Introduzione.
Ho il convincimento che la fruizione dell’arte, oltre a essere un diritto, sia un catalizzatore che crea nuove opportunità d’interazione e scambio culturale tra i suoi fruitori. Tutt’e due trovano la loro sintesi nella necessità di diffondere una cultura della riduzione dell’handicap, dove handicap ha il significato di ostacolo.
Il mondo dell’oscurità spaventa o commuove, crea domande su come sia possibile viverci, ma ormai è un mondo i cui confini appaiono sempre più labili grazie alla tecnologia e, soprattutto, all’aumentata sensibilità sociale, non solo nella sfera pratica e quotidiana della vita, nei confronti delle persone con disabilità. L’ultimo limes, raggiunto dal pensiero e dalla scienza dell’uomo, consente ai non vedenti la conoscenza e l’utilizzo della rappresentazione pittorica, uno dei primi codici di comunicazione umana. È stato raggiunto e superato al Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto dei ciechi Francesco Cavazza di Bologna dove, unico in Italia e tra i pochi nel mondo, è stato creato un grande manuale di storia dell’arte non da leggere, ma da toccare. È importante premettere che l’obiettivo del museo non è “far vedere i quadri ai ciechi”, ma consentire loro di capire come si sviluppa la storia della visione nella pittura e di conoscerne il suo significato estetico. Questo avviene attraverso la comprensione della disposizione degli elementi all’interno del quadro e il suggerimento, di una guida museale o di un testo scritto, delle sensazioni e del messaggio che il pittore voleva trasmettere tramite il dipinto. Il progetto di educazione all’immagine non si conclude con il percorso museale tattile, ma prosegue nei laboratori di modellazione della creta con la verifica della restituzione dell’immagine recepita, interpretata, memorizzata.[1]
È qui che per la prima volta ho guardato un’opera pittorica, La nascita di Venere di Botticelli, utilizzando solo le mani e le orecchie. Mi sono resa conto di quanto la vista, così sintetica e veloce, così poco propensa a concentrarsi a lungo e con attenzione su un dettaglio, così facile a distrarsi, e nonostante fosse sempre stata aiutata da una descrizione verbale scritta o orale, mi abbia privato non solo del piacere d’ascoltare il dipinto, ma anche di certi particolari pittorici. Questo perché la visione ha assunto caratteri di necessità e di sufficienza che hanno soppiantato tutti gli altri sensi, riducendo le altre forme sensoriali solo ad aspetti finalizzati a una rappresentazione ben più importante: l’immagine intesa nel senso più ampio. Ovviamente, un non vedente non sarebbe d’accordo con questa mia definizione di vista limitante, perché sarebbe perfettamente consapevole che la mia percezione aptica non è l’unico mio approccio al dipinto, ma un arricchimento ulteriore. Vedere il quadro con le mani fa sì che le immagini esistano concretamente e non solo tramite la rappresentazione mentale che possiamo farne attraverso la visione o l’ascolto. La rappresentazione plastica dell’immagine visiva facilita la reificazione e la sua memorizzazione come forma, eliminando o diminuendo la propriocezione, cioè la tendenza a rappresentare non l’ambiente ma se stessi nell’ambiente, riequilibrando, quindi, i rapporti tra soggetto e mondo esterno. Nello stesso tempo, torna improvvisa l’importanza della parola, del suo ascolto attento per poter fruire della sua funzione vicariante della sensitività dimenticata. Un’importanza, a volte, altrettanto infida e pericolosa della vista nella denotazione della realtà. Con le parole della guida, usate in modo consapevole e appropriato, è emersa in me la consapevolezza di quanto sia importante trovare una dimensione comunicativa valida per ogni essere umano e che renda tutti uguali, potenzialmente, nella ricezione del messaggio di un’opera d’arte e che guidi nella sua interpretazione. Riuscire a riappropriarsi del tempo per sentire con tutto noi stessi è fondamentale. Anche per ripristinare i giusti confini tra il piacere edonistico, legato alla sfera sensibile e ormai troppe volte indotto da un’invasiva pubblicità di immagini, virtuali anche nel significato, e il piacere estetico, che riguarda maggiormente l’intelletto, legato alla Bellezza nella sua espressione universale naturale e artistica e ben lontana dal bisogno sensuale.
Ma un non vedente può essere davvero interessato a “vedere” ciò che le persone senza disabilità considerano fonte di un piacere estetico puro, cioè un piacere derivante dalla Bellezza nel senso assoluto del termine, qualcosa che è bello a prescindere dalla sua utilità o appartenenza? Oppure, proprio in virtù della sua disabilità, concorda con Platone per il quale la Bellezza non corrisponde a ciò che si vede e quindi la visione sensibile deve essere superata dalla visione intellettuale tramite la dialettica? Ho rivolto queste domande a una cieca tardiva[2] che vedeva per la prima volta la Nascita di Venere. Si è volentieri prestata a raccontare la sua esperienza per far conoscere cosa vuol dire poter accedere alla visione di un’immagine per un non vedente. Ha dichiarato la difficoltà di raccontare a parole le emozioni, sicuramente profonde ma superate dalla curiosità, per la nuova esperienza. Ha ammesso la sua non conoscenza della prospettiva o delle tecniche pittoriche. Si è paragonata a una persona senza disabilità che va a visitare una mostra non conoscendo niente di quello che vedrà. Con il massimo rispetto per la sua difficoltà di verbalizzazione emotiva e ricordando che, non a caso, si dice “sono senza parole”, per indicare uno stato di profonda emozione, sia positiva che negativa, mi limiterò, quindi, a propormi come interfaccia comunicativa tra settori specialistici diversi: dalla storia dell’arte alla neurofisiologia, dalla tiflologia alla psicopedagogia, dalla filosofia alla semantica, dal non vedente al vedente.
[1] Maggiori dettagli nei prossimi articoli
[2] È importante specificare la differenza tra cieco tardivo e cieco congenito, perché nel primo la memoria delle forme e dei colori, dei piani prospettici e della spazialità, rende molto più completa e soggettiva la lettura tattile.