Il tatto è una forma di vista ridotta a zero e la vista è una forma di tatto a distanza.
Pierre Villey
[Il termine] aptico è preferibile a tattile, dal momento che non oppone due organi di senso, ma lascia supporre che l’occhio possa esso stesso avere questa funzione che non è ottica.
Gilles Deleuze
Si è spesso affermato che la cultura occidentale è dominata dal paradigma ottico, fino a definire l’epoca in cui viviamo “civiltà delle immagini”. La vista viene così collocata non solo al vertice della gerarchia sensoriale, ma anche resa completamente indipendente e avulsa dagli altri sensi, con il primato assoluto riguardo la cognizione conseguente alla percezione.
Il paradigma fallace sulla percezione e le immagini mentali. Nessun filosofo ha mai intuito come stanno le cose
Alla fine del XVII secolo Molyneux propose a Locke un quesito particolare che può essere riassunto in questi termini: «Può un cieco congenito, che riacquisti la vista, distinguere con gli occhi un cubo da una sfera, avendoli conosciuti, precedentemente, solo con il tatto?»
Cioè, esiste un nesso immediato tra le immagini mentali e le rappresentazioni che si hanno con un senso o con un altro? Non c’è stato filosofo o scienziato che nel corso del tempo non abbia tentato di rispondere alla domanda, sia con dimostrazioni empiriche che filosofiche. Ancora oggi non esiste una risposta esaustiva ed esauriente. In effetti, sono molti i temi che il quesito mette in gioco e che vanno dalla percezione e dal rapporto tra i diversi sensi e le loro capacità cognitive e significative alla sinestesia, di cui si discuteva già nel Settecento; dalla capacità di denotare verbalmente un oggetto a quella di giudizio[1] Diderot riconosceva la validità insita in ogni risposta, proponendo tutta serie di esempi contradditori tra loro e in sintonia con le varie scuole di pensiero. Vedere, toccare, sentire, odorare, gustare sono tutte azioni che hanno necessità di essere educate per poter essere utili a livello cognitivo e di formazione delle immagini, del linguaggio e dei concetti[2]. Gli psicologi di quell’epoca sostenevano che il cieco ha un’esperienza dell’arte più intensa del vedente, perché il tatto, più della vista, mette in contatto con l’essenza del reale, ancor più dell’universo artistico. Qualsiasi persona non vedente sorriderebbe davanti ad affermazioni del genere e anche io credo sia il caso di lasciare le considerazioni filosofiche e le teorie ben lontane da quella che è la realtà della vita.
La vista

La vista ha un esteso campo d’intervento e può abbracciare un oggetto nella sua interezza in modo rapido e fluido. Lo identifica immediatamente se ne ha già avuto esperienza, altrimenti lo intuisce per analogia, cercando nel suo bagaglio mnemonico. Se non ne ha nessuna memoria è in grado, comunque, di descriverlo con le parole. Se tutti gli organi preposti alla visione sono integri, noi vediamo involontariamente, e solo quando ci fermiamo a guardare[3] siamo in grado di organizzare, confrontare, valutare soggettivamente e oggettivamente quello che percepiamo. Come se il nostro occhio si soffermasse sull’oggetto “toccandolo” per verificarne la sua forma e la sua esistenza. Questo avviene nonostante la distanza che può esserci tra chi guarda e l’oggetto.
Il tatto
L’esplorazione con le mani ha invece un campo percettivo ridotto “a portata di mano” o a “lunghezza di braccia”. Procede lentamente e sequenzialmente su piccole porzioni di spazio e dopo una ricezione multisensoriale che va dalla sensazione termica alla qualità e consistenza della superficie, riconosce la forma, la dimensione, la significatività. Così come l’occhio, la mano si può fermare soggettivamente su un particolare piuttosto che su un altro. Le percezioni tattili si integrano una con l’altra dando luogo a immagini mentali d’insieme più ricche e complesse. Il tatto, a differenza della vista, non può dare immediatamente un’idea complessiva, anche sommaria, di ciò che sta esaminando. Ha bisogno di tempo e concentrazione perché la sua capacità di discriminazione è molto ridotta. Questo gli impedisce di recepire particolari molto piccoli o molto raffinati come linee e punti troppo vicini tra loro. Inoltre, attraverso il tatto, non arrivano tutte quelle informazioni che l’occhio percepisce e che sono date dalle variazioni di luce e di colore.
