Economia dell'Ira
La visione dei sette candelabri, serie: Apocalisse | Albrecht Durer, 1497-1498

L’Economia dell’ira. Sloterdijk e Fusaro tra Israele, Palestina e Hamas

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I recentissimi tragici avvenimenti in Israele, dopo l’assalto in forze dei miliziani di Hamas alle colonie ebraiche di confine con la Striscia di Gaza, obbligano l’osservatore avvertito ad un supplemento di attenzione – al di là dei proclami e degli slogan per gli uni o gli altri, che sempre più sembrano sospendere le risorse razionali e segnare il prorompere di un’emotività deliberatamente e programmaticamente fuori controllo – e a trovare, forse, qualche conforto nella parola dei filosofi. Parliamo di Economia dell’Ira, un concetto ben più ampio dell’economia di guerra. Parliamo di orgoglio insito in una certa antropologia, non vedere la quale trasforma persino la guerra in Israele e Palestina nell’ennesima performance di infotainment.

Per fare un po’ d’ordine nella mente, che fatica a tenere il passo degli orrori, esibiti e persino glorificati dal flusso delle immagini riprese con i cellulari, prendiamo in esame le interessanti tesi contenute nel testo del filosofo tedesco Peter Sloterdijk Ira e tempo, Marsilio “Nodi”, 2019, incrociandole con quelle, di sapore più radicale, di Diego Fusaro nel suo Pensare altrimenti, Einaudi 2017. Entrambi gli autori sono attratti da una visione inedita e contemporanea dell’ira e ne sollecitano una lettura tanto fenomenologica che storico-politica; uscendo poi dalle inevitabili genericità, talune parti dei loro percorsi di pensiero sembrano applicabili al caso di quest’ultimo, impetuoso riaccendersi delle guerre arabo-israeliane, permettendo di andare oltre al cordoglio e al disgusto per l’ennesima carneficina, nella sempre tormentata Terrasanta.

Anche la guerra in Israele come infotainment

Abbiamo acquisito l’abitudine di ascoltare in prima istanza i commentatori che si inseriscono negli eventi e ne occupano il primo piano mentre tali eventi sono ancora in corso. Si tratta della comunità itinerante del giornalismo e dei media, delle redazioni e delle testate che investono importanti risorse in inviati speciali nelle zone di guerra. Questa comunità si rappresenta sotto la regola professionale primaria del dovere di cronaca, mentre in realtà esercita il diritto di costruire questa cronaca secondo criteri di uniformità e di assonanza con analoghi casi precedenti: tutto ciò insomma che va sotto il nome di infotainment, che tradotto grossolanamente varrebbe come dire: intrattenimento basato sulla realtà, su ciò che realmente accade.

Non serve però grande acume, per accorgersi che nella infosfera si rimane costantemente al di qua della dimensione storica; e la cosa non sembra disturbare particolarmente la scienza storica, poiché una delle condizioni primarie della sua epistemologia è propriamente la distanza dagli eventi: siccome la storia si fonda sull’esprimere giudizi, e i giudizi richiedono distacco, ecco che il terreno dell’info-intrattenimento appare occupabile proprio perché disertato dagli storici.

Curiosamente, questa medesima considerazione sembra applicabile ai territori israeliano, palestinese, giordano e siriano, cioè al Medio Oriente. Nel 1947 la Gran Bretagna rimise nelle mani dell’ONU il mandato sulla regione, motivando tale remissione con l’impossibilità di continuare a esercitare un controllo statale reale su un territorio così popoloso, nel quale, fra l’altro, già dalla fine degli anni Trenta si stavano manifestando tensioni fra immigrati ebrei e popolazioni arabe.

I commentatori di secondo livello, ovvero l’opinionismo imperante

I commentatori di secondo livello, invece (quelli che siedono in studio o scrivono articoli di approfondimento) esprimono spesso posizioni personali variamente e discretamente motivate, ma zeppe di inesattezze storiche, appunto, presumendo di non doversi sentire obbligati all’accuratezza. Così si sente dire che l’organizzazione arabo-palestinese Hamas ha preso il posto dell’Autorità Nazionale Palestinese (con sede a Gerusalemme est) nella cd. Striscia di Gaza, cosa a grandi linee vera. Si insiste poi, affermando che Hamas ha le prassi e la spietatezza di un’organizzazione terroristica né fa mistero di esserlo, dato che si propone, per statuto, la distruzione dello Stato ebraico d’Israele. Sostanza dell’argomentazione è che Hamas avrebbe sostituito con successo, fra i palestinesi musulmani, l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) fondata da Yasser Arafat, proprio per il fatto di essere orgogliosamente terrorista a differenza dell’OLP, poi ANP.

