Quella di «Acéphale» è la storia di una rivista, pubblicata fra il 1936 e il 1939, senza periodicità definita e di cui furono realizzati solo cinque numeri; di questi solo quattro furono pubblicati.
Vi collaborarono alcuni fra gli autori di lingua francese più interessanti del periodo a cavallo fra le due guerre mondiali: Georges Bataille, Pierre Klossowsky, Roger Caillois, Jean Wahl, Jules Monnerot e Jean Rollin; sempre presente sulla rivista l’opera grafica di Andrè Masson.
Animatore indiscusso del progetto era Bataille, scrittore controverso e sempre ai margini della consacrazione critica, a causa della sua accentuata propensione per la letteratura erotica e per la dimensione dionisiaca, la liberazione in vita per così dire di un irrequieto che non intendeva attendere il premio nel Regno dei Cieli. Ignorato, appunto, dalla critica nonostante la vasta produzione romanzesca, sociologica ed economica, la sua rivincita in età matura consisté nell’ottenimento della Legion d’Onore da parte dello stato francese, che probabilmente era più disinvolto dell’“accademia” e apprezzò più di questa la statura intellettuale dello scrittore.
Gran parte dei redazionali che appaiono nella rivista sono, infatti, attribuibili a lui. Comunque furono almeno due gli artisti pienamente coinvolti nel progetto Acéphale, sebbene in posizione appena meno attiva: l’amico di sempre Pierre Klossowsky e il pittore André Masson. Non sfuggirà che ci troviamo nel recinto largo del movimento surrealista, di cui Bataille e Masson possono essere considerati la seconda generazione, accanto ad altri “seminatori di scandalo” quali Antonin Artaud e Pierre Drieu La Rochelle. Ciò che sicuramente alcuni degli estensori di Acéphale hanno in comune con il surrealismo è la vocazione a stupire, dissacrare e scandalizzare. Ma dal movimento originario degli anni Venti all’inclinazione che, attraverso queste schegge surrealiste, questo verrà assumendo negli anni Trenta, quella vocazione prende ad immergersi nell’interiorità e a trasformare – come in una metamorfosi di stampo kafkiano – ognuno di loro in un esperimento esistenziale fatto di macerazione, autoflagellazione, estremismo estetico, pessimismo integrale. A questo proposito, si ravvisa una indubbia vicinanza, sebbene mai tradotta in amicizia, fra Bataille e Artaud, l’autore del Manifesto del teatro della crudeltà.
A conclusione dei suoi studi, nel 1922, Bataille si diploma come archivista paleografo, un altro dei variegati interessi che non abbandonerà mai. Alla fine degli anni Venti, mentre era impiegato nel Dipartimento delle Medaglie della Biblioteca Nazionale, Bataille si imbatte in un sigillo metallico di provenienza gnostica, del III o IV secolo, raffigurante un dio acefalo probabilmente egizio. Ed ecco che nel pacato archivista (Bataille ebbe sempre questa fisionomia mite e gentile e lo sguardo sfuggente, tutt’ altro che lo scatenato atleta sadiano, beffardo e di modi violenti che un’immaginazione troppo fervida potrebbe concepire) si accende la scintilla che condurrà al progetto acefalico di mettere a ferro e fuoco la letteratura francese. Chiede dunque a Masson di riprodurre lo strano dio dimenticato, non proponendogli però una semplice copia, ma rivisitando in modo nuovo l’antica immagine.
Nel frattempo cerca sodali e li trova nel fedele amico Klossowky, nell’editore Georges Ambrosino, cui si uniscono Caillois, Wahl, il sociologo Monnerot e Rollin per i numeri successivi al primo. Il primo numero della rivista uscirà il 24 giugno 1936.
