Chi tra i nostri lettori conosce gli articoli di Gianfranco Rucco, sa che mai si perde in voli pindalici, ma restituisce la sensazione che “pindalica” sia la realtà, con la sua complessità, alla quali c’è sempre una possibilità di accesso per chi abbia desiderio di viverla, di conoscerla, nel rispetto di sé e degli altri. Recentemente ci ha donato un testo prezioso sulla Fratellanza quale paradigma del terzo millennio. Ebbene, non può esserci fratellanza fra gli uomini oltre i legami di sangue se non elaborando una quanto più saggia possibile visione di cosa sia la collaborazione. Rucco ci dice che la collaborazione è insita nella natura dell’Uomo quale matrice ancestrale. A sua volta, non può esserci collaborazione se non attraverso il continuo rimodellamento e affinamento delle pratiche che la pongono in essere e che, chiamate col nome del loro insieme, è l’arte della negoziazione. Vero esperto nella materia, Rucco ci permette di compiere un passo di consapevolezza ulteriore nella comprensione della nostra epoca tragicamente afflitta da conflitti interiori e bellici, dall’individualismo e dal vuoto valoriale imperanti.
Occhio per occhio…e il mondo diventa cieco”
Mahatma Gandhi
Non si può risolvere un problema con
la stessa mentalità che lo ha generato
Albert Einstein
Non dobbiamo mai negoziare per paura,
ma non dobbiamo mai avere paura di negoziare
J. F. Kennedy
L’Essere umano quale animale relazionale prima ancora che razionale
Nella nostra epoca, anche quale reazione all’individualismo filosofico, al transumanesimo ed alla concezione della società liquida, si sta riaffermando la consapevolezza che l’uomo è un essere relazionale oltre che razionale. Questo rende necessaria un’antropologia della relazione e dell’incontro per ripensare l’individuo come persona e i rapporti umani alla luce del cammino dell’io verso il tu, in reciprocità dialogica.
L’uomo contemporaneo rischia di non cogliere che il suo futuro dipende da quanto riuscirà ad “essere umano”, nel doppio senso del vivere la sua umanità nella famiglia umana di cui fa parte e di “diventare umano”, in un processo di personalizzazione che costituisce il suo compimento, mediante la crescita e la formazione[1]. Nell’epoca della solitudine dell’uomo contemporaneo bisogna pensare a fondo la costituzione umana che trova fondamento e si esprime nella relazione e nel dialogo: «la persona sussiste ordinata all’altra persona nella forma del dialogo. Essa è determinata dall’essenza a divenire “io” di un “tu”. Non esiste la persona che per principio sia solitaria»[2].
Da ciò si può definire l’essere umano come “persona relazionale”rafforzando così l’idea dell’uomo come persona che è già, per definizione, soggetto in relazione[3]. L’essere umano concepito come persona è uno “spirito” che, se da un lato, in quanto tale, è assolutamente unico e specifico, dall’altro è costituzionalmente aperto alle altre persone in una relazione che fa parte dello sviluppo e del carattere della persona stessa.
«Secondo l’esperienza interiore la persona ci appare poi come una presenza volta al mondo e alle altre persone, senza limiti, confusa con loro, in una prospettiva di universalità. Le altre persone non la limitano, anzi le permettono di essere e di svilupparsi. Essa non esiste se non in quanto diretta verso gli altri, non si conosce che attraverso gli altri, si ritrova soltanto negli altri. La prima esperienza della persona è l’esperienza della seconda persona. Il tu, e in lui il noi, precede l’io, o per lo meno l’accompagna»[4].
L’importanza di una cultura valoriale per una buona relazionalità. Cosa significa “negoziare”
Da questi pur brevissimi accenni si evince che per vivere una buona relazionalità in ogni aspetto della vita occorre una formazione umana di natura valoriale prima che “tecnica”. Nella nostra vita di tutti i giorni possiamo realizzare i nostri obiettivi immaginando di poter prescindere da una relazionalità che ci consenta di convivere con gli altri ed affrontare in modo costruttivo le nostre più profonde differenze?
L’esperienza comune ci dice che ciò non è possibile e che per realizzare i nostri obbiettivi dobbiamo relazionarci con gli altri “negoziando” le migliori soluzioni possibili. La negoziazione diventa così un’espressione tipica della stessa natura relazionale dell’essere umano.
