Flux di Jinwoo Chong

Flux, il romanzo di Jinwoo Chong dove a narrare è il tempo

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Flux di Jinwoo Chong: un salto delirante nel tempo e nella memoria

Jinwoo Chong si impone come voce innovativa nella narrativa contemporanea. Il suo libro d’esordio, Flux, tradotto e pubblicato da Minimum Fax nel 2024 (acquistalo su IBS) è un salto delirante nel tempo e nella memoria. Questo libro è volutamente complesso e frammentato, sfidando le convenzioni della narrazione tradizionale, dando vita a temi come il tempo, la memoria e il lutto. Chong trascina il lettore in un’esperienza immersiva, creata da una disillusione dei confini tra realtà e percezione, che si dissolvono e allo stesso tempo si mischiano fra loro.

Flux: la trama

La trama di Flux si concentra su Brandon, un giovane che deve fare i conti con un passato pieno di dolore e di lutto e con un presente che gli porta incertezze e poca felicità. All’improvviso viene coinvolto in un progetto misterioso, legato a una grande invenzione capace di riscrivere le regole del tempo e della memoria. Tra salti temporali e ricordi frammentati, il romanzo intreccia la storia di Brandon con quella di altri personaggi fortemente enigmatici, che sembrano riflettere le ossessioni della società odierna.

La grande invenzione: simbolo o realtà?

«Obliteravano una struttura protettiva intorno alla coscienza. Una struttura usata dal cervello, dalla mente, per collocare una persona all’interno di una realtà. Prendiamo, per esempio, il calore di una stanza. Sentire i propri vestiti sulla pelle. La gravità. Sono cose che agiscono su di noi, ovviamente, in ogni momento, ma non dobbiamo concentrarci su tutte contemporaneamente per sentirne la presenza, per essere una mente cosciente all’interno di questi vincoli. Questa era la struttura. Qualcosa accadeva a quella struttura durante le commutazioni. Crollava. Si trasformava in modi che non potevamo prevedere. Alcuni si svegliavano e ci raccontavano di aver avuto delle visioni di altre persone, di altri luoghi…» // Di altri tempi. //

Se tutto il romanzo ruota attorno a questa grande invenzione, è importante sottolineare il fatto che essa non venga mai descritta come una cosa reale. Effettivamente, anche a fine libro, anche dopo aver concluso ogni parte di questo viaggio tortuoso, l’invenzione rimane un grandissimo punto interrogativo e ci si chiede se sia una manifestazione di simbolo o realtà.

Quello che dovrebbe essere un dispositivo tecnologico misterioso diventa un simbolo potente, ciò che significa davvero è corposamente inserito nelle tessiture delle caratteristiche dei personaggi: come sono, come si presentano, come interagiscono con gli altri. È un modo sopraffino di coinvolgere temi cari alla nostra società, integrandoli perfettamente alla narrazione.

Il riflesso dell’ossessione per il passato

La confusione data dal non capire realmente cosa sia l’invenzione, è un forte rimando alla confusione umana riguardo al progresso, che qui prende pieghe disturbanti, se consideriamo che la grande invenzione dovrebbe poter manipolare il tempo per poter tornare indietro nel passato. Flux fa sorgere domande profonde: creiamo tecnologie avanzate solo perché così ci possano riportare a memorie passate? Guardiamo al futuro, ma in realtà, allo stesso tempo, ci trasformiamo in involucri vuoti che credono che la felicità, in fin dei conti, sia sempre dietro le nostre spalle? È chiaro che l’essere umano, per quanto voglia progredire, manifesti sempre un’ancora che lo tiene legato a una felicità ormai scomparsa e l’invenzione è esattamente il riflesso dell’ossessione del passato.

L’oggetto tecnologico si trasforma in veicolo di sentimenti: sentiamo la perdita, il rimpianto, il voler tornare indietro per cambiare il corso degli eventi. È l’incarnazione della nostalgia e, allo stesso tempo, la volontà di manipolare ciò che è ormai è immutabile. Attecchendo ai nostri bisogni primordiali, la grande invenzione si prospetta come la nostra non-accettazione del corso naturale della vita, logorandoci nell’illusione che il passato possa essere davvero riscritto.

La critica al progresso tecnologico

Chong ci invita a riflettere sul rapporto tra tecnologia e umanità, scandagliando con sicurezza e durezza i sintomi di questo rapporto sugli esseri umani. Dagli eventi, infatti, Brandon ne esce sconvolto, disorientato, afflitto. È un’analisi su quanto possiamo sentirci immersi in un mondo che non riusciamo a vedere, fatto di reti, di algoritmi, di intelligenze artificiali, che ci aiutano a raggiungere una felicità, che però rimane effimera e temporanea. Una polvere sottile che rimane appiccicata addosso il tempo necessario per renderci conto che dobbiamo scrollarcela di dosso per continuare a vivere nel mondo reale, per riconnetterci con ciò che possiamo toccare, sentire, annusare, vedere con i nostri occhi.

