Ho chiesto all'intelligenza artificiale di Wonder come potrebbe essere il futuro. Ha risposto con questa immagine

Occidente VS Paesi BRICS, la guerra che gli USA non possono perdere e l’ipocrisia di cui vogliamo fare a meno

256 Visite

Quando Draghi ha domandato se preferissimo avere la pace o il condizionatore, avremmo dovuto rispondere che il condizionatore è la pace. Qualche anno fa questa affermazione sarebbe sembrata uno slogan del consumismo, oggi vuol dire che la pace è la condizione necessaria per potere usare il condizionatore, cioè fare accordi tra Paesi, tra aziende, comprare e vendere energia nella serenità delle parti. Certo, per capirlo bisognerebbe avere a cuore l’economia reale, che è un fatto della natura e segue leggi universali, e non la finanza, che ha il potere di separare ciò che dio ha unito altrimenti non riesce a suscitare timori e paure sufficienti per creare lo spazio della speculazione, vendere e comprare preventivamente sui fatti reali beni e servizi che non esistono.

Oggi sempre più opinionisti, tecnici a vario titolo, accademici, testate giornalistiche (troviamo molto ben fatto il servizio di Presa Diretta andato in onda su RaiTre lunedì 10 ottobre), stanno affrontando la questione ormai pressante dei paesi del BRICS. Ebbene, noi occidentali, tutti noi singoli individui, dobbiamo fare una scelta, prendere una decisione non più rinviabile. Una scelta che nessuno dei nostri governanti ci chiede di fare ma che è necessaria per non perdere la nostra partecipazione alle sorti  dei nostri Paesi comunitari. Invece che popolo, ci tocca assistere alla politica estera (dell’Italia e dell’Europa) come pubblico, e non ci piace. Di fronte a questi altri paesi che avanzano, dobbiamo sapere se dobbiamo indietreggiare o puntare i piedi. Il peso dell’opinione pubblica è notevole e invece di coltivare il dibattito pubblico si lascia che vada formulandosi con informazioni che giungono da ogni parte, come spintoni. Non ci si può lamentare, allora, se a un certo punto ogni questione è soggetta alla sola capacità di comunicazione e se un po’ della propaganda russa giunge fino a noi. Si sta spendendo tempo inutilmente, arrivando persino a fare paragoni tra Putin e Hitler che neanche il moralismo tipico dei bambini è disposto ad ascoltare. Intanto,

Cos’è il BRICS, quali Paesi ne fanno parte e cosa stanno già facendo

Fanno parte del BRICS il Brasile, la Russia, l’India, la Cina e da un tempo più recente il Sud Africa. C’è bisogno di ripeterli? Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa, non proprio statarelli ma potenze economiche considerate fino a pochi anni fa Paesi in via di sviluppo e che si apprestano a essere i maggiori attori del pianeta. Si riuniscono dal 2009 e stipulano accordi di tipo economico e culturale per creare – loro sì – un nuovo ordine mondiale. Mentre molti dei nostri cittadini andavano cercando simboli plutomassonici sulle banconote da un dollaro, alle spalle, a Est, c’è chi il dollaro, e il pretodollaro, li stava affossando, semplicemente non utilizzandoli. Un ordine globale che sta per affermarsi.

I Paesi del BRICS
I Paesi del BRICS, fonte Wikipedia

A questi stati si aggiungono i cosiddetti “Next 11”, i prossimi 11, e sono: Corea del Sud, Vietnam, Bangladesh, Indonesia, Iran, Egitto, Pakistan, Filippine, Nigeria, e Turchia, secondo la Goldman Sachs potrebbero diventare le maggiori economie del prossimo futuro. Da quanto è stato possibile comprendere, la Turchia ha già fatto richiesta di entrare nel BRICS (in questi giorni Erdogan ha gradito l’idea di Putin di fare in Turchia un hub del gas), l’Egitto ci sta pensando, altri per ora traccheggiano come diciamo a Roma ma nel frattempo non se ne stanno con le mani in mano. Alcuni di questi, Russia, Brasile, Sud Africa, rientrano anche nel CARBS, insieme a Australia e Canada, cioè i maggiori possedenti di risorse naturali al mondo (compresi metalli preziosi e risorse energetiche di tipo fossile), alcuni dei quali sono tra coloro che detengono la maggiore disponibilità di liquidità (chissà, sarà che battono moneta). C’è bisogno di ripeterli?

