Parliamo di lavoro e nuove generazioni, dello scollamento di milioni di persone tagliate fuori dalla realtà, abbandonate ai favoleggiamenti di mercati illusori, vediamo chi sono i responsabili e della necessità di tornare al confronto
Le nuove generazioni non sono a loro agio nel confronto. L’ideale società di diversi si sta trasformando in un incubo
Nelle attuali società in cui sempre di più langue la capacità di analisi e di proposta politica che possa sfociare in un dibattito, per costruire fra i diversi interlocutori le scelte vige l’arroganza, la presupponenza, l’imposizione e soprattutto si soffoca il libero pensiero per imporre i propri dogmi. Chi si trova più in difficoltà sono i giovani. Essi, in particolar modo, non si trovano più a proprio agio nel confronto, che è il sale della democrazia, perché hanno perso l’abitudine al dialogo e questo non ha fatto altro che far avanzare diffidenza, paura nei confronti dell’altro, sempre più spesso e per i più disparati motivi classificato come diverso. Così si sta creando una società di diversi, il ché, paradossalmente, sarebbe l’ottimo da raggiungere in una società accogliente e plurale, ma che in questo contesto, invece, isola tutti gli individui indebolendoli. Così le politiche economiche neo liberiste hanno fatto breccia negli Stati, minando passo dopo passo tutte le conquiste nel mondo del lavoro, dei diritti civili e della sicurezza sociale. La funzione dello Stato è arretrata e così inevitabilmente il benessere dei suoi consociati, che non trovando più risposta nelle articolazioni della cosa pubblica ne ha perso la fiducia e la voglia di riconoscersi in qualcosa di più grande.
Le responsabilità delle politiche neoliberiste. Dalla scalata alla modernità agli abissi dell’economia reale
Si sono insediate le trame delle politiche monetarie del mercato finanziario, che in barba alla spesa per beni e servizi, hanno drenato sempre più risorse dallo stato sociale per approvvigionarsene nei mercati finanziari. Gradualmente il pubblico è indietreggiato di fronte alle regole di un mercato immateriale cieco all’economia reale che vivono le persone. Quelle politiche economico-finanziarie immateriali, calate dall’alto e non democraticamente delegate, cavalcando l’onda delle degenerazioni della globalizzazione hanno spinto i mercati, quelli veri o meglio quelli che hanno riflesso sulla vita delle persone, a una aggressiva lotta al ribasso. Quella che doveva essere una scalata verso la modernità, si è tradotta in una serie di scivoloni rovinosi nei confronti delle maggiori conquiste sociali nel diritto del lavoro del movimento operaio e non solo. Si è inculcato che la flessibilità fosse la via per brillanti carriere, che le tutele dai licenziamenti fossero inutili costi sulle spalle della collettività, che il mercato libero dai vincoli pubblici garantisse servizi migliori e più vantaggiosi. Queste ricette sono state vincenti? Tutte le rilevazioni sembrano dimostrare il contrario. Queste linee hanno scatenato fenomeni di dumping sociale che hanno depotenziato oltre che il diritto anche la contrattazione collettiva.
Lavoro e nuove generazioni: il rovesciamento della dignità umana. Rieducare allo stare insieme
Se davvero si vuole affrontare il rapporto lavoro e nuove generazioni ci si deve rendere conto di quanto si a assurdo l’averle portate, in questo contesto, a dover “ringraziare” per collaborazioni stagionali, se non giornaliere a volte, e ad “accettare” impieghi gratuiti nella speranza di futuri approdi contrattuali.
Si stati fatti diventare tipici i contratti atipici.
Si è creata una incredibile situazione di disagio sociale di un’intera generazione che, il più delle volte, non è compresa o rimane sotto silenzio.
Un disagio coltivato solo ed esclusivamente da chi lo vive, isolato in quella condizione di cui parlavo prima, dove non vi è più la forza della comunione di intenti per risolvere una difficoltà. Si è soli, e in questa cornice fanno buon gioco quelle stesse lobby che hanno il solo interesse del profitto. Proprio per questi motivi, i corpi sociali sono stati continuamente attaccati, prima i partiti poi le organizzazioni sindacali.