Si dimentica, insomma, che anche l’OLP era un’organizzazione armata: lo stesso Arafat ostentava di portare sempre con sé un mitra Kalashnikov. La cosa negli anni Sessanta e Settanta non destava di certo scandalo, dato che i governi israeliani perseguivano l’annientamento dell’OLP e, fino a un certo punto, l’eliminazione del leader Arafat. Ma anche l’OLP disponeva di una sua appendice terroristica: Settembre Nero, che fu responsabile dell’incredibile sequestro degli atleti israeliani nel villaggio olimpico, durante le Olimpiadi di Monaco del ’72, e della loro uccisione. Non è quindi lungo questa strada che si comprenderà meglio la ragione del prevalere di Hamas sull’ANP, e sull’OLP che ne fu l’espressione politico-terroristica.

Economia dell’Ira. Ecco dove ci soccorre l’analisi di Sloterdijk in Ira e tempo

Il filosofo afferma che per comprendere un fatto del tutto nuovo come il sorgere di una economia dell’ira, sia necessario fare riferimento – ricavandola in primo luogo dall’omerica Iliade e dal protagonista, l’eroe semidivino Achille – al concetto di thymos: una sola parola greca che ha il senso di orgoglio, empito dell’animo, ira.

Il nostro tempo sembra dominato dagli operatori del conflitto, e la ben nota guerra di tutti contro tutti di Hobbes non è più statica sociale ma una dinamica di cui la società non può fare a meno. Ne discende la dimensione costitutiva dello stato di guerra, per la quale esso diventa un’ontologia e perfino un’economia. Attenzione però a non confondere il nuovo status economico del thymos, inteso come stato dell’animo più adatto alla guerra permanente, con la più tradizionale economia di guerra: questa è la trasformazione temporanea dell’economia normale, fondata sul desiderio e dunque erotica, necessaria per superare la guerra come stato d’eccezione. Ma se lo stato d’eccezione viene esteso indefinitamente e diventa normale, ogni articolazione della società assumerà la stessa forma e lo stato di guerra incoraggerà un’ economia dell’odio, la cui moneta sonante saranno l’ira e la sua componente più attiva, cioè la vendetta. E’ ciò che Sloterdijk definisce economia timotica.

I partiti politici in genere, e in particolare quelli di sinistra, hanno edificato le proprie fortune creando questa forma bancaria dell’ira e dandogli il nome di rivoluzione.

Quando l’economia dell’ira si eleva al livello della forma bancaria, le imprese anarchiche dei piccoli proprietari d’ira e dei gruppi di collera organizzati localmente vengono sottoposte a dura critica. Allo stesso tempo, con l’aumento dell’organizzazione dell’ira si compie una razionalizzazione delle energie vendicatrici: essa percorre la strada che dalla pura impulsività oltrepassa l’attentato puntuale e arriva alla concezione di attacchi contro lo stato del mondo nel suo complesso.

Qui fa agio una sommaria analisi del ruolo di Lenin nella rivoluzione bolscevica, delle ragioni del suo prevalere su tutti gli altri orientamenti del socialismo russo, infine della oggettiva superiorità del progetto leninista sulle confuse, generose ma vulnerabili aspirazioni rivoluzionarie dei populisti e dei nichilisti dell’ultimo quarto dell’Ottocento.

Dalla prospettiva dei banchieri dell’ira, le azioni delle agenzie locali della collera non sono altro che ciechi sperperi, la cui assurdità si mostra nel fatto che non fruttano quasi mai una rendita adeguata.

Le rivolte locali, le esplosioni di rabbia – che Sloterdijk chiama “stile eruttivo” – sollecitano le forze della sicurezza statale, le quali non impiegano molto tempo a neutralizzare i rivoltosi. D’altronde, l’identificazione fra gesto anarchico individualista ed una particolare forma di teologia a-teistica e antimetafisica è così evidente da non meritare maggiori giustificazioni.