Il senso comune concepisce la negoziazione come il complesso delle trattative condotte per giungere ad un accordo o stipulare patti, contratti, etc. Ne deriva che ognuno di noi è quotidianamente coinvolto, più o meno consapevolmente, in trattative negoziali con se stesso e con gli altri. Noi negoziamo in ogni situazione relazionale, privata o pubblica, affettiva, familiare, lavorativa, di ruolo, di potere. Di fatto la negoziazione è un processo decisionale interpersonale che si attiva quando, per soddisfare i propri interessi, è necessario trovare un accordo con uno o più partner con cui si hanno obiettivi comuni.
L’arte della negoziazione ovvero gestire i conflitti
In questa ottica, la negoziazione può essere intesa come l’arte di trasformare un conflitto in un’opportunità di sviluppo e di crescita personale, professionale e dell’organizzazione. La negoziazione è uno strumento di relazione, comunicazione e cambiamento consapevole, personale e professionale.
Autorevoli studiosi hanno cercato di cogliere l’essenza della negoziazione. Tra questi Druckman individua la negoziazione nel processo di relazione ove due o più parti cercano di trovare un accordo su un risultato reciprocamente accettabile. Pruitt focalizza la negoziazione quale processo in cui due o più parti si parlano nel tentativo di comporre i loro opposti interessi. Bazerman e Lewicki, parlano della negoziazione come di una decisione congiunta tra due o più parti i cui interessi non sono convergenti. Raiffa definisce la negoziazione come l’azione che nasce dal confronto di interessi, di risorse e di valori attorno a uno o più oggetti. Sebenius determina la negoziazione quale processo di interazione con il quale due o più parti in conflitto cercano di massimizzare i propri interessi con un’azione congiunta.
Nel contesto delle dottrine di riferimento, le due scuole di maggiore rilevanza internazionale sono quella di Harvard e quella europea
La prima si identifica con l’Università di Harvard, fucina mondiale dei più importanti rappresentanti della professione legale; la seconda si regge sugli studi e le ricerche di studiosi provenienti soprattutto dal Europa Nord-Occidentale (Olanda, Germania, Francia).
La dottrina della Harvard Law School ha, quale risultato tangibile di decenni di studi e ricerche, l’Harvard Negotiation Project, ossia il più importante centro di ricerche al mondo in materia di teorie e tecniche di negoziazione. HNP è un consorzio universitario dedicato allo sviluppo della teoria e della pratica della negoziazione e risoluzione delle controversie. Fondato nel 1983 come progetto di ricerca speciale presso la Harvard Law School, vanta la partecipazione di docenti, studenti e personale delle Università di Harvard, del Massachusetts Institute of Technology e della Tufts University. Al centro delle ricerche di HNP vi è la teoria e la tecnica della negoziazione di principi (o collaborativa) finalizzata alla ricerca del vantaggio reciproco anche sulla base di criteri di equità indipendenti dalla volontà delle parti. Tale tecnica risulta “dura” nel merito, “morbida” verso le persone.
La definizione scientifica di “negoziazione” e di “negoziato” adottata in questo articolo è quella elaborata da Ury, Fisher e Patton della Harvard Law School.
«Il negoziato è un mezzo fondamentale per ottenere dagli altri quello che vogliamo. E’ una comunicazione nei due sensi intesa a raggiungere un accordo quando noi e la nostra “controparte” abbiamo alcuni interessi in comune ed altri in contrasto»[5].
«La sfida esiste sia su una scala minima che su una più ampia. Tra i fattori che contribuiscono alla riuscita di un matrimonio, affermano gli psicologi, quello più importante è la capacità di risolvere insieme i conflitti. Ciò vale per qualunque altro tipo di relazione: tra amici o soci in affari, tra vicini di casa o nazioni. Ci sono moltissimi aspetti che dipendono dalla nostra capacità di andare d’accordo con gli altri: la nostra felicità a casa, il successo sul lavoro, la vivibilità delle comunità. Oggi più che mai dobbiamo imparare a collaborare… Non possiamo costringere gli altri a fare ciò che vogliamo; dipendiamo, in misura sempre maggiore, dalla loro collaborazione volontaria. Non abbiamo altra scelta che imparare a prendere decisioni insieme. Tuttavia non è così facile…L’ostacolo più grande alla collaborazione è il conflitto distruttivo…La danza del conflitto distruttivo ci è fin troppo familiare: il marito vuole dedicarsi meno ai lavori domestici, la moglie vuole un aiuto maggiore…Il linguaggio del conflitto è universale: “Lo voglio io”, “No lo voglio io”; “Ho ragione io”, “No, ho ragione io, Tu hai torto”[6]. Ben presto ci troviamo intrappolati nella lotta per decidere chi è nel giusto e chi no.»