La sinestesia, ovvero l’interagire dei sensi tra loro

Il tatto da solo non è sufficiente per conoscere la realtà. È necessaria l’integrazione di tutte le percezioni ottenute con gli altri sensi vicarianti della vista: udito, olfatto, gusto. Ma anche delle altre sensibilità percettive: il senso termico, il senso anemestico (la percezione del movimento dell’aria), cinestetico (la percezione dei propri arti e del loro movimento), cenestesico (la percezione delle variazioni organiche e muscolari del proprio corpo). Inoltre, è necessaria la capacità associativa e un’immaginazione correttamente formata. Il tatto crea l’immagine mentale attraverso due tipi di esplorazioni: una d’insieme, rapida e sommaria, con cui compone uno schema complessivo dell’oggetto; e una seconda, fine e analitica, con cui legge in maniera dettagliata una ristretta porzione della superficie dell’oggetto e colloca ogni particolare percepito nel quadro dell’immagine d’insieme precedente. Il tatto permette di conoscere quasi tutte le proprietà degli oggetti: dalla grandezza alla localizzazione spaziale, dalla distanza al peso e alla rigidità materiale. Per ottenere le varie informazioni si utilizzano procedure di esplorazione diverse, non rapide nei risultati perché alcuni movimenti non possono essere simultanei e la mano si muove analizzando una piccola porzione di spazio dopo l’altra. I più importanti movimenti delle mani in lettura sono quelli chiamati EP (esploratory procedures) e sono: il movimento laterale, con cui viene percepita la tessitura dell’oggetto; la pressione, che verifica la consistenza e la durezza; il contatto statico che dà la temperatura; la presa senza sostegno ( per oggetti non grandi), che consente di valutarne il peso; la chiusura che “abbraccia” l’oggetto con le mani per percepirne la forma globale e il volume; il seguire il contorno dà, attraverso il contatto costante con l’oggetto, una valutazione più precisa del volume e della forma; la prova del movimento parziale che consente di verificare se l’oggetto ha delle parti che si possono muovere; la prova funzionale che, mediante movimenti particolari come lo scuotimento per produrre rumore o la ricerca di fessure o cavità, consente di individuarne o intuirne la funzione specifica[4].
L’immagine visiva e quella tattile fino a che punto rappresentano modi incommensurabili di raffigurare la realtà? In ogni immagine si distinguono due componenti, quella sensoriale e quella intellettiva. Dando assoluta priorità alla prima, le immagini tattili e visive sono completamente diverse. Dando importanza al fattore intellettivo, le immagini possano avere forti gradi di convergenza, sino a dare origine a un’esperienza estetica comune.
Esempio di come sia possibile una rappresentazione grafica della realtà da parte dei non vedenti[5], è l’attività del pittore turco, cieco congenito, Esref Armagan[6] il cui lavoro è stato oggetto di diverse ricerche e documentato da vari filmati. Un altro esempio è l’attività pittorica del pittore non vedente sardo Andrea Ferrero Sette[7] che dice:
È una sensazione bellissima, una liberazione.
Quando tocco il colore, la materia con le mani nude mi sento libero di dare vita alla mia immaginazione che condivido con chi poi vedrà la mia opera.
È da cancellare il pregiudizio concettuale che senza l’esperienza sensibile della visione non sia possibile una rappresentazione pittorica della realtà. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
[1] Per un approfondimento si veda Parigi Silvia (2004), Teoria e storia del problema di Molyneux, in «Laboratorio dell’ISPF», I, ISSN 1824-9817 [2] D.Diderot, Lettera sui ciechi…, cit. [3] È importante notare la volontarietà implicita nel guardare, a differenza della naturalità del vedere. [4] Mazzeo Marco (2003), Tatto e linguaggio, Editori Riuniti, Roma, pp. 181-188 [5] Uno dei massimi studiosi sui disegni dei ciechi è il dottor John Kennedy professore di psicologia all’Università di Toronto, autore di numerosi articoli scientifici e ricerche tra le quali Drawing and the Blind, educazione all’arte per studenti con disabilità della vista e non vedenti in Nord America. [6] www.esrefarmagan.com [7] Nasce a Cagliari nel 1971. Nel 1998 gli viene diagnosticata la retinite pigmentosa. Si avvicina alla pittura grazie a una amica pittrice. In breve tempo si sente troppo vincolato dall’uso dei pennelli e inizia a usare le mani. Ha già realizzato numerose e apprezzate mostre.