Il comunicato stampa della Corte Costituzionale, del 1 dicembre, dove ha espresso la legittimità dei provvedimenti del governo in materia di Covid sulla privazione del salario e del posto per alcune figure, mi sembra, a prima vista, più un giudizio politico che giuridico. So benissimo che non si discutono le sentenze della Corte costituzionale, pertanto aspetterò il dispositivo per dare un giudizio complessivo.
Persino in Cina si chiede maggiore libertà, da noi le cose girano in senso opposto
Dopo le dichiarazioni del rappresentante della Pfizer che la sua casa farmaceutica non ha fatto nessuna ricerca preventiva sul farmaco e sulle sue conseguenze; dopo le tante situazioni critiche dopo i vaccini e le morti improvvise; dopo il reintegro dei medici che avevano rifiutato di vaccinarsi, con ulteriori discriminazioni; dopo la sentenza recente della Corte suprema di New York che ha sentenziato la difesa della la libertà dei cittadini di vaccinarsi o no, in quanto il vaccino non ferma i contagi, negando i provvedimenti alla obbligatorietà del Presidente Biden; dopo che anche in Cina si stanno opponendo alle misure restrittive, a me sembra che qualche riflessione bisogna ancora fare su quello che avvenuto e su come ci sia ancora diversità di giudizio sulla tematica relativa alle restrizioni per la Pandemia.
Certamente la Corte ha risposto ad un quesito che riguarda alcune figure come i sanitari e sulla legittimità di privare del salario dopo l’assenza dal lavoro, imposta per decreto, ma legittimamente restano tanti dubbi su quello che è avvenuto, per effetto delle restrizioni governative e li vorrei porre solo per valutare se siano mie valutazioni o possono essere ancora riprese per future sentenze.
Questa occasione può essere utilizzata anche per fare un’ampia riflessione sulla libertà e sulla democrazia perché si rischia, come avvenuto con i provvedimenti governativi, di incidere profondamente su diritti fondamentali e costituzionali, anche se in quella fase la restrizione di questi diritti sarebbe stata giustificata e motivata legittimamente dalla tutela della salute.
No alla gerarchia tra i diritti!
È ovvio, appare evidente a tutti, che il diritto alla vita e alla sicurezza dell’individuo prevalga rispetto a tutto, ma in Costituzione non ci sono diritti di seria A e diritti di serie B, anche nel caso in cui sia la stessa Costituzione a perimetrarne eventuali limiti, come nell’art.16 della Costituzione.
Di fronte a questo perpetuarsi delle misure, tuttavia, è lecito disquisire se queste rispecchiassero tutti i parametri di legittimità, ragionevolezza e proporzionalità previsti dalla Costituzione. Oltre alla questione del bilanciamento dei diritti in gioco e dell’eccezionalità degli interventi limitativi, infatti, bisogna sempre tenere a mente, ai fini della loro legittimità, proprio il principio di proporzionalità. Esso attiene al triplice profilo dell’idoneità a raggiungere lo scopo prefissato, della necessità e dell’urgenza. La compressione di una libertà o di un diritto costituzionalmente tutelato sarebbe illegittima qualora non fosse idonea al raggiungimento dello scopo prefissato e come sentenzia la Corte suprema americana non lo si è raggiunto, ma anche come testimoniano i tanti casi di Covid dopo tre dosi di vaccino.
Un altro dubbio è di fronte ad un probabile rischio per tutto il Paese, si può consentire ad alcuni di andare a lavorare e ad altri no? Così, a parer mio, si sono create discriminazioni fra cittadini e si sono divisi fra buoni e cattivi. Voglio ricordare che il fine dello Stato è la libertà, che significa benessere materiale e spirituale fra i cittadini. Non può esserci libertà se viene limitato il diritto a lavorare per imposizione e di conseguenza si riduce anche lo stipendio; viene meno, così, sia la sicurezza materiale e sia quella morale. A me sembra che violare il diritto al lavoro determini un’ingiustizia sociale e quindi la privazione del lavoro e dello stipendio è una violazione delle norme costituzionali.
Con questi provvedimenti governativi continui si sono ridimensionati dritti fondamentali e la stessa libertà dei singoli. Controllare i movimenti delle persone con i droni; controllare se i cittadini si allontanano da casa e dover dichiarare il perché lo si fa; chiudere le università, le scuole; app di controllo; vaccini obbligatori per malattie diverse dal coronavirus; il controllo della spesa, e obblighi imposti senza ratio, come quello di giustificare gli spostamenti e l’impossibilita di andare a trovare genitori o figli, oppure recarsi ad una seconda casa, non sono certamente da Stato democratico.
Lo Stato ha imparato ad aggirare i limiti costituzionali
Sarebbe stato più giusto, invece di imporre il green pass obbligatorio, legiferare per l’obbligatorietà del vaccino. Il governo non l’ha fatto, quindi, si desume che era consapevole che non potesse farlo. Così si è scelto di aggirare il problema e spostare la responsabilità dei rischi del vaccino al singolo cittadino, piuttosto che assumersela con l’obbligatorietà.
Il diritto al lavoro, sempre e comunque
Il dover presentare, pertanto, il green pass per poter andare a lavorare, oltre a dividere i lavoratori, ha leso anche il principio di uguaglianza dei cittadini e si sono create discriminazioni fra gli stessi. Così come è stato fatto con l’imposizione si è determinato anche uno scontro sempre più forte fra chi era vaccinato e chi non voleva farlo e si è alimentato anche una specie di caccia all’untore. Si è violato anche il diritto alla autodeterminazione, alla possibilità, prevista dalla Costituzione, di scegliere come curarsi e alla libertà di pensiero, imponendo un pensiero unico, motivandolo con la esigenza di tutelare la salute.
Il diritto di protestare e dissentire, da qualsiasi autorità
Quello che è stato ancora più inaccettabile che, dopo aver istillato la paura, si è poi intervenuti anche con idranti e manganelli nei confronti di chi protestava in modo civile e pacificamente. Si può replicare che la libertà del singolo finisce quando intacca la libertà degli altri, ma entro questo limite va comunque difesa anche la libertà del singolo.
Voglio ricordare che il diritto ad essere pienamente cittadino di una comunità democratica, significa anche poter essere dissenziente, quando i propri diritti sono messi in discussione da qualsiasi autorità. Non si possono limitare i cittadini nella loro libertà di espressione del dissenso verso imposizioni e neppure si possono motivare atti violenti né loro confronti, perché gli altri cittadini non vogliono averci a che a fare. Da sempre la democrazia, oltre a garantire la maggioranza, ha tutelato anche le minoranze.
Tutto questo dovrebbe far risvegliare le coscienze e ritornare a propugnare alcuni dei valori considerati antichi, per riaffermare concetti di democrazia, partecipazione, libertà, coesione, solidarietà ed uguaglianza dei diritti.
Mill[1], fautore della partecipazione delle masse al potere politico, ma al tempo stesso vigile custode delle libertà di pensiero e opinione, individuava nel ‘dispotismo mentale’ generato dalla tirannia della maggioranza il rischio maggiore per la democrazia. Questo è avvenuto! Per non contraddire il potere, infatti, si è diffusa una sorta di pacificazione delle menti che sacrifica coraggio mentale e intellettuale. Quando la paura dell’eresia conduce anche le menti più critiche al silenzio, la vita intellettuale del popolo muore, perché la verità trae alimento dal dialogo libero e contraddittorio.
[1] J.S. Mill, 1981, Saggio sulla libertà, il Saggiatore, Milano