Nella presentazione, ovvero il manifesto della rivista, dal titolo La conjuration sacrée Bataille chiarisce quale si debba intendere come “programma” di Acéphale: con una battuta un po’ misera potremmo dire: perdere la testa, proprio come il dio acefalo. Scrive infatti: “nei mondi scomparsi fu possibile perdersi nell’estasi, cosa impossibile nel mondo della volgarità istruita”. Come nel preesistente movimento surrealista, nei redattori di Acéphale è ben viva e presente l’aspirazione ad una rivoluzione con altri mezzi che non quelli consueti della politica, e precisamente con le armi formidabili, ma sempre percepite come insufficienti, della cultura. Gran parte dei contenuti della rivista si concentrano su una rilettura di Friedrich Nietzsche senza alcun cedimento alla storicità “antiquaria” e alla museificazione del filosofo. Per Acéphale il punto focale è la fondazione di un niccianesimo esoterico, da nutrire con riti. Secondo il racconto di Klossowsky, infatti, l’adesione al progetto Acéphale implicava una sorta di iniziazione, della quale lo scrittore ci fornisce una descrizione vaga e reticente, ma ugualmente significativa: l’iniziando doveva raggiungere un punto convenuto servendosi del tram. Seguito a distanza da un adepto, raggiungeva una macchia boschiva oltre la periferia; qui doveva trovare una certa quercia secolare che era stata siderata da un fulmine, spaccata e privata dei rami superiori (in analogia con l’acefalia dell’eroe eponimo): sotto la quercia poi, entrare nel cerchio degli adepti e pronunciare un giuramento.
Sebbene aspetti più approfonditi della società segreta collegata ad Acéphale non ci siano noti, pure possiamo – anche in questo caso – riconoscere la tipica impronta bataillana nella definizione degli scopi; il primo dei quali è la “pratica della gioia dinanzi alla morte”. Una società segreta esistenziale che avrebbe assunto compiti cospirativi più che speculativi; una unità non solo d’intenti ma di reale solidarietà che avrebbe fuso in un corpo solo tutti gli aderenti e può servire a spiegare l’interruzione, nel 1939, delle pubblicazioni, non col banale insuccesso nelle vendite ma con l’immersione nella clandestinità, nella dissimulazione del progetto operativo, nell’azione.
I caratteri teorici e critici di questo nascente “Mistero” moderno sono ampiamente trattati nei cinque numeri della rivista. Intanto, il nome di Nietzsche è immediatamente sovrapponibile a quello di Dioniso: la potenza del fulmine emerge anche nel caso del dio greco, poiché secondo una versione del mito della sua nascita la madre Semele, divinità ctonia, fu fulminata da Zeus per aver desiderato vedere il dio suo amante in tutto il suo splendore celeste.
Secondo gli autori di Acéphale due potenti pericoli si incardinano uno sull’altro, nell’ordine del tempo: il più antico, già individuato da Nietzsche, è il cristianesimo; il secondo il fascismo. Nel primo numero Bataille dedica un focoso articolo a Nietzsche e i fascisti. Le prime pagine sono altrettante stilettate dirette contro la sorella di Nietzsche Elisabeth, che Bataille chiama Elisabeth Judas-Förster, privandola del risonante cognome condiviso col fratello e stigmatizzandola come archetipo del traditore; e meglio definita dal cognome del marito, fanatico antisemita particolarmente attivo fra fine ottocento e nuovo secolo. In breve, secondo B. la lettura di destra di Nietzsche è altrettanto fuorviante quanto quella di sinistra (Jaurés in una conferenza a Ginevra a inizio secolo identificava il superuomo con il proletariato, paragone non privo di audacia), ma molto più perniciosa: negli anni Trenta, difatti, era in corso una beatificazione di Nietzsche da parte del regime nazista culminata in una cerimonia – agli occhi di Bataille sacrilega – nella quale la vecchia Elisabeth aveva consegnato a Hitler l’intero archivio del filosofo; la solennità della circostanza ebbe da parte dei nazisti la massima evidenza propagandistica.
