dalla pietà alla pietas

Dalla Pietà come attesa della Resurrezione alla Pietas come sollecitudine: il nuovo sguardo di Felice Tagliaferri

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Michelangelo scolpisce la Pietà a circa 22 anni, tra il 1497 e il 1499. È un’opera religiosa, commessa da un cardinale francese che la vuole per la sua cappella privata.

È l’unica opera che Michelangelo firma ed è anche quella completamente e compiutamente finita. La struttura del gruppo è piramidale e ha come base la veste del Cristo. Le molte pieghe della veste sostengono morbidamente il corpo di Gesù. Il volto di Maria è giovanissimo e questo portò allo scultore molte critiche per il fatto che la Madre non poteva essere -sembrare- più giovane del figlio. La risposta la troviamo in Dante, esattamente nella prima strofa del XXXIII canto del Paradiso, in cui san Bernardo invoca Maria come: “Vergine Madre, figlia del tuo figlio”. Michelangelo voleva rappresentare la vergine simbolica, la giovinezza incorruttibile. Per esprimere questo ideale di perfezione, levigò con delle pomici per molti mesi il marmo, rendendolo lucidissimo. Questa luminosità crea un’aurea anche intorno al figlio morto che sembra dormire, sereno, nella certezza del suo Risveglio-Resurrezione. L’Arte, per Michelangelo, non doveva rappresentare la Natura, ma la sua idealizzazione, rappresentando il Divino attraverso la Bellezza. Negli anni più tardi, Michelangelo abbandonò lo stile levigato e rifinito della Pietà e lasciò le sue opere “incomplete”: sono i cosiddetti non finiti. Succedeva, a volte, perché l’artista si spostava per il suo lavoro, ma spesso era proprio una scelta stilistica. Infatti, l’artista credeva che la pietra già contenesse al suo interno l’opera e il compito dello scultore fosse quello di togliere il materiale in eccesso per rivelarla. Nei suoi non finiti Michelangelo iniziava a lavorare il marmo, evitando di levigarlo e di arricchirlo con particolari. Così le figure sembrano emergere dal marmo, come a volersi liberare. Questo era il Rinascimento, un mondo nuovo da esplorare e scoprire e rendere attraverso l’Arte.

Felice Tagliaferri, scultore cieco, ha potuto studiare l’opera di Michelangelo, attraverso il tatto, senso primario della scultura, toccandola. Una volta che si è impossessato mentalmente dell’immagine, ne ha scoperto il suo valore simbolico e, abbandonando la connotazione religiosa, l’ha ribaltata. Ancora una sorta di Rinascimento. Non più una rappresentazione di cura esclusivamente materna, ma la sollecitudine propria della pietas.

Pietas non è l’equivalente del moderno derivato “pietà”. La pietas è l’atteggiamento del rispetto che si deve alla società in genere. In epoca romana si riferiva alla famiglia, e alla fiducia e al rispetto tra coniugi, solo in seguito il concetto si applicò al rapporto tra uomo e divinità. Era un senso di dovere morale che viene definito anche amore doveroso. Ed è così, attraverso questo passaggio da pietà a pietas, Felice sintetizza questo amore doveroso e nasce Nuovo Sguardo. Qui non c’è la morte, ma c’è la vita. Quella terrena, quella che dobbiamo vivere nel modo più completo, quasi complementare, tra uomini e donne.

dalla pietà alla pietas

Ci sarebbero ancora tante comparazioni da fare tra le due opere, però mi limito a evidenziare una differenza tra i due scultori: un artista vedente e uno cieco.

Michelangelo appartiene al tempo che vuole l’Arte non rappresentativa del vero, deve essere sublime, ma lontana dalla realtà. Un’arte che non può prescindere dalla cultura, non per niente per la Pietà si ispira a Dante e al Petrarca.

Già cent’anni dopo, però, l’Arte proclama un “toccare con mano”, l’opera dev’essere il più possibile a contatto col nostro sistema percettivo, quindi con tutti i cinque sensi, con un coinvolgimento fisico diretto. Entrambi hanno scolpito la loro opera partendo dalla loro immagine interiore, quella che si forma non dalle cose reali, ma dalle sensazioni e dalle impressioni.

Il non finito di Michelangelo è un concetto filosofico, quello di Felice è l’invito a chi guarda ad appropriarsi dell’opera, a terminarla con il proprio pensiero o con una carezza o un semplice sfioramento, con l’impegno preciso di agire la pietas.

Tutte le opere di Felice Tagliaferri sono da toccare, proprio per scoprire che, alcune volte, ciò che si “vede” con le mani è invisibile agli occhi!

Felice Tagliaferri nasce in Puglia. A 14 anni perde la vista a causa di una malattia. Sarà il judo, praticato a livello agonistico, ad aiutarlo a superare il buio. Studia, lavora, poi risponde all’annuncio dello scultore Nicola Zamboni che all’epoca, circa vent’anni fa era docente a Brera e cercava dei non vedenti per verificare quanto fosse indispensabile vedere per scolpire. Dopo i primi due incontri con lo scultore, Felice capi che, non solo la vista non era necessaria per utilizzare scalpello e martello, ma che la sua vita aveva avuto un’altra svolta importante. Felice Tagliaferri è oggi uno scultore di fama internazionale.

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