Il tempo del futurismo
Un momento della mostra "Il tempo del futurismo" | Galleria Nazionale d'arte moderna e contemporanea, sala Marconi | ©L'Altro settimanale

“Il tempo del futurismo”, la mostra a Roma su cui si discute da mesi. Vediamo la rassegna stampa

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Da sei mesi si parla molto della mostra “Il tempo del futurismo” di Roma, voluta dal Ministero dei Beni culturali. La vicenda è ormai nota. Sembrerebbe che i curatori inizialmente coinvolti siano stati esclusi, altri chiamati a collaborare in corso d’opera. Molto è stato detto, e scritto – se ne è occupata persino la trasmissione di RaiTre “Report”. Dopo tanti riflettori accesi, riflettori di notevole portata, avremmo lasciato che la vicenda andasse chiarificandosi da sé, coi giusti tempi e modalità, ma un articolo ha attirato la nostra attenzione, pubblicato l’1 gennaio da Barbadillo a firma di Antonio Chimisso. Egli scrive con linguaggio militare:

solo un paio di cartucce sparate da lontano, due articoli a firma di italiani su El Pais ed il New York Times.

Abbiamo dunque ritenuto utile raccogliere la rassegna stampa, nazionale e internazionale sulla mostra “il tempo del futurismo”. Alle varie critiche si affiancano anche pareri positivi o punti di vista alternativi che non manchiamo di riportare. Vediamoli insieme, ma prima un brevissimo riassunto della vicenda per come siamo riusciti a ricostruirlo.

Il tempo del futurismo: riassunto della vicenda intorno alla mostra di Roma

  • Nel luglio del 2024 sei specialisti del futurismo Giancarlo Carpi, Alberto Dambruoso, Andrea Baffoni, Maurizio Scudiero, Massimo Duranti vengono estromesse dalla organizzazione della mostra e del lavoro che hanno svolto fino ad allora si appropriano il MiC e la GNAMC. Tale lavoro consiste nell’aver individuato e fatto chiedere per tempo gran parte delle opere da esporre, spesso tramite contatti personali. Quelle opere sono ora in mostra. Gunter Berghaus, che pure aveva contribuito all’organizzazione, non viene formalizzato, Claudia Salaris si dimette.
  • Nel luglio del 2024 Simongini e la direttrice della GNAMC tagliano 250 opere già ottenute in prestito senza consultate le persone suddette che, di fatto, componevano il comitato scientifico. La nuova selezione sembrerebbe privilegiare collezioni legate a personaggi politici. Al posto delle 650 opere inizialmente previste, sono stati inseriti oggetti tecnologici d’epoca per decisione del MiC.
  • Come affermato dal Sottosegretario Gianmarco Mazzi nella risposta in Commissione Cultura a Irene Manzi (PD) “il ridimensionamento in termini qualitativi e quantitativi del numero delle opere è stato deciso, dunque, dallo stesso Prof. Simongini con il vertice politico del Ministero e con la direzione della Galleria Nazionale di arte moderna.”  La mostra e, dunque, il modo in cui il movimento futurista viene presentato, sarebbero stati decisi anche da politici. È veramente così? Questo fatto, se confermato, non avrebbe molti precedenti nelle democrazie moderne. Non bisogna confondere questo fatto con la scelta, assolutamente legittima, di un Ministero di destra di promuovere una mostra sul futurismo. Nell’ambiente si dice che lo stesso curatore non fosse d’accordo, almeno fino a settembre, con la nuova impostazione della mostra decisa dal MiC.

La rassegna stampa che segue è il risultato di quanto detto:

Il tempo del futurismo: la rassegna stampa

Il 2 dicembre Dario Pappalardo su “La Repubblica”

“Questo è, finalmente, Il tempo futurista, visitabile da oggi, l’evento che, negli intenti dell’ex ministro – sappiamo come andò – Gennaro Sangiuliano, doveva segnare l’assalto all’egemonia culturale di sinistra. Tolkien e un anello per ghermirli erano soltanto l’antipasto.” “Chissà cosa direbbero Marinetti e compagni, volevano la rivoluzione e hanno avuto una mostra per famiglie”. “è come se si fosse tentato di anestetizzare la parte più scomoda del marinettismo e delle sue derive”. “L’elenco delle opere dimezzato (ora sono 350). Il comitato scientifico fantasma. Il budget tagliato, ma nessuno che si azzardi a confermarlo. «È stato un meraviglioso gioco di squadra», dice testualmente la direttrice della Gnam Renata Mazzantini. E meno male.” “Superata l’installazione del pubblicitario Lorenzo Marini – dall’effetto tenda di plastica del minimarket su cui sbattere la faccia – l’allestimento scorre pulito sull’ottimo parquet tirato a lucido. Decine di Balla ad aprire le danze: 27 sono autarchici, arrivano dalla stessa Gnam o dai suoi depositi; così come i 7 Boccioni. Manca La città che sale, dipinto fondamentale per un’esposizione “epocale” sull’argomento, mai atterrato dal MoMA. Manca la «guerra sola igiene del mondo», soprattutto. Non c’è una mitragliatrice. Non uno scenario bellico. Eppure, dalla nascita del movimento non insensibile alle armi, di conflitti mondiali se ne sono succeduti due. Il Ventennio è quasi desaparecido, spunta la Testa di Mussolini (1933) di Renato Bertelli, trasportata dal Mart di Rovereto.”