Da dove viene l’ira di Hamas e la profezia di Diego Fusaro sull’impossibilità di dissenso nel tecnocapitalismo

Dunque l’affermazione del metodo terroristico di Hamas sulla più tradizionale ambiguità dell’OLP (rappresentanza politica + terrorismo) trova riscontro nelle tesi del filosofo tedesco. Intanto Hamas richiama il thymos fin dal nome (“Ardore”); è un partito religioso, non laico e laicizzante come l’OLP, quindi adombra nella distruzione d’Israele anche un orizzonte escatologico (ad esempio, la lotta all’ultimo sangue per il possesso dei luoghi “santi”); infine mostra di aver bancarizzato assai meglio della fazione rivale ira, odio e orgoglio dei due milioni di “reclusi” della Striscia, fa crescere il capitale e distribuisce i dividendi attaccando in profondità lo Stato Ebraico, cercando se possibile di morderlo al cuore. Non troppo dissimile, ma ancor più diluita e fredda, è la strategia degli Hezbollah stanziati nel Libano.

Diego Fusaro, la cui critica in radice dell’economia capitalistica gli ha fruttato una censura altrettanto radicale e un bando sostanziale dai “salotti televisivi”, è pensatore arduo almeno quanto Sloterdijk; tuttavia il suo Pensare altrimenti, testo meditato e invero assai lontano da certi fumosi teoremi che ebbe a esprimere durante gli anni dell’epidemia di COVID-19 e che gli valsero, appunto, prima l’insofferenza dei giornalisti e infine la cancellazione dai palinsesti, mette in problema l’impossibilità del dissenso nelle economie del tecnocapitalismo. Fu in qualche modo profetico, scrivendo:

Nel quadro dell’odierna civiltà della tecnica, in cui le masse sono sempre più palesemente ridotte a cassa di risonanza dell’ideologia e usate per costruire un consenso passivo, la capacità di dissentire è fisiologicamente indebolita e, ove ancora sussista, programmaticamente ostacolata mediante forme che spaziano dal silenziamento alla persecuzione mediatica e giornalistica.

Posto che critiche di questa ampiezza dovrebbero essere sempre benvenute e sempre più prese seriamente, è innegabile – confrontando l’ira fredda e metodica di Fusaro con l’esegesi dell’ira e della sua capitalizzazione in Sloterdijk – che Occidente (cristiano, o ancora tale in maggioranza) e Oriente Vicino e Medio (musulmano, o ancora tale in maggioranza) parlino lingue diverse e perseguano modelli di sviluppo sideralmente lontani fra loro: si comprende meglio, allora, come le linee di faglia, laddove questi continenti spirituali entrino in contatto liberando forze spaventose, com’è nel caso d’Israele, siano anche i luoghi in cui scorre a fiumi il sangue delle vittime.

L’appoggio occidentale, involontario e indiretto all’Economia dell’ira: il terrore dell’alterità come psicocrimine

L’Occidente è prigioniero, come dice Fusaro, del terrore dello psicocrimine dell’alterità, dell’opinione non allineata, del dissenso indicibile e di cui va inibita perfino la pensabilità: è la civiltà che, da Beccaria in poi, ha rifiutato il ricorso alla violenza nell’esercizio del potere (ma sarà poi vero?), e predilige addomesticare il pensiero dei non-conformi; ne è riprova il fatto che i suoi agenti culturali si distinguono sistematicamente e meccanicamente nell’esercizio della confutazione del dissenso o, ancor peggio, nella denigrazione del dissenziente. L’Oriente è invece prigioniero di una visione messianica della politica fondata sull’assolutezza della religione e sulla sottomissione all’Unico Dio che esalterà nella morte, propria e altrui, il vero credente (ma sarà poi vero?)

I temi sollevati dai due filosofi non posso certo esaurirsi in questa semplice disamina. Molto altro ci sarebbe da dire, molti altri spunti meritano d’essere sviluppati. Tutto ciò che quest’articolo ritiene di poter concludere, è che la vastità dello scontro in atto esula dalla questione locale di questi agenti della collera: la loro ira è infatti il frutto di decenni di investimenti e di due anni di preparazione segreta. Si tratta di una situazione che può ancora evolvere o nel disastro, o in un nuovo assetto del mondo.

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