L’obiettivo che dobbiamo porci, infatti, è quello di “rieducare” e “riabituare” i giovani a stare insieme, a farsi forza l’un l’altro e non a prevalere sull’altro, a camminare fianco a fianco e non a sgomitare. La forza della comunità sta nella pluralità e nella convergenza degli interessi che insieme riescono a imporsi.
L’interesse individuale da solo è debole e costringe ad accettare qualsiasi condizione, anche quella di lavorare gratis. La sfiducia e l’apatia non sono utili ed abili a risollevare una situazione di difficoltà, nella loro natura, infatti, vi è l’abbandono alla contingenza. Con questo, però, non voglio assolutamente provocare il conflitto tra generazioni, anzi, tutt’altro, vi deve esser sì uno scambio ma che sia di idee. Solo nel confronto con chi ha più esperienza vi è crescita e solo nell’ascolto delle preoccupazioni e delle esigenze di chi ne ha meno si ha comprensione dei problemi della società. Ed è così che si arricchiscono entrambe le parti.
Molta della classe dirigente del Paese non è stata in grado di ascoltare i giovani, cosa che, invece, sarebbe stata fondamentale non avendo il più delle volte vissuto sulla propria pelle cosa significasse “precarietà” oppure studiare per anni per poi non sentirsi realizzati nel mondo del lavoro o ancor peggio non riuscire proprio ad entrarci, vedendosi così denigrati gli studi. Mi riferisco a chi con sufficienza definiva bamboccioni, mammoni e via dicendo i giovani, senza fermarsi a pensare che forse anche, e soprattutto, a causa loro, si era creata questa situazione di impasse del fisiologico ricambio generazionale.
Ripristinare il senso di comunità, ovvero partecipare alle decisioni – nella realtà
Per questo è essenziale ripristinare il senso di comunità attraverso una cittadinanza attiva, e con attiva intendo partecipe delle decisioni sociali del Paese. È necessario tornare a sentirsi protagonisti di un qualcosa di molto più grande, della semplice condivisione di un post su Facebook. È importante ripristinare i luoghi “fisici” per una vera condivisione delle esperienze e del vissuto. Per farlo bisogna riabituare le persone a confrontarsi e a dialogare non più dietro uno schermo e i primi a dare l’esempio dovrebbero essere gli esponenti della classe politica dirigente.
Basta tweet e slogan campanilistici, bisogna tornare ad argomentare e a fermarsi un momento per pensare. I ritmi frenetici, i mille imput della tecnologia tendono a trattenerci dalle riflessioni ma credo che sia quanto mai opportuno che le persone tornino a ragionare qualche tempo sulle notizie senza limitarsi a immagazzinarle passivamente. Perché se così è, nessuno più sarà in grado di farsi una opinione propria ma si lascerà trainare dagli eventi.
Per fare questo c’è bisogno che tutte le forze politiche, sociali e imprenditoriali: devono ritrovare lo spirito del dialogo e della concertazione per rimettere al centro della discussione il lavoro, ridando valore allo stesso ruolo culturale del lavoratore nella società contemporanea. Dobbiamo tutti insieme essere in grado di fornire una sponda ai tanti malcontenti, incanalandoli su una proposta di nuovo modello economico, per ridare speranze ai lavoratori di un futuro migliore. Va premiata una “Politica” aperta, che sia radicata nella società, profondamente democratica, che sia in grado di lanciare dibattiti politici e ideali che coinvolgono l’opinione pubblica, senza ricreare contrapposizioni che hanno contrassegnato per un lungo periodo la vita del Paese. Una Politica che dia spazio e libertà di azione a chi affronta e segue i problemi che interessano l’opinione pubblica: dall’ecologia allo sviluppo occupazionale; dall’istruzione alla sanità; dall’assistenza alla cultura; dal turismo all’aumento dei redditi per ampliare i consumi; dai contratti a tempo indeterminato alle tutele sul lavoro e nel lavoro. Bisognerebbe sviluppare idee, elaborare progetti e raccogliere consensi, sulla base di una politica concreta che risolva situazioni e problemi.
Non si può più aspettare!
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