Non deve sorprendere il fatto che l’aspirazione ad un esoterismo nicciano, il progetto di fornire risposte organiche alle angosce del periodo fra le due guerre, l’antifascismo dichiarato senza tentennamenti e il segreto intento di farsi fondatori di religioni vengano riunite sotto il segno di Acéphale e portate avanti, come se fosse coerente riunire aneliti tanto disparati. Ciò dipende in parte dalla personalità dei redattori, che erano pur sempre fioriti nell’ambiente surrealista; in parte da alcuni aspetti più puntuali della filosofia di Nietzsche, che possono aiutare a chiarire come riuscisse così facile concepire l’impensabile. Al tempo, ad esempio, la sconfitta e l’abbattimento dei fascismi europei era ancora impresa praticamente impossibile: pure, gli Acéphale vi si impegnarono a fondo. Ma vediamo cosa merita di essere evidenziato, nella prospettiva della rivista, del pensiero nicciano. Intanto, l’assenso alla vita e l’amor fati: adombrato nella figura dell’asino, che appare nella parte quarta di Così parlò Zarathustra. L’asino irrompe fra la folla; è l’animale sapienziale per eccellenza, quello che sopporta e trasforma la forza in resistenza. L’asino non dice mai no (ne-in), comprende in profondità la necessità di amare ciò che amare sarebbe impossibile, e dice solo di sì (J-a) assumendo con meravigliosa levità l’esperienza del tragico. La vita potrebbe schiantarci e senz’altro lo farà, ma senza che mai le venga meno il nostro incondizionato amore.
Il secondo passaggio è nel celebre appunto della Volontà di potenza: “Dioniso contro il Crocifisso: eccovi il contrasto.” Un sensibile antropologo comprende lo splendore del martirio: solo che il suo senso è diverso. Nella coscienza tragica il martirio trova il suo significato nella pura materia del sacro, non ha bisogno di promesse di orizzonti ultraterreni. Per gli Acéphale l’onesta laicità, la morale civile non sono abbastanza: da esse deriva il pessimo liberalismo, la civilisation, con la sua miopia metafisica; non basta non essere cristiani, è necessario essere anticristiani. Il cristianesimo è la terra su cui è germogliata la pianta maledetta del fascismo: entrambi ambiscono a fare proseliti, e il consenso estorto ai popoli si risolve nel sistema della paura. Repressione e organizzazione. Come è stato possibile leggere Nietzsche in modo reazionario, equiparandolo al neopaganesimo tedesco, quello che ha introdotto la leggenda di un “nazionalsocialismo poetico”? Proprio Nietzsche, che definisce sé stesso come un senza patria?
Come vediamo i campi d’intervento, e gli aneliti, di Acéphale furono molteplici. Troppi si può dire, secondo il principio economico della dépense così caro a Bataille: su un fronte troppo esteso le nostre forze tendono a disperdersi, la tensione guerriera ad annacquarsi e l’impossibile torna, come forse sempre è stato, ad essere impossibile. Nondimeno l’idea di fondare un “collegio d’invisibili” che, come i Rosacroce di tre secoli prima si manifesti brevemente per poi reimmergersi nel segreto dell’invisibilità mutua, assicurata ai e dai suoi membri, è straordinariamente affascinante e assicura ad Acéphale un posto di rilievo fra gli esperimenti espressivi delle avanguardie nel Novecento.
Secondo la mia personale lettura interpretativa il percorso di Acéphale culmina nelle brevi Note sulla fondazione di un collegio di sociologia, pubblicate nei numeri 3 / 4 della rivista. Vi si dice testualmente:
[Attribuiamo peculiare importanza allo studio delle strutture sociali…] Esiste lo spazio per sviluppare, fra coloro che intraprendono la prosecuzione delle indagini in questo senso quanto più lontano sarà possibile, una comunità morale, in parte differente da quella che riunisce abitualmente i dotti, che è precisamente legata al carattere virulento del dominio studiato e delle determinazioni che vi si rivelano. (…) L’oggetto preciso dell’attività intrapresa può ricevere il nome di sociologia sacra.”
Ecco: l’ossessione acephaliana, tanto vistosa anche in Bataille, di una comunità morale di immoralisti secondo l’accezione che ne dà Klossowsky nel suo Sade, prossimo mio è a mio avviso di estremo interesse e di sfolgorante attualità, oltre che essere un’intuizione pregna di futuro. Rimanda alla visione di una comunità di “folgorati”, una casta di sacerdoti “che incontrano la felicità di un verme nella decomposizione eterna dell’infinito cadavere di Dio” (Klossowsky); essi dovranno riunirsi e celebrare i Misteri della contemporaneità al riparo dagli sguardi indiscreti dei ciandala di ogni risma, preservando il Sacro nel tempo della morte di Dio.