Il 2 dicembre Davide Oliviero su “Exibart”

“La GNAM, pienamente consapevole della natura polisemica e intrinsecamente controversa del Futurismo, ha orchestrato un palinsesto che ha saputo trasformare queste tensioni in un elemento propulsivo, traendone un vantaggio strategico per amplificarne il raggio d’azione culturale e mediatico.” “L’abbondanza delle opere, se da un lato celebra con dovizia di dettagli la complessità di questo movimento rivoluzionario, dall’altro rischia di travolgere il visitatore in una vertigine di stimoli, affollando le sezioni e complicando una lettura d’insieme lineare. Gli sfondi immacolati e il percorso obbligato, pur offrendo una cornice visivamente ordinata, non sempre riescono a esaltare appieno la potenza espressiva di ogni singola opera, generando momenti di inevitabile dispersione. Ma, in fondo, non è forse proprio questo frastuono visivo, questa debordante pienezza, un atto di fedeltà allo spirito stesso del Futurismo?” “Come ammoniva Marinetti nel Manifesto tecnico della letteratura futurista: «Distruggete la sintassi! Bisogna mettere il sostantivo in libertà!». E proprio questa libertà – audace, caotica, talvolta perfino ingombrante – è il filo conduttore della mostra. Non si tratta di un percorso lineare o conciliatorio, ma di una continua frizione tra le opere, il pensiero e il pubblico.” 

Il 2 dicembre Alessandro Beltrami su “Avvenire”

“Quella sul Futurismo era stata annunciata subito come mostra programmatica di un corso governativo e di un rilanciato orgoglio nazionale  […] ma profumava assai più di bandiera della revanche di una destra intenta a costruire una nuova egemonia presto rivelatasi piuttosto una endogamia culturale” e “il peccato originale di questa mostra, in un ultima analisi, sta nell’essere stata di fatto organizzata e gestita direttamente dal ministero della Cultura, come se fosse l’assessorato di un comune qualsiasi” e “La mostra è oggettivamente gigantesca, con 350 tra opere, progetti, disegni, oggetti d’arredo, film e un centinaio fra libri e manifesti, insieme a automobili, motociclette e strumenti scientifici dell’epoca e un modello in scala reale dell’idrovolante Macchi-Castoldi M.C.72, […]. In questo senso Simongini introduce come figura centrale Guglielmo Marconi, considerato come un futurista – forse un po’ forzatamente tutti gli scienziati e i tecnologi lo sarebbero stati, ma certamente le sue apparecchiature restituiscono il brivido di un’epoca di pionieri.”.  L’idea è giusta, ma l’allestimento fatica a restituirla. L’unica sala in cui questo si compie in maniera efficace è la prima”. “La mostra in sé è onesta e tutto sommato esaustiva del mondo futurista, con molti nomi di secondo e terzo piano a testimoniare la vastità del fenomeno, ma non appare di portata internazionale come nelle intenzioni.”  Un problema essenziale è dato dagli spazi troppo grandi e iper-illuminati della Gnam per opere che soprattutto nella prima parte hanno dimensioni esigue e borghesi (meglio sarebbe stata una sede espositiva più contenuta e articolata come le Scuderie del Quirinale), che schiacciano la mostra in particolare nelle fasi iniziali costretta a riempire le sale in modo un po’ confuso. Ma soprattutto non c’è un guizzo nella scansione omogenea e priva di brio delle pareti, sulle quali un quadro è appeso invariabilmente ogni 60 centimetri, e dove le poche opere maggiori sono disperse tra i molti quadretti. Mentre la pannellistica anodina e burocratica non prova neppure (ma quando lo fa è davvero discutibile) a recuperare l’energia anarchica e strafottente della grafica futurista, questa invece sì ben documentata nelle molte edizioni in mostra. Per quanto riguarda l’accostamento tecnologia e arte, è difficile non notare come nel grande salone, senza dubbio spettacolare, le automobili e le motociclette oscurino e divorino i quadri alle pareti.

