Franco Garofalo ha realizzato questa conversazione con Bobo Craxi, di cui oggi pubblichiamo la seconda parte. Qui la prima. Ndr
Bobo, da parte americana chi soffiava sul fuoco e voleva un braccio di ferro con il governo Craxi, durante la crisi Achille Lauro/Sigonella?
Certamente l’ala più oltranzista, più conservatrice, più filoisraeliana dell’amministrazione americana. Lo stesso Michael Ledeen ne era l’espressione; più che soffiare sul fuoco, si determinò una situazione per la quale non fecero valere né il realismo politico né la consapevolezza che il quadro politico italiano fosse saldamente legato al fronte occidentale: nel pieno della guerra fredda gli italiani non avevano mostrato alcun segno di cedimento nei confronti dell’Unione Sovietica. Recentissima era la scelta dell’installazione degli euromissili (missili con testate nucleari sul suolo italiano, ndr.) nella base di Comiso, quindi fu proprio un marchiano errore politico quello che fu commesso, e tuttavia consentì allo Stato italiano di apparire saldo nei propri principi, mentre tentava di essere autonomo nelle sue scelte sul Mediterraneo. Sono le conseguenze di ciò che avvenne a Sigonella a delineare un quadro più netto della posizione italiana; in quel frangente non ci fu altro che un’azione politico-diplomatica che mirava ad un obiettivo concreto, quello della liberazione degli ostaggi e del ritorno della nave, sana e salva, nei porti italiani.
Quale fu nella crisi il ruolo di Michael Ledeen?
Ledeen fu un improvvisato emissario dell’amministrazione americana, che si prese il ruolo di traduttore del dialogo fra Craxi e Reagan, nella notte della famosa telefonata, traducendo in modo fraudolento ciò che Craxi disse a Reagan, ossia che era disponibile a lasciare il commando palestinese, o parte del commando, nelle mani degli americani, cosa che non fu mai detta. Fra l’altro lo ha confessato lo stesso Ledeen che non era affatto vero che Craxi si fosse impegnato a consegnare i quattro dirottatori. Detto questo, è chiaro che in realtà fu un tentativo estremo, da parte sua e degli israeliani, di impossessarsi di Abu Abbas; ma la difesa a oltranza della sovranità nazionale, del diritto internazionale e persino della logica, portò alla fine l’amministrazione americana ufficiale – quindi non suoi singoli funzionari – verso una posizione infine chiara: fu rispettata la sovranità italiana e, soprattutto, non c’era nessuna ragione per mettere in dubbio la fedeltà dell’alleato: sarebbe stata una reazione abnorme rispetto ad un episodio; perché di un episodio si trattava e come tale si chiuse. Certo, fu un episodio in cui gli americani tentarono di storcere il braccio agli italiani, ma gli italiani non lo consentirono.
Da ciò che ho letto nei documenti, risulta che il comandante dell’Achille Lauro tenne nascosta la morte di Klinghoffer finché Craxi non lo costrinse a rivelarla.
Non è che la tenne propriamente nascosta. Non ne parlò finché i dirottatori restarono a bordo; probabilmente temeva che la nave potesse venire bombardata. Vedeva che tutto intorno c’erano le navi inglesi e americane; alla notizia della morte di un cittadino americano, perdipiù ebreo, a qualcuno su quelle navi da guerra poteva saltare la mosca al naso e fargli decidere di tirare un missile. Certamente raccontò una bugia il comandante, o omise di dire una verità, il che è equivalente. Bisogna considerare che allora c’erano delle oggettive difficoltà di comunicazione; non fidandosi, Craxi volle interrogare De Rosa direttamente: venne così informato della uccisione di Klinghoffer la mattina, quando stava per andare in conferenza stampa. Fu allora che disse: “ecco, ci hanno rovinato la festa”.
A lato della crisi, come erano i rapporti fra Reagan e Bettino Craxi?