Next 11
I Paesi cosiddetti “Prossimi undici”. Fonte Wikipedia

La scelta definitiva e l’ipocrisia che non vogliamo

Per fedeltà alla nuova geografia che si va delimitando, dettata del nuovo ordine che bussa alla porta dell’Occidente, la Grande Porta di Kiev, è arrivato il momento di ruotare la cartina politica del planisfero di almeno 90° in senso orario. Oriente e Occidente non sono più dove li abbiamo sempre visti. Se teniamo conto del CARBS, gli Stati Uniti sono accerchiati, resta ancora al centro l’Europa, quello sputo di terra nell’occhio del ciclone (l’Italia rientra tra i PIGS insieme a Portogallo, Grecia e Spagna quali Paesi con deficit rilevante).

Ora, considerate la natura e la storia della maggioranza di questi paesi, che tra alti e bassi hanno lasciato allo stadio di fantascienza l’ipotesi di instaurare in patria uno straccio di stato di diritto, è evidente che quello alla guida del pianeta non sarebbe solo un cambio di guardia, della serie “cambia il nome del padrone ma il contorno resta uguale”. Se muta l’antropologia dominante, muta anche quella dominata. Non avremmo solo un diverso nome sulle etichette dei prodotti commerciali, entreremmo in logiche che non condividiamo nel nostro DNA culturale e psichico. Non sto parlando di incrocio di etnie e di popoli, sarebbe quanto di più simile alla storia dell’Uomo, sto parlando di forma mentis nell’organizzare la società, la democrazia, le libertà e i diritti, per cui, mettiamo, forse non basterebbe essere dei sinologi per decifrare l’antropologia cinese nella sua interezza. Allora, eccoci alla scelta: procedere con la diplomazia e il diritto internazionale o aprire una guerra ben maggiore di quella finora giocata a distanza e in terza persona (leggi Ucraina).

Quale delle due vie si decide di intraprendere, occorrerà smetterla con l’ipocrisia. Nel caso si voglia seguire la diplomazia, cosa che personalmente spero, fosse solo per perdere con la dignità di vivere fino all’ultimo con i valori civili (sorti nella metà europea) dell’Occidente, bisognerà farlo sapendo che nel migliore dei casi il futuro per noi è fatto di una ibridazione totale con culture che fino a oggi abbiamo voluto visitare solo nella sicurezza dei viaggi organizzati; se sceglieremo per la guerra dobbiamo contemplare l’idea che potremo perdere, cioè a dire, se non fosse chiaro, che la nostra già stanca civiltà verrebbe annientata e saremmo noi ridotti, stavolta, a una mera meta turistica. Se ad alcuni potrà sembrare una esagerazione, per altri è un dato di fatto, non a caso si è tornati a parlare di armi nucleari, perché si tratta di annientamento dell’Altro, di ridurlo a zero.