3 dicembre “Il Manifesto”

“Rimandata, propagandata, attraversata dai malumori e diffide, da comitati scientifici saltati, alla fine l’esposizione si è «rivelata», occupando con un’infilata di 350 opere 26 sale della Gnamc (divise per sezioni che fanno riferimento a più discipline, dall’architettura al cinema alla letteratura con propaggini nell’arte degli anni ’60), proprio nei giorni che seguono l’annuncio di Fitto il quale, prima di andarsene, ha sforbiciato pesantemente i fondi al Mic. «Una mostra fatta in casa», ha affermato la neodirettrice della Galleria nazionale Renata Cristina Mazzantini, intendendo le sinergie fra istituzioni governative e museali sparse sul territorio nazionale, mentre il curatore Gabriele Simongini assicura di non essere stato ideologico nella costruzione della rassegna, «non c’è alcuna volontà di legare il Futurismo alla destra o alla sinistra perché sarebbe ingiusto nei confronti di artisti così grandi e geniali».
Insieme ai dipinti, disegni, progetti, riviste, rivendicano una loro presenza pop macchine d’epoca, idrovolanti, radio d’antan perché – sostiene il curatore – «siamo nel 2024 e serve un maggiore coinvolgimento del visitatore». Budget 1,5 milioni del ministero più sponsor (tra cui la società Autostrade che da oggi avrà anche una mostra fotografica in museo sulla storia dell’A1, l’autostrada del Sole).
Molti i prestiti italiani, privati e pubblici, e alcuni dall’estero – tra cui il MoMA, il Metropolitan Museum di New York, il Philadelphia Museum of Art, la Estorick Collection di Londra e il Kunstmuseum Den Haag de L’Aia – ma la Gnamc può contare da sola su centodue opere futuriste in collezione, diverse delle quali invisibili perché nei depositi.”

Il 3 dicembre Edoardo Sassi sul “Corriere della Sera”  

Un’apertura preceduta da mesi di accese polemiche, per i cambiamenti di progetto in corso, per i ritardi nella organizzazione (doveva aprire lo scorso ottobre, si è scelto di inaugurarla per la ricorrenza della morte di Filippo Tommaso Marinetti, 2 dicembre 1944), per un co-curatore annunciato, anche in documenti ufficiali del ministero, per una rimodulazione del budget della mostra, – formula che risulta da atti protocollati con cui si erano richiesti prestiti poi cancellati – che però la direttrice del museo Renata Cristina Mazzantini ieri ha smentito “non c’è stata nessuna rimodulazione del budget”, e anche per la scelta di un curatore Gabriele Simongini, – docente della Accademia di Belle Arti prima a Frosinone poi a Roma – il cui nome, per studi e pubblicazioni, a molti non sembrava rientrare nel novero dei grandi esperti di futurismo.” “L’esposizione è mastodontica e fatta in casa due definizioni usate ieri presentandola. Affermazioni entrambe vere. Sono oltre 350 le opere proposte, cui vanno aggiunti i tantissimi documenti. Ma di queste più di 100 sono di proprietà della stessa galleria nazionale, e solo 10 vengono dall’estero”. “Le grandi opere, quelle unanimemente considerate tra i capisaldi del futurismo sono in gran parte rimaste altrove”. “Il percorso […] tende a evocare in maniera spettacolare una generale temperie futurista, anche in ambito scientifico-tecnologico”. “Poco indagato risulta il tema cruciale per l’avanguardia della guerra sola igiene del mondo”.

Il 3 dicembre Alessandra Mammì “Artribune”

“Eppure, bisogna ammetterlo siamo di fronte ad una vasta e solida mostra e non a quello che si temeva: una messa in scena d’epoca con pochi e dubbi quadri di contorno a una macchina di entertainment. Qui invece ci sono opere di eccezionale qualità che di sala in sala restituiscono la vivacità creativa, la forza di sperimentazione ma anche la grande sapienza formale compositiva di pittori, scultori e grafici che aderirono al movimento.” “Quello di cui invece non ci eravamo accorti è che la maggior parte di questi capolavori arrivano dai locali che sono sotto il parquet che stiamo calpestando, ovvero dagli stessi depositi della Galleria.” “Ma una mostra con prestiti importanti da istituzioni nazionali e internazionali dove spiccano il Nudo che discende le scale di Duchamp dal Philadelphia Museum of art, L’autoritratto di Boccioni dal Metropolitan, e infine Le Boulevard di Severini e l’Idolo moderno di Boccioni dalla Estorick di Londra (tutti indiscutibili capolavori).” “Lasciano più perplessi la presenza di motori e marchingegni, automobili e aereoplani, apparecchiature di varia utilità a dimostrare che fu epoca di grandi invenzioni e cambiamenti…mentre interessante è la ricostruzione degli “Intonarumori“, famiglia di strumenti musicali di Luigi Russolo”. “francamente inutili ingenue e sempliciste le fughe in avanti proposte dalle didascalie che vogliono per forza legare la rivoluzione digitale a quella futurista o le forzature che vedono Guglielmo Marconi (c’è una sala interamente dedicata a lui) come bisnonno di Steve Jobs.” “Che queste fughe in avanti non funzionino è ampiamente dimostrato nelle ultime, inutili sale della mostra.” “Tutti insieme confusamente in una cattiva scrittura visiva a indebolire invece che fortificare il progetto.”

