Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro è un romanzo che si basa interamente su una premessa rivelata solo nel finale, ma che aleggia per tutto il romanzo e lascia un interrogativo: cos’è che definisce la nostra umanità?
Kazuo Ishiguro, che nel 2017 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura, racconta in Non Lasciarmi (qui il libro) la storia di Kathy, che è anche l’io narrante: ha trentasei anni, lavora come assistente e presto inizierà il suo percorso per la Donazione, una tappa obbligata per tutti quelli come lei. Man mano che ci si avvicina ripercorre la sua vita, partendo dalla sua infanzia passata in un collegio inglese, Hailsham, con i suoi amici Tommy e Ruth.
L’infanzia ad Hailsham, l’incertezza del futuro ammantata di mistero
I bambini ad Hailsham non hanno i genitori, ma non sono neppure orfani: sono semplicemente nati e cresciuti lì, sotto la guida di un gruppo di tutori che hanno strane reazioni quando vengono fatte domande sul futuro. L’arte, la storia e la letteratura sono alla base della loro educazione, i bambini sono incoraggiati a sviluppare la loro creatività. Non sono mai usciti fuori da Hailsham: gli unici contatti con l’esterno sono gli autisti che portano i rifornimenti, i giardinieri, e Madame, una delle responsabili del collegio: nelle sue temutissime visite, sceglie i disegni migliori dei bambini, che verranno portati nella “Galleria”, anche se nessuno sa cosa sia di preciso a che cosa serva.
I bambini sanno solo che è importantissimo che diano il meglio e che creino delle opere d’arte. È importante che soddisfino Madame, che però li guarda altezzosa e a distanza di sicurezza, senza mai avvicinarsi, come se avesse paura di loro.
Intanto Kathy cresce insieme agli altri: farlo ad Hailsham è un privilegio, e, come ripetono sempre i tutori, è importantissimo che crescano sani e forti.
Il fatto di avere cura di voi stessi, di mantenervi sani dentro, è molto più importante per ognuno di voi di quanto non lo sia per una come me.
Si interruppe di nuovo e ci guardò in modo strano. Dopo, quando ne discutemmo insieme, alcune di noi dissero di aver avuto la certezza che Miss Lucy non aspettava altro che qualcuno le chiedesse: «Perché? Perché è così grave per noi?» Nessuno però fece quella domanda.
Una volta adulta, narra i giorni spensierati della sua infanzia e della sua adolescenza, e i giorni ai Cottages, una simulazione della vita adulta, prima di iniziare la strada che la porterà alla sua Donazione.
Quanto l’ideologia non diventa utopia. La tragedia di un finale già scritto
Hailsham sembra un paradiso. È tutto ciò che Kathy conosce da bambina: la sua esistenza e quella dei suoi amici è racchiusa lì, senza possibilità di uscire dalla gabbia dorata in cui vengono allevati perché svolgano il compito per cui è stata data loro la vita.
Vivono un’infanzia e un’adolescenza che hanno tutto ciò che serve perché siano considerate invidiabili, meravigliosa, dove arte, scrittura, lettura, che dovrebbero consentire la fioritura delle loro personalità non bastano da sole perché siano felici. Protetti da un mondo esterno che non li capirebbe e che non capirebbero, finiscono col non comprendere la vita. Diventano ragazzi, poi adulti, ma schermati, seguendo un percorso tracciato da altri di cui non sono consapevoli. La loro esistenza equivale a svolgere un compito, e devono realizzarlo: per i loro desideri non c’è spazio.
In Non lasciarmi rimane poco dell’utopia presentata come una promessa di felicità collettiva. Il mondo è annunciata come un luogo in cui è possibile rimediare a malattie incurabili, eppure l’autore si concentra sull’altro lato della medaglia: racconta la popolazione di chi lo rende possibile e di cui nessuno sospetta la segregazione. Kazuo Ishiguro tratteggia infatti il dramma delle loro vite. Persone che non sono persone, uguali in tutto e per tutto agli esseri umani, ma considerati senza umanità. E allora, cos’è l’umanità?
Kazuo Ishiguro compie un’operazione interessante, una novità assoluta: rende dorati i margini in cui vivono i ragazzi. Compie così un rovesciamento inaspettato finalizzato a sottolineare come l’emarginazione non sia un’esclusione dalle possibilità e dai mezzi, o dalla conoscenza o dall’attenzione degli altri, come siamo abituati a pensare. L’emarginazione consiste nel non rendere le persone padroni dei loro desideri. È costringerli a volere mantenere ciò che hanno per il solo fatto che è tutto ciò che conoscono. Vorranno infatti tenere per sé quello che hanno costruito sebbene si rendano conto che sarà effimero, e che la loro esistenza, in fin dei conti, non gli appartiene.
Viene dato un nome a quello che è sottinteso per tutta la narrazione solo alla fine, quando non rimane loro altro che rabbia, angoscia, ma soprattutto impotenza di fronte a una grande ingiustizia. L’utopia, che per tutto il testo aleggia quale nuovo paradigma che si vorrebbe realizzare, si manifesta per ciò che è, pura ideologia che se non rende gli altri protagonisti non può che restare ciò che è, uno strumento di potere per la sopraffazione. Si genera in questo modo la visione di una schiavitù morbida, quasi tollerabile perché dotata dei migliori strumenti della pedagogia, della creatività, di una scolarizzazione superiore. Una prigione che ha solo l’aspetto della dignità – il decoro – ma non la sostanza.
Kazuo Ishiguro mette in luce un dilemma etico che travolge il lettore, una messa in guardia per i dibattiti sempre uguali in cui siamo immersi, che sta nel non fare del mezzo educativo il segno del bene possibile. Ogni buona intenzione che non tenga conto dell’imprevedibilità e della libertà delle coscienze, ovunque esse ci portino, non è che un paradiso solo in apparenza, un vero e proprio inferno per chi ha la disgrazia di esserne la forza motrice. Altri umani, che però non raggiungono l’umanità: la sfiorano soltanto.
Torna alla mente quella bellissima opera di Walter Siti che sovrapponeva alla fredda luce degli schermi televisivi la luce calda della consapevolezza, e sembrerebbe che anche Kazuo Ishiguro voglia dirci che stiamo creando Troppi paradisi. Davvero troppi, per essere credibili.