Si videro una volta nell’83 in occasione di una visita di Stato; forse c’è stato un altro incontro (durante i lavori di un’assemblea generale dell’ONU, ndr.). Fin dalla prima volta ci fu una forte empatia. Intanto si piacquero proprio fisicamente, erano due uomini di alta statura. Mio padre non parlava inglese, però Reagan parlava spagnolo… Haig (Alexander Haig, 1924 – 2010), che allora era Segretario di Stato, ebbe ben presente che grazie ai socialisti italiani divenne possibile l’installazione degli euromissili; e sempre grazie a questa posizione si determinò anche quella dei tedeschi dell’ SPD (Partito Socialdemocratico tedesco). La strategia politica di Craxi era peraltro abbastanza chiara: all’interno ridefinire gli equilibri nella sinistra, ove era presente un forte partito comunista; allo stesso modo dei tedeschi, i quali miravano alla riunificazione delle due Germanie, né noi né loro volevamo rompere del tutto i rapporti con i paesi oltrecortina (blocco sovietico, o del “socialismo reale”).
La crisi di cui ci stiamo occupando, quindi, non distorse più di tanto le relazioni fra i due governi?
Se ci riferiamo a Reagan, per quanto detto certamente no; va ribadito che nella crisi fu molto attiva l’ala più oltranzista dell’Alleanza Atlantica, ossia gli atlantisti, che in Italia erano rappresentati soprattutto dal Ministro della Difesa, da Spadolini. In America, soprattutto dopo che si diffuse la notizia della morte di Klinghoffer, enormi pressioni furono fatte dal Congresso Ebraico di concerto con Israele. Reagan era di tutt’altra pasta: attore, presidente del sindacato degli attori…
Era stato democratico…
Infatti. Era al di sopra di tutto il rumore propagandistico: Reagan era repubblicano ed era stato eletto con i repubblicani, ma non era Nixon. Era un uomo politico, non aveva interessi (come sarà invece nel caso dei Bush), dotato di un grande charme e alquanto trasversale: non per caso molti democratici (in particolare nell’elezione per il secondo mandato, ndr.) votarono per Reagan. La famosa reaganomics, basata sulla detassazione, fu un momento di splendore dell’economia mondiale conseguita all’ immissione nel mercato di nuovi lavori. Insomma, Reagan era un fiero anticomunista; ma un anticomunista democratico.
Cioè non integralista, senza quell’accento da “guerra dei mondi” tipico dell’anticomunismo più reazionario.
In definitiva, il fatto nuovo in quegli anni è che gli americani dovettero registrare il fatto di avere della concorrenza di altri paesi, nel Mediterraneo. Francesi e inglesi avevano conservato un peso significativo in Medio Oriente; gli americani hanno da sempre utilizzato il Mediterraneo per le loro esercitazioni, con lo scopo di mostrare i muscoli all’Unione Sovietica… La crisi dell’Achille Lauro e di Sigonella si concluse con un bagno di realtà. Loro avevano da combattere l’altra guerra, la guerra fredda. La crisi si risolse – a ben vedere nel migliore dei modi – perché fu appunto un episodio che però non poteva e non doveva passare ad un altro livello, cioè incrinare gli equilibri della guerra più importante, quella contro il comunismo sovietico.
Dunque nei giorni del dirottamento dell’Achille Lauro e della successiva crisi di Sigonella, per quanto si possa ridimensionare quel contesto a episodio secondario della guerra fredda, si mossero gruppi ed interessi molto vasti.
Gli israeliani pretendevano dagli americani il mandato d’arresto per Abu Abbas. Non va dimenticato che la crisi fu molto rapida: tutto si consumò in cinque giorni. La magistratura italiana sembrò sollecitata, allora, dalle forze oltranziste e atlantiste che erano presenti pure in Italia, anche dentro il governo (l’episodio del giudice Franco Ionta che da Ciampino si precipita a Fiumicino per trattenere e interrogare Abu Abbas il quale, nel frattempo, era stato imbarcato su un volo di linea jugoslavo con destinazione Belgrado, ndr.). Alla fine Abu Abbas ottenne l’asilo politico in Jugoslavia, ma dal punto di vista giuridico non sarebbe stato comunque possibile arrestarlo perché godeva dell’immunità diplomatica e su quel punto il governo egiziano si dimostrò intransigente, trattenendo l’Achille Lauro a Port Said fino a che non ebbe certezza che Abu Abbas fosse in salvo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA