: i più attivi, i più coraggiosi, quelli impegnati nella azione sociale per una nuova legge di cittadinanza, per la fine delle discriminazioni. Ne ho intervistati decine, e infine ancora “doppiozero” ha pubblicato due puntate in cui ho raccolto quelle che mi parevano le più attuali nell’estate 2022, convinto che in quella campagna elettorale-lampo estiva si sarebbe parlato di immigrazione e inclusione, di uguaglianza e fratellanza. Non è stato così. Ma almeno in Parlamento è entrato Aboubakar Soumahoro, il leader del sindacalismo di frontiera che ha guidato le lotte dei braccianti agricoli nell’Italia meridionale, sfruttati in condizioni semi-schiavistiche durante le stagioni della raccolta ortofrutticola. Il primo giorno è arrivato alla Camera dei deputati con ai piedi gli stivali sporchi e logorati che indossava raccogliendo pomodori: il suo motto è tutto un programma: «Meglio fare un passo con il popolo che cento passi senza. L’Io al servizio del Noi»; sarà il nostro Gandhi? Non vedo l’ora di ascoltare i suoi primi discorsi da deputato, vedere le facce che faranno i ministri di Fratelli d’Italia e della Lega, così ossessionati da un “prima gli italiani” che non contempla i 2-3 milioni di nuovi italiani nati qui, che hanno studiato qui, che lavorano qui, che pagano le tasse qui, che consumano qui. Queste due puntate di interviste le ho intitolate “Voci di nuovi italiani” e le potete leggere qui.
GUARDA IL VIDEO Ingresso di Aboubakar Soumahoro alla Camera
Gli anni che ci aspettano
Le ultime rilevazioni statistiche segnalano che nella scuola dell’obbligo in Italia ci sono oggi 858.000 alunni e alunne con passaporto straniero; 1.078.000 minorenni senza cittadinanza italiana sono iscritti nelle anagrafi comunali. I giovani che ho intervistato stanno diventando politici, scrittrici, blogger, influencer, mediatori culturali, rapper, avvocati, docenti universitari, imprenditori… La loro storia di giovani adulti è appena cominciata, e me l’hanno raccontata in conversazioni lunghe e pacate, che nessuna brevissima apparizione sui social o su una tv o su un blog democratici permette ancora loro abbastanza. Abbiamo parlato di nonni, genitori, lingue madri, passaporti, diversità, sorelle, fratelli e figli, di mutui non concessi in banca, di difficoltà e tenacia triple delle donne, di politica nei Comuni, nelle Regioni e in Parlamento, di letteratura e serie tv, di Libertà. Uguaglianza e Fratellanza. Cosa accadrà alla loro vita nei cinque anni di Governo Meloni? Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi come indirizzerà l’azione delle forze dell’ordine? Adolfo Urso, Ministro delle “Imprese e del Made in Italy”, come la penserà dei lavoratori di origine italiana che si sono messi a fare i lavori che i “caucasici” non vogliono più fare? Marina Calderone dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sarà inclusiva? Nello Musumeci alle “Politiche del Mare e Sud” lavorerà per i diritti di chi ci raccoglie i pomodori e ci pesca il pesce? E infine, a quale “Merito” pensa il Ministro dell’Istruzione “e-merito” Giuseppe Valditara? a quello dei professori senza pregiudizi, o a quello degli studenti caucasici?
Più che mai, nei prossimi anni, dovremo aiutare “loro”, gli italiani come noi, ma non ancora proprio come noi.