Da queste considerazioni consegue che “ci piaccia o no, siamo tutti dei negoziatori. Il negoziato è un fatto della vita. Negli affari, in politica, in famiglia, la gente arriva alla maggior parte delle decisioni attraverso il negoziato. Tutti i giorni ci capita di negoziare anche quando non ce ne rendiamo conto. Si negozia con la propria moglie o con il proprio marito su dove andare a cena e con il figlio sull’ora in cui deve andare a letto. Ma benché il negoziato si svolga ogni giorno, non è facile farlo bene”[7].Esistono tre approcci alternativi alla negoziazione: basarsi sugli interessi, basarsi sui diritti e basarsi sulla forza.
L’approccio più convincente e conveniente è il primo.
Il secondo approccio, infatti, non risulta pienamente convincente perché se gli aspetti legali devono ovviamente essere tenuti presenti, di per sé spesso non facilitano il raggiungimento di un accordo potendo lasciare sul campo un vincitore ed un vinto ed il terzo approccio è incompatibile per definizione con una procedura partecipata.
La negoziazione basata sugli interessi sposta il centro dell’attenzione dalle “posizioni” agli “interessi”.
Le posizioni sono le soluzioni che le parti dichiarano di voler conseguire; gli interessi sono i bisogni, i desideri, i timori e le paure, le speranze, le preoccupazioni e, più in generale, tutti i motivi che spingono le parti a negoziare.
La negoziazione come opera di giustizia: svelamento dei veri bisogni e delle soluzioni migliori quando il conflitto è solo apparente
Un classico esempio per descrivere la negoziazione, che serve a comprendere quanto situazioni negoziali all’apparenza altamente conflittuali, in realtà non lo sono, è stato scritto in un articolo dall’americana M.P. Follet (1868 – 1933). La Follet è stata autrice di diversi saggi e articoli su relazioni umane, psicologia, filosofia, comportamento organizzativo e risoluzione dei conflitti.
Due sorelle si contendono l’unica arancia rimasta in frigorifero. La mamma cerca di porre fine al loro litigio, dividendo l’arancia a metà. Ma ottiene un ulteriore aggravio della lite per l’insoddisfazione di entrambe. La nonna, che ha assistito al fatto, dall’alto della sua saggezza e pacatezza, chiede alle due sorelle a quale fine volessero l’arancia. Una voleva spremerla per berne il succo; l’altra voleva la buccia per farne dei canditi per una torta. Spremuta la polpa per l’una e consegnata la buccia all’altra, la nonna ha soddisfatto entrambe le nipotine.
Quindi per soddisfare entrambe le esigenze, non servivano due arance ma serviva comprendere i reali bisogni.
Se per risolvere il problema si fosse seguita l’idea della mamma, cioè dividere l’arancia a metà, soluzione apparentemente la più “giusta” ma derivante da una analisi superficiale della questione, ci sarebbe stata una inefficienza nella distribuzione dell’unica risorsa disponibile pari al 50% per ciascuna bambina interessata, viceversa con il metodo della nonna entrambe le bambine hanno avuto il 100% della risorsa disponibile in relazione all’uso che ne volevano fare.
Gli elementi dell’arte della negoziazione
Analizzando la storia, è possibile comprendere il reale valore della negoziazione: l’ascolto attivo reciproco, la pacata comprensione, e il riuscire a percepire nuovi scenari risolutivi, pongono fine ad un conflitto che, diversamente, potrebbe prolungarsi all’infinito, creando inevitabilmente altri conflitti. L’esempio classico dell’unica arancia per due bambine consente di comprendere la differenza tra una soluzione negoziale basata sulle posizioni ed una basata sugli interessi. Dal momento che una stessa posizione può sottendere più interessi diversi, la negoziazione basata sugli interessi richiede una ricerca creativa delle possibilità e delle opzioni che possono portare alla maggiore possibile soddisfazione degli interessi di tutte le parti, mentre una discussione sulle posizioni giunge facilmente ad un punto morto, dato che raramente le posizioni possono trovare un denominatore comune.