Il 4 dicembre Danilo Maestosi “Succedeoggi” 

“Già, che splendido inizio a raccontare la nascita del movimento. Tre pezzi accostati a comporre uno spettacolo che ti raggiunge al cuore e resta impresso anche nella mente di un visitatore più sprovveduto. Parla da sé l’accostamento tra due grandi tele. A introdurre il prima è un paesaggio di Pellizza da Volpedo, maestro del divisionismo, che ha fatto da incubatrice ai talenti del futurismo che verrà: un sole il cui scintillio si alza in un alone di riverberi su un campo di grano. Ed ecco il dopo, datato 1910, firmato da Giacomo Balla: anche qui un cielo, attraversato da bagliori geometrici che inseguono e catturano le traiettorie a fasci intrecciati di un’altra fonte di luce artificiale: l’illuminazione elettrica, una nuova invenzione che in quegli anni trasforma il volto delle città.” “Grande e contagiosa scintilla inventiva la pittura aerospaziale. […]” “Ma qui il copione ben governato della mostra salta a mio avviso completamente, proseguendo in capitoli più sommari, accavallati e imprecisi. Rivelando il tallone d’Achille, impresso a questa mostra dalla logica della politica che l’ha promossa: la voglia di fondare la propria vittoria rivendicando la vittoria ad ogni costo. Anche al prezzo di vistose e imperdonabili rimozioni, che demoliscono in modo stridente il titolo con cui viene battezzata l’iniziativa: Il tempo del futurismo.” “Rimosso il trauma di due guerre, che pure sono gli spartiacque di quel mezzo secolo breve. Neanche una citazione a ricordare lo slogan di Marinetti, la guerra igiene dei popoli, che oggi fa rabbrividire. Perché annoiare e spaventare il visitatore? Perché ricordargli che gli anni del futurismo combaciano con quelli del regime fascista?”. “Peccato, un’occasione persa. Ormai il futurismo è indagato in tutti i suoi aspetti e le sue ombre senza pregiudizi. Non era il momento giusto per siglare con questa megamostra un accordo di pace? Purtroppo non sembra la strada che questo governo, barricato in un vittimismo di comodo – lo stato di guerra legittima qualunque abuso – è in grado di seguire.” 

Il 4 dicembre Federico Giannini su “Finestra sull’Arte”

“Non è sufficiente la quantità di pezzi disposti lungo l’itinerario di visita (e questo è chiaro a tutti, anche a chi non ha mai messo piede in un museo), non serve rimarcare l’internazionalità dei prestiti, e spesso non è sufficiente neppure la qualità delle opere che la compongono se mancano all’appello pezzi fondamentali, se il progetto è poco chiaro, se certe letture paiono forzate, se gli apparati sono scarni, se mancano novità sostanziali, se mancano sguardi nuovi, se mancano idee nuove.” “Nelle sale della Gnam va in scena una mostra che si potrebbe definire scolastica. Una mostra di riepilogo, a voler essere generosi. Una scansione cronologica, paratattica, minimalista, conformista, priva di sussulti. Una rivoluzione convenzionale, insomma. Una rassegna lacunosa anche rispetto all’intento d’essere una mostra per tutti, perché gli apparati sono ridotti ai minimi termini, sono avari d’informazioni i pochi pannelli che marcano il percorso” e “Un inizio denso, potente, che accompagna i visitatori verso un’altra sala dove sfilano le opere dei futuristi prima del futurismo […] “Poi, dopo la deflagrazione, la mostra comincia a perder forza, vigore, intensità, subisce qualche sfasamento cronologico […] e va incontro a una diluizione ch’è del resto ineludibile in un percorso ch’è fatto per grossa parte di pezzi tirati fuori dai depositi della Gnam”. “[…] la scultura è quasi totalmente non pervenuta, e ancora gli unici, sparuti pezzi che rappresentano il fotodinamismo di Bragaglia si perdono nelle due sale riservate alla pubblicitaria futurista, non sono in accordo cronologico col resto della mostra, così che il pubblico, trovandosele in mezzo a volumi, scritti e articoli, rischia di sottovalutarne la rilevanza”.  

Il 5 dicembre Valeria Arnaldi su “Il Messaggero”

“dice Renata Cristina Mazzantini, direttore Gnamc. «Il futurismo, scriveva l’influencer ante litteram Marinetti: “si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche”». La mostra si concentra perciò su questo aspetto, esibendo accanto alle opere d’arte, ai libri e ai manifesti, anche gli autoveicoli e rari strumenti scientifici dell’epoca. Ed è proprio di questa corsa verso un nuovo da vivere e prima ancora creare che la mostra vuole farsi misura e testimone, nonché, al contempo, specchio della proiezione attuale verso il domani, nel dialogo sempre più stretto tra quotidianità e tecnologia, arte e scienza appunto, reale e virtuale.”