È per questo motivo che il libro potrebbe essere visto anche come la critica al progresso tecnologico. La grande invenzione ci confonde, confonde i personaggi, amplifica il loro dolore nei confronti del passato, crea una distanza ancora più grande tra ciò che era ciò che è, rendendo i personaggi inebetiti e rendono anche noi, lettori, sovraccarichi di tutto questo peso, di queste linee temporali che saltano e si ricongiungono in un delirio continuo.

Una narrazione volutamente frammentata e delirante

Lo stile di Jinwoo Chong porta un’innovazione perché leggere il romanzo è come aprire una scatola piena di cose, che, all’inizio, sembrano non aver alcun legame fra loro. Il difficile compito del lettore è quello di mettere insieme i pezzi e, difatti, Flux non si presenta come una lettura poco impegnativa. Il lettore deve essere attento a collegare i punti, ma la narrazione volutamente frammentata e delirante porta automaticamente a perderci nel flusso di quello che accade, tanto da risvegliarci, tra una pagina e l’altra, come da un sonno profondo e, come Brandon, non ricordare che giorno sia, inebriati dai ricordi di un passato rancoroso, eppure dolce; disillusi completamente da un presente che non ci regala alcuna gioia, alcun abbraccio gentile.

Non dando alcuna avvisaglia sul cambiamento del tempo e dello spazio, Jinwoo Chong ci costringe a non seguire un percorso lineare. Le linee temporali, infatti, riflettono esattamente il caos emotivo dei personaggi, soprattutto di Brandon, che vediamo frammentarsi, letteralmente, in più circostanze. Veniamo a conoscenza della sua personalità attraverso varie versioni di sé, tanto da avere una sovrapposizione della realtà che malignamente mette alla prova non solo lui, ma anche noi.

La straordinarietà di Flux sta nel fatto che linee temporali sono un simbolo importante di come il passato e i ricordi si muovano in conflitto nella nostra testa. Se non presentano, difatti, una linearità, perché dovrebbe essere rappresentata in questo modo in narrativa? Ecco allora che l’autore stravolge gli schemi, ci fa impazzire, gli eventi si accavallano, così come i ricordi di Brandon, così come la nostra percezione del romanzo.

Il tempo come personaggio narrante del romanzo

Come nei romanzi gotici sono le case infestate a diventare parte integrante della storia, tanto da atteggiarsi a personaggi principali, qui, in una narrazione assurdamente contemporanea, possiamo riconoscere il tempo come personaggio narrante del romanzo. Questo sarà sempre uno dei tasti dolenti nella storia dell’uomo: il pensare al passato, al presente e al futuro. Il tempo è quell’unità di misura impercettibile; gli abbiamo dato un nome, una gabbia, abbiamo scandito per lui degli schemi fissi, per poter ruotare la nostra vita attorno ad essi, ma Flux scardina tutto ciò. Il romanzo di Jinwoo Chong diventa quasi una presenza malevola che si infila sotto la pelle e ci fa pensare a tutte le scelte prese, a quelle ignorate, creando un loop mentale in cui la fatidica domanda “e se fosse andata diversamente?” risuona continuamente tra le pagine del libro e nella nostra testa.

Il tempo in Flux costringe noi e i personaggi a riflettere, a dargli spazio dentro la nostra vita, a capire che forse non è scandito così come ci illudiamo che sia. La nostra percezione del tempo è, difatti, solo questo: una percezione amara e ridicola della nostra mente.

Il tempo non è un’entità neutrale, ma, anzi, è molto attiva e può arrivare ad amplificare il dolore: costringe i personaggi a guardare in faccia i loro rimpianti e offre la possibilità di una lenta guarigione, che non tutti sono disposti ad accettare.

L’elaborazione di temi universali come il lutto, la memoria e l’ossessione per il controllo del tempo

Flux non si presenta come un romanzo semplice, il suo essere narrativamente spezzato richiede una lettura attiva e pronta a porsi molte domande, ma è proprio qui che risiede il suo valore. Flux si fa portavoce della fragilità umana, della speranza, del forte desiderio di dominazione nei confronti di ciò che ci circonda, di ciò che è avvenuto, di ciò che sta avvenendo e di ciò che avverrà. L’essere umano vuole sempre controllare ciò è fuori dalla sua portata.

Jinwoo Chong porta l’elaborazione di temi universali come il lutto, la memoria e l’ossessione per il controllo del tempo, ma non ci da risposte definitive: il tempo rimane fluido, impossibile da toccare, il dolore inevitabile e le domande si moltiplicano all’infinito, lasciandoci nella nostra condizione di umani presi dall’oblio di un sistema spazio-temporale che è, e sarà sempre, molto più grande di noi.

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