Lo scopo della negoziazione basata sugli interessi, dunque, è raggiungere un accordo che sia accettabile per tutte le parti, che esse mantengano e che realmente implementino, che sia al contempo tollerabile per le terze parti non coinvolte nella negoziazione e che salvaguardi e migliori le relazioni tra le parti. Centrali sono le persone coinvolte nel negoziato, le loro personalità, le loro emozioni, le loro credenze e la relazionalità che esse esprimono. Centrale è anche la capacità di immaginare soluzioni creative, che vadano al di là dell’apparente perimetro delle stesse rappresentazioni dei rispettivi interessi operate dalle parti.
La negoziazione non è solo tecnica, ma conoscenza di se stessi. Il paradosso del diciottesimo cammello
Perciò, per affrontare adeguatamente un negoziato basato sugli interessi, non è sufficiente disporre di specifiche competenze tecniche, occorre anche trovare in se stessi una specifica attitudine alla ricerca di soluzioni improntate al vantaggio reciproco. A questo riguardo, risulta particolarmente esplicativa una antica storia mediorientale: un ricco sceicco morì e nel suo testamento lasciò ai suoi tre figli i suoi cammelli. Al primo figlio lasciò la metà dei suoi cammelli, al secondo figlio lasciò un terzo dei cammelli ed al figlio più giovane lasciò un nono dei cammelli. Però, una volta contati, i cammelli risultavano essere diciassette; diciassette non è un numero divisibile per due, non è divisibile per tre e nemmeno per nove. È un numero primo divisibile per se stesso e per uno. Non riuscendo a trovare una soluzione, i fratelli cominciarono a scaldarsi. Alla fine decisero di non litigare e di chiedere consiglio ad una vecchia saggia del loro villaggio.
La vecchia saggia pensò a lungo al problema ed alla fine disse loro: “posso fare una sola cosa per voi: prendete il mio cammello, aggiungetelo ai vostri e provate a fare la divisione.” In questo modo i cammelli divennero diciotto. Il primo figlio ne prese la metà, cioè nove; il secondo ne prese un terzo, cioè sei; il più giovane ne prese un nono, cioè due. A quel punto si accorsero che, sommando le tre quote, il totale dei cammelli era esattamente diciassette. Pieni di stupore e rispetto, i tre fratelli restituirono alla vecchia saggia il diciottesimo cammello che non doveva divenire parte della divisione, ma rendere possibile una frazione impossibile.
La storia del diciottesimo cammello è una metafora che descrive perfettamente la rilevanza dell’elemento aggiuntivo dovuto alla fantasia creativa del negoziatore che riesce ad elaborare una soluzione di reciproco vantaggio per tutte le parti e rappresenta anche il vero valore aggiunto della negoziazione. Ma per fare questo, il negoziatore deve modificare il suo approccio alla negoziazione, cercando sempre di trasformare un gioco a “somma zero”, dove ciascuna parte acquista solo quello che l’altra perde, in un gioco a “somma variabile”, dove si pensa prima ad allargare la torta per quanto possibile, poi a dividerla con reciproca soddisfazione.
Se tale approccio venisse riservato alla relazionalità in generale, certamente la società umana non potrebbe che giovarsene. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
[1] R. Spaemann, Persone. Sulla differenza tra “qualcosa” e “qualcuno”, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 234. [2] R. Guardini, Mondo e Persona. Saggio di antropologia cristiana. Morcelliana. Brescia, 2000, p. 172. [3] Ex multis cfr. P. Miccoli, Persona relazionale. UrbanianaUniversity Press, Roma, 2014, pp. 7-9. [4] E. Mounier, Il personalismo. A.V.E. Editrice, Roma, 2004, p. 60. [5]R. Fisher, W.Ury, B. Patton. L’arte del negoziato, Gorbaccio, Milano, 2012, p. 2. [6]W. Uri. Risolvere i conflitti. Alessio Roberto ed., Urgnano (BG).2008. [7]R. Fisher, W.Ury, B. Patton, cit. pp. 21-22.