Il 5 dicembre Barbara Celis “Él Pais”

“Vogliamo glorificare la guerra – unica igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle idee che uccidono e il disprezzo per la donna.” Chi visiterà la mostra Il tempo del futurismo, inaugurata il 2 dicembre presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, non leggerà questa frase tra le molte che il curatore Gabriele Simongini ha invece scelto di evidenziare con grandi cartelli nelle 26 sale che compongono l’esposizione. Eppure, si tratta di uno dei punti chiave del Manifesto futurista del 1909, scritto dal poeta Filippo Tommaso Marinetti.” “Sfumare il dichiarato militarismo di Marinetti o di pittori futuristi come Giacomo Balla e la loro esplicita relazione con il fascismo – relazione che lo stesso Balla in seguito rinnegò con l’età – è solo una delle diverse omissioni che attraversano una mostra composta da 350 opere e un centinaio di oggetti, carica di contraddizioni evidenti non solo nelle sue sale, ma anche nella concezione stessa di un’iniziativa perseguitata dalla polemica sin dagli esordi. Ideata dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano (nel frattempo dimessosi per uno scandalo sentimentale e possibile appropriazione indebita di fondi), con un contributo pubblico di due milioni di euro, l’esposizione punta a dimostrare che l’estrema destra può organizzare grandi eventi culturali. Sangiuliano, secondo commissari successivamente rimossi, avrebbe chiesto di includere alcuni dei suoi quadri preferiti.” “In nessun luogo si legge che i futuristi furono i primi provocatori del XX secolo, nazionalisti ma anticlericali, rivoluzionari ma senza rivendicazioni sociali, antifemministi ma a favore del suffragio universale. Ferventi militaristi, alcuni di loro parteciparono alla Prima Guerra Mondiale, come Carlo Carrà o Luigi Russolo, ma la loro salute mentale ne risentì per sempre. Altri, come Boccioni, morirono giovani: ironia della sorte, la velocità di un’auto spaventò il cavallo dell’artista che, cadendo, si uccise. Queste contraddizioni non vengono né riflesse né spiegate. Manca un contesto che aiuti a comprendere questo movimento e le sue connessioni con la storia e la politica. Mancano quasi del tutto anche le fotografie dei futuristi.” Interpellato da El País sull’assenza di pannelli esplicativi riguardanti le due guerre mondiali o i legami politici del movimento, Simongini ha risposto infastidito: “Di questo si parla nel catalogo”. E chi non lo compra? “È menzionato nella linea del tempo [in un angolo dove non compaiono né le guerre mondiali né la marcia fascista su Roma], e qualcosa si dice nel pannello dedicato a Balla, ma soprattutto ci sono quadri dove si vedono aerei, paracadutisti…”. […] Io volevo sottolineare la qualità e la grandezza delle opere futuriste come opere d’arte, perché ancora oggi persiste questo equivoco della contaminazione con la politica che danneggia il futurismo. Vorrei che le ammirassimo per la loro capacità di rivoluzione estetica”. L’arte del futuro sarà potenzialmente pubblicitaria” è una delle frasi stampate a caratteri grandi nella mostra, tratta dal Manifesto dell’arte pubblicitaria futurista del 1931. Firmato da Depero, autore del leggendario cartellone del Bitter Campari, profetizzava così l’arrivo di artisti come Andy Warhol, Maurizio Cattelan o Jeff Koons. E ora, di questa nuova forma di propaganda artistica.   

Il 6 dicembre Alejandra Ortiz Castañares su “La Jornada”

“L’esposizione Il tempo del futurismo, dedicata al movimento artistico più internazionale d’Italia del XX secolo, è stata segnata da polemiche e irregolarità a causa dell’ingerenza del governo nella sua concezione e realizzazione. Dopo numerosi rinvii, ha finalmente aperto al pubblico martedì scorso presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM) e Contemporanea di Roma, con la promessa di essere inclusiva, didattica e multidisciplinare.” Membri del team organizzativo hanno denunciato alla stampa la mancanza di autorità risolutiva del curatore, secondo quanto dichiarato da Alberto Dambruoso, ex co-curatore, e Massimo Duranti, membro del comitato scientifico sciolto. Duranti ha affermato su Il Giornale dell’Arte che la riduzione qualitativa e quantitativa delle opere riflette un disprezzo per il rigore scientifico e l’intervento diretto del Ministero nelle decisioni artistiche. “La direttrice del museo, Renata Cristina Mazzantini, minimizza lo scandalo pubblico definendolo chiacchiere inutili, e spiega che un aereo, due automobili d’epoca e alcune marionette sono esposti accanto alle opere di Balla e Boccioni. Simongini sottolinea che l’esposizione illustrerà il rapporto tra arte, scienza e tecnologia, focalizzandosi su Guglielmo Marconi e sui temi della velocità e della simultaneità per renderla unica e innovativa.”