Cosa è bene smettere di fare, nel frattempo

Entrambe le scelte richiedono un’estrema onestà intellettuale e un conseguente nuovo atteggiamento di chiarezza. Possiamo ad esempio smettere di dire che la guerra è tra Russia e Ucraina. È invece, appunto, tra Russia e USA, o tra alcuni BRICS e Occidente se ci riconosciamo ancora nel patto atlantico. Possiamo smettere di fare paragoni poco fondati tra Putin e Hitler che è imbarazzante anche solo pensare di dover commentare. Hitler, solo per dire le prime cose che vengono in mente, cavalcava una crisi economica senza precedenti e per mezzo della paura creava da zero una serie di nemici, avendo ben pochi alleati. Putin ne ha svariati e influenti, siede sulla sella di una Stato tutt’altro che in crisi e, a parte le ultime mobilitazioni dei riservisti per disertare la guerra, la quantità di paura che la popolazione prova, la prova per altri fattori di politica interna. Nel caso di Putin il nemico è reale, e lo è per le ragioni che abbiamo detto, oltre al tradimento da parte della NATO degli accordi presi nel 1948. Il che ci porta a non lasciare che la nostra opinione pubblica si illuda che Putin davvero si sia svegliato una mattina con intenzioni guerrafondaie, da pazzo furioso, prima di tutto perché ciò mina la stabilità del nuovo ordine mondiale che vuole instaurare, poi perché l’espansione della NATO a Est della Germania, cosa che ritiene di dover fermare, è un fatto concreto, innegabile. Certamente mettiamo in conto la libertà di Paesi come Estonia, Lituania e Lettonia di aderire alla NATO (2004), ma che una reazione ci sarebbe stata è altrettanto ovvio.

Non possiamo più restare nel mezzo. Inviare armi non ha senso. Non si può costringere chi tra noi ha ancora una visione politica dell’esistenza a osservare senza partecipare, in un senso o nell’altro. Se davvero fossimo convinti di parlare solo come Paese autonomo, davvero solo a nome dell’Italia, non potremmo entrare in guerra, non essendo stati attaccati. La Costituzione parla chiaro. Se invece, come poi di fatto pensiamo e agiamo senza preoccuparci di spiegarlo ai più, l’Italia non esiste più e siamo, al pari di altre nazioni europee una sola cosa con gli Stati Uniti, sarà bene non perdere altro tempo e organizzarci. Zelensky sembrerebbe optare per la seconda. Chiede un attacco nucleare preventivo e anch’egli non si è svegliato una mattina con la luna storta. Sta parlando agli USA e sa (forse lo ha appreso dagli Americani, non credo lo si impari facendo cabaret), che trattandosi di uno scontro tra civiltà, gli Stati Uniti non possono permettersi di perdere. Non a caso è la prima guerra che gli USA non giocano apertamente. Solo, Zelensky non ha compreso che gli Americani non possono fare «americanate», sparate grottesche, gesti spavaldi à la Vietnam o di tutte le guerre successive, e sopratutto, trattandosi del suolo europeo e dell’intero Occidente, non vorranno bruciare i tempi per ritrovarsi a essere i soli sconfitti. Il fatto che l’Italia non abbia la sovranità necessaria per pensare da sola è cosa risaputa e si dirà che aderisce all’Unione Europea per esistere di più (l’Occidente ha stabilito che uno Stato sussiste nel potere economico e di far dipendere da questo il potere militare), ma così facendo si sottovaluta il dato politico. La Russia ha dalla sua la conservazione di valori pre-finanziarizzazione globale. È quella forza tipica del Novecento che sta nel dare valore morale alle scelte di Stato. Se non può strutturarsi in vera e propria ideologia è solo perché non è condivisa dall’intera nazione ma lo è sufficientemente dai leader delle nazioni alleate. È il dato per noi perturbante. Ci sembra di lottare contro qualcosa di vecchio, vetusto, perché non siamo più abituati a rintracciare il senso ontologico delle cose. Ci illudiamo di attaccare l’avversario con sanzioni economiche, appunto perché ormai non contempliamo che quelle e va bene, qualche effetto lo procureranno alla Russia, probabilmente verso dicembre, ma è come multare per divieto di sosta la ruspa venuta ad abbattere la nostra casa. Fortunatamente qualcosa comincia a muoversi verso la diplomazia, perché il condizionatore è la pace (lo è anche il generatore), l’inverno è freddo per tutti, dagli Stati Uniti alla Siberia, dal Brasile a Bruxelles. Per voce del ministro degli Esteri Lavrov, la Russia sarebbe aperta al dialogo se gli USA lo chiedessero. Per voce di Stoltenberg, la NATO considera remoto l’uso di armi nucleari anche nel caso in cui l’Ucraina ricevesse un attacco, e così ha fatto sapere la Francia. 

BRICS e Next 11 insieme, uno scenario possibile

 

I post più recenti nella categoria Attualità