Credo che ogni artista, quando sceglie il materiale da usare per la sua opera, sia mosso da un’antica voce interiore. Voce senza suono, ma ricca d’immagini archetipe che lo spingeranno a operare scelte assolutamente personali e difficili da spiegare a parole.
Metamorfosis, l’arte del cambiamento di Paolo Incarnato
Per le sue opere qui fotografate, Paolo Incarnato avrebbe potuto scegliere tra varie essenze di legno, provenienti da diverse lavorazioni, mai utilizzate oppure di scarto o in disuso. Ha scelto di utilizzare le doghe e i fondi di vecchie botti.
E le botti sono in rovere, pianta sacra per tutti i popoli antichi perché considerata intermediaria tra gli uomini e gli Dei. Contengono il vino e altri preziosi liquidi che, al loro interno, raggiungono la maturazione cedendo al sacro legno un po’ della loro essenza e ricevendone altrettanta.
Immagino Paolo che sceglie, tra le botti in disuso, quelle con le doghe che parlano alle sue mani di artista, al suo cuore di poeta, alla sua mente di narratore. Nasce così la Metamorfosi: solo un cambiamento di forma, l’essenza è immutata.
Il cambiamento di forma avviene in uno spazio-tempo non sempre perfettamente definibile. Ognuno di noi ha sicuramente sperimentato il “passaggio” tra uno stato e l’altro della sua vita. Questi passaggi, a volte, sono segnati da riti, oppure da convenzioni sociali. A volte è solo una presa di coscienza. Una luce.
Ed è proprio l’opera Passaggio (31x90x10 cm; legno, neon), composta da 5 doghe allineate in parallelo, non unite tra loro, in cui la doga centrale accoglie una luce a neon, simbolo del presente moderno, che ci traghetta verso uno spazio magico, un labirinto virtuale, in cui possiamo girare, perderci davanti a ogni opera e poi tornare indietro per riconoscerci in altre metamorfosi.
Il padrone di questo labirinto virtuale non è Minosse e il suo abitante non è il Minotauro spaventoso.
Il padrone del labirinto è il Tempo, l’abitante è ognuno di noi, nascosto a malapena dietro le Gelose, (127×11,5×3,5 cm; legno, ferro), grate che, come ogni confine, sono porta che si apre o si chiude davanti all’ignoto. Ciascuno, dietro le grate, gelosamente vive il proprio tempo cronologico, il destino che gli è stato assegnato e sbircia, con gli occhi dell’anima, lo svolgersi dell’incommensurabile Tempo infinito che fa capolino tra gli affanni e le gioie della vita.
Guardiano di questo spazio temporale è Cerbero, (204x122x90 cm; legno, spago, pietre), il grande custode del Sempre. Lui sovrintende alla distruzione del passato, del presente e del futuro dell’Uomo. Lui è colui che apre la strada verso l’infinito sconosciuto. Nel suo corpo entrano i tre fili che reggono le tre grandi pietre appoggiate al terreno: il destino assegnato a ciascuno, la sua durata e la terza, la pietra nera, la morte.
Della terra l’uomo fa parte, dalla terra proviene e alla terra ritorna. Pietre, perché le rocce da cui provengono sono formate dagli stessi atomi di cui anche il nostro corpo è formato. Pietre, animali, piante generati dal grande Big Bang o da un “fiat”.
Pietre, come quelle presenti nel nido, in Foglià. (24,5x64x65 cm; legno, ferro, spago, pietre). La nascita è un nido antico, formato sempre dalle doghe, tenute insieme da una cinta di ferro; un letto di spaghi intrecciati e tutt’intorno, sopra e sotto, il grande Tempo, di cui siamo parte, che ci racchiude, ma che possiamo solo percepire o immaginare perché siamo coperti da un velo, oltre che separati da grate.
Un Velo (92x152x61 cm; legno, ferro, tessuto), carico di domande e pesante di risposte, da cui siamo, al contempo, velati e svelati, quando riusciamo a scaricare il peso e la forma del nostro corpo, abbandonando lo scudo che ci siamo creati e che ci ha protetto fin qui.
Lo Scudo (videoinstallazione; legno, ferro), che è formato da un fondo che contiene o da un coperchio che chiude, la botte di rovere. Uno scudo di energia cosmica con cui ci siamo incamminati nella vita, uno scudo di spiritualità che ci accompagna.
In questo labirinto mentale, a metà strada tra la terra e il cielo, dove il legno di rovere è il démone che ci conduce al sacro, oggi, possiamo vivere e abbracciare l’eternità.
Come? Io propongo di stare all’ascolto del pendolo, Ekkremes. (151,5x38x8 cm; legno, ferro), È fermo, immobile, ma così è il tempo dell’uomo, se un altro essere umano non lo chiama alla vita. Ed ecco il tic, tac, tic, tac. Siamo nati. È il battito del nostro cuore.
Il tempo cronologico dell’uomo, prima di coincidere con quello scandito dagli orologi o dai calendari, è scandito dal suo cuore. Col primo battito del cuore ha inizio, con l’ultima tac ha fine.
Ma davvero tutto finisce così? Dov’è l’eternità di cui ci parlano le immagini sognate?
Eccola, sentitene il rumore. È un cigolio lontano, una luce ancora più lontana che non ci illumina, ma che illumina. I potenti telescopi hanno catturato rumore e luce di prima che la terra esistesse. E il rumore non è sempre un suono! Il rumore è anche una forma. È il Neromilo, (38x58x27 cm; legno, ferro, circuito cinetico, spot), il mulino ad acqua.
L’orologio dell’eternità umana, perché l’acqua è vita. La ruota le dà forma, per un istante, mentre scorre tra il tic e il tac di ognuno. È il grande regalo che viene fatto a noi che siamo figli del Cielo Universo, come ogni cosa del mondo. È l’abbraccio dell’Infinito. È la METAMORFOSI che porta fuori dal labirinto temporale in cui abbiamo camminato.
Ognuno più consapevole dell’eternità sacra che rappresenta.
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Paolo Incarnato è un giovane scultore napoletano, laureato all’Accademia di Belle Arti di Napoli, che vive e lavora a Lemnos (Grecia)