Il 7 dicembre Massimiliano Parente su “Il Giornale”

“Allestimento? Perfetto, anche perché gli spazi della Gnam sono già bellissimi.” “Anche le contrapposizioni sono ben riuscite, per dimostrare il passato (gli artisti orientati del passato, che erano contemporanei) e il presente (dei futuristi), come contrapporre il Sole di Pellizza da Volpedo del 1904 alla Lampada ad arco di Balla, realizzata solo 6 anni dopo, nel 1910. Il passato e la modernità, e la celebrazione della tecnologia, del mondo che cambia, della scienza. Con un certo intento di attualizzazione, dedicando una sala a Guglielmo Marconi, come anticipatore di Steve Jobs, che, diciamo la verità, ci sta e non ci sta, così come vedere un aeropittore che prevede i viaggi di Elon Musk sul Marte (e allora Verne?).” “In ogni caso una bella mostra in cui perdersi anche per una giornata, focalizzandosi sull’avanguardia che ha celebrato la modernità, e dimenticandosi le critiche politiche, ma anche, d’altra parte, alcuni intenti politici che sono venuti fuori, due facce della stessa medaglia”. “Allo scandalo hanno contribuito un po’ tutti, tanto gli organizzatori quanto i politici, quanto i detrattori”.

L’8 dicembre Roberto Floreani su “Artuu”

“Questa mostra non ha un autentico apparato scientifico di selezione, ma è indubitabile che sia preferibile considerare le 350 opere esposte (oltre 500 se si considerano anche libri, manifesti e amenità varie) nelle 26 sale, occupando una superficie di oltre 4.000 mq., anziché iniziando, molto italicamente, da quelle che mancano.” “Una mostra muscolare che racconta per numeri l’attività incredibile del Futurismo, la sua ampiezza storica e numerica, con durata spropositata per un’avanguardia (1909-1944), tra gli ululati di tutti quelli che si sono adoperati per occultarla o sminuirla fino ad oggi e non si rassegnano. Di fronte a tale abbondanza, finiscono col contare meno la non presenza de La Città che sale di Boccioni, delle Compenetrazioni iridescenti di Balla, dell’intera opera di Mino Rosso, il Boccioni degli anni ’30, mentre Forme uniche della continuità nello spazio di Boccioni – l’icona scultorea dell’intero Novecento, in comodato dalla collezione Farnesina, già esposta all’Onu e autorizzata dagli eredi Marinetti – è posizionata in semioscurità in un corridoio.”

12 dicembre Domenico Ioppolo “Artribune”

“La mostra, curata da Gabriele Simongini, ha un carattere narrativo che, lungi dall’essere una debolezza, la salva da un impianto cervellotico, rendendola accessibile a tutti. Il percorso è costruito con un’impostazione chiara, comprensibile anche per chi non possiede una preparazione specifica in storia dell’arte. Si parte dalla sala dell’Ottocento, dove viene raccontato, alla maniera dei Salon, il contesto culturale e iconografico che dominava il panorama visivo, segnato dal naturalismo e dall’epica risorgimentale, da dove prende avvio la rivoluzione futurista. Prosegue con un “vestibolo”, uno spazio di passaggio, una “scossa” visiva, rappresentata dall’installazione di Marini, che introduce al cuore dell’esposizione vera e propria”. “Il movimento si proponeva come potente forza di innovazione dell’Italia agricola e le prime sale si concentrano sugli aspetti tecnologici e scientifici che hanno determinato il cambiamento radicale del mondo durante l’era futurista: velocità, elettricità e onde radio. Fattori di cambiamento che rendono quel periodo sorprendentemente assimilabile al nostro, dove la rivoluzione digitale e l’Intelligenza Artificiale stanno ridisegnando il nostro presente”.

13 dicembre Elisabetta Povoledo “The New York Times”

“Assenti in modo evidente all’inaugurazione erano alcuni studiosi e critici del Futurismo che avevano trascorso gran parte dell’ultimo anno a preparare la mostra. Sono stati licenziati dai funzionari del Ministero della Cultura questa estate e sostituiti con un comitato organizzativo che includeva un architetto, un archeologo e un esperto di arte medievale.”

“Mi hanno detto: ‘arrivederci’ — non sei mai esistito”, ha dichiarato Massimo Duranti, uno degli esperti estromessi. “La mostra è diventata un’esaltazione del Futurismo durante il periodo del regime.”

“Massimo Osanna, direttore dei musei statali italiani, ha negato che i cambiamenti al comitato fossero motivati da ideologie. Duranti e gli altri non erano mai stati formalmente nominati, ha affermato, e il nuovo comitato ha lavorato per presentare “un’epoca straordinaria da molti punti di vista.”

“La mostra sul Futurismo non è stata progettata, pianificata ed eseguita da esperti”, ha detto Günter Berghaus, uno degli studiosi licenziati, “ma da un governo che cerca innanzitutto di promuovere la propria agenda culturale.”

“Nella mostra, una celebre scultura di Renato Bertelli raffigurante il volto di Mussolini è l’unico riferimento diretto al dittatore che ha governato l’Italia per due decenni. Invece, celebra il dinamismo e l’energia dell’epoca — quando, come propagandava il regime fascista, i treni arrivavano in orario — attraverso oggetti di uso quotidiano come automobili, motociclette, aerei e macchine da scrivere Olivetti, esposti accanto a dipinti. Giancarlo Carpi, un altro degli esperti estromessi, l’ha descritta come una sorta di biglietto da visita del “Made in Italy” pre-Seconda Guerra Mondiale. Ha detto che, dopo la sostituzione del comitato, il numero di opere d’arte è stato drasticamente ridotto e sono stati introdotti gli oggetti di design.”

“C’è la glorificazione della tecnologia invece dell’arte,” ha affermato, creata per attrarre un pubblico generico ed evitando gli aspetti più problematici di quei decenni.”

“Da oltre un anno, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea è stata indicata dai critici come un luogo di propaganda governativa.”

“Parlando con i giornalisti al Foreign Press Club di Roma lunedì, Federico Mollicone, parlamentare del partito di Meloni e presidente della commissione cultura del Parlamento italiano, ha dichiarato che la destra non ha interesse a costruire una “nuova egemonia culturale”, ma sta cercando di garantire “una visione nazionale” che guardi al presente. La mostra sul Futurismo, ha affermato, segna il ritorno di una tradizione di grandi esposizioni nazionali che parlano al popolo, piuttosto che agli intellettuali o agli esperti.”

16 dicembre Alberto Dambruoso su “Artribune”

“Non è mia intenzione riprendere la polemica sulla mia epurazione e su quella degli altri membri del comitato scientifico ma certamente la nostra presenza avrebbe probabilmente evitato i tanti errori (alcuni grossolani) nell’allestimento della mostra.”  “Quindi è totalmente errato il messaggio che si vuole far passare ovvero che la mostra era stata pensata fin dall’inizio per documentare i rapporti tra la scienza e la tecnologia e il Futurismo. Con questo non voglio affermare che l’inserimento degli oggetti tecnologici come le auto e il motore a scoppio che si trovano in mostra non doveva essere fatto. Qui si contestano i modi di come sono state allestiste, posizionate qua a là senza una logica” “ll percorso espositivo parte male per non dire malissimo dato che invece di iniziare una mostra tanto sbandierata come internazionale dal salone centrale, più arioso e maggiormente rappresentativo, il visitatore viene costretto ad oltrepassare un’installazione che ha tutta l’aria di essere stata fatta dai bambini dell’asilo o in alternativa da qualche vetrinista specializzata in addobbi natalizi.” “Vi è però un’opera del 1910 di Aroldo Bonzagni che era stato uno dei primi firmatari del Manifesto dei Pittori Futuristi ma appena due mesi dopo decise di non farne più parte e direi che l’opera presente in mostra dimostri appunto che con il Futurismo abbia gran poco a che fare. Come non si comprende cosa ci faccia lì, in quella sezione della mostra, il notevole dipinto di Previati La caduta degli angeli che stona decisamente con tutte le opere futuriste del salone. Le opere allestite in questo grande salone sono a volte poco leggibili per via della scarsa illuminazione ma soprattutto per colpa delle macchine d’epoca che impallano con la loro presenza la vista d’assieme. Ad un certo punto in mezzo a queste macchine compare anche la scultura di Boccioni Dinamismo di una bottiglia nello spazio che sembra buttata lì, avulsa totalmente dal contesto.” “Sarebbe stato molto importante, per non dire doveroso, mostrare come si presentava il Futurismo prima della conoscenza del Cubismo e subito dopo.” “Avevo fatto presente che erano troppe le opere di Balla ma a quanto pare, con tutta evidenza, gli interessi dei privati, detentori di opere di Balla, hanno prevalso. La cosa strana è che di Boccioni in mostra vi è solo un’opera prestata da un privato. Di Balla ve ne sono circa una ventina.” “La sezione che funziona meglio di tutte è a mio avviso quella successiva dedicata all’Aeropittura, allestita in un ampio salone. Le opere sono belle e si possono leggere bene. Peccato solo per quel gigantesco idrovolante d’epoca che sembra un po’ un elefante in un negozio di cristalli posto lì per far vedere ai bambini delle elementari il collegamento con le opere esposte”

22 dicembre Carlo Calenda e Massimiliano Tonelli su Instagram:

La mostra sul #futurismo alla galleria d’arte moderna è strepitosa.
Sono stato oggi con famiglia al completo.
Il futurismo ha affrontato per primo il tema della tecnica e dell’uomo. Il percorso di questa mostra spiega molto bene il tratto visionario e la potenza creativa di quel movimento.
La polemiche politiche che ci sono state intorno a questa iniziativa della galleria d’arte moderna sono davvero incomprensibili. Andate a vederla. Merita davvero. (Carlo Calenda).

Al di là della bellezza dell’esposizione, le polemiche su questa mostra sono incomprensibili solo per chi ritiene serio prendere posizione su un post Instagram senza documentarsi e approfondire alcunché… (Massimiliano Tonelli)

@direttortonelli che risposta arrogante. Non ti ricordavo così spocchioso (Carlo Calenda)

@carlocalenda credo che l’unica arroganza – e mancanza di responsabilità civica – sia prendere posizione pubblicamente su questioni rilevanti senza esaminare, analizzare e capire. (Massimiliano Tonelli)

@direttortonelli che presunzione. È una bellissima mostra – allestimento e opere – ho solo scritto questo. Fine (Carlo Calenda)

@carlocalenda no. Non hai solo scritto questo. Hai indicato come “incomprensibili” i rilievi fatti da decine di persone competenti sul processo assolutamente surreale che c’è stato a monte della mostra. Polemiche non politiche ma tecniche che hanno a che fare con l’organizzazione e non con la mostra che ne è il mero risultato finale, polemiche che se avessi analizzato invece di adoperare i social in maniera superficiale avresti condiviso e sposato tu per primo (Massimiliano Tonelli)

@direttortonelli guarda che mi riferivo alle polemiche politiche (Carlo Calenda)

25 dicembre Luca Beatrice “Libero”

“Ecco che alla Galleria Nazionale di Roma si è finalmente aperta Il tempo del Futurismo e diciamolo pure questa mostra può davvero competere con le due rassegne epocali che segnarono gli studi sul movimento: Ricostruzione futurista dell’universo alla Mole Antonelliana di Torino curata da Enrico Crispolti nel 1980 e Futurismo e Futurismi a Palazzo Grassi, Venezia, nel 1986 per la cura di Pontus Hulten.” “Dal punto di vista della quantità di opere e del percorso espositivo Il tempo del Futurismo offre uno sguardo che risponde alle curiosità del nuovo secolo, è inclusiva, divertente, non soltanto per addetti ai lavori” “Fino al prossimo 28 febbraio la visita è d’obbligo, pensando non solo al pubblico delle scuole ma anche ai visitatori stranieri”.

28 dicembre Luigi Prestinenza Puglisi su “Il Tempo”

“La mostra sul futurismo alla Gnam di Roma vale un viaggio, anzi due. Le si potrebbero muovere tante piccole e meno piccole obiezioni, ma chi se ne frega. Ha quadri bellissimi, decine di opere di Boccioni e di Balla ma anche di tanti altri. Una mostra completa di cui finalmente non dobbiamo vergognarci, come spesso accade con tante micragnose mostre italiche. Il suo allestimento ha richiesto la disponibilità di quasi tutta la Galleria. Che, quando la mostra sul Futurismo sarà chiusa, avremo il pretesto per riallestirla. E così rendere viva un’istituzione che dovrebbe essere più dinamica e meno ingessata. Per poter gustare bene tutti i quadri della mostra, mettete in conto di andarla a vedere almeno tre volte”.

29 dicembre Francesco Olivo “La Vanguardia”

“Tra un quadro di Umberto Boccioni e il mito degli aeroplani trasformato in ideologia, la destra cerca la sua legittimazione culturale. Forse a Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del futurismo, sarebbe piaciuto tutto questo clamore intorno a una mostra. Mesi di polemiche, attacchi, rotture e dimissioni hanno portato a “Il tempo del futurismo”, l’esposizione visitabile a Roma fino al 28 febbraio.” “La mostra si distingue per accostare capolavori del divisionismo con i primi esperimenti futuristi di Boccioni e compagni, mostrando al grande pubblico che la storia dell’arte non è una sequenza compartimentata come appare nei manuali. Tra le opere esposte spiccano “Il sole e il tramonto” di Pellizza da Volpedo e “Alla stanga” di Segantini, in dialogo con la celebre “Lampada ad arco” di Giacomo Balla, prestito eccezionale del MoMA di New York. La mostra trasmette un messaggio chiaro: all’alba del XX secolo, un’Italia rurale, legata ai ritmi della natura, è destinata a scomparire con l’arrivo della modernità, del rumore delle città e della luce elettrica.” “La mostra riflette anche una chiara intenzione ideologica. “Il nostro governo ha vinto con un programma culturale votato da milioni di persone”, afferma Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati. “Queste non sono le mostre del governo Meloni, ma del Ministero della Cultura, che segue le linee guida dettate dalla politica”. “Forse a causa delle polemiche che hanno accompagnato la preparazione, i curatori hanno evitato di rendere troppo espliciti i legami dei futuristi con il fascismo. Marinetti e i suoi seguaci parteciparono alla fondazione dei Fasci di Combattimento di Benito Mussolini nel 1919, un legame che, tra alti e bassi, si mantenne fino alla fine della dittatura. Tuttavia, per trovare riferimenti chiari al Duce, come “La testa di Mussolini” di Renato Bertelli, bisogna arrivare quasi alla fine del percorso.” “Il giornalista Alberto Mattioli osserva: “Questo governo vuole basare la sua azione su un’eredità identitaria, ma il problema è che non ha alcuna idea di futuro”. Un caos senza fine che, forse, avrebbe affascinato lo stesso Marinetti”.

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