massoneria capro espiatorio

Piero Sansonetti fuori dal coro: “Altro che Massoneria: boss e tesoro mafia salvati da un litigio”. Serve maggiore garantismo

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«Altro che Massoneria: boss e tesoro mafia salvati da un litigio». Questo è il titolo di un articolo firmato da Piero Sansonetti per «il Riformista». Una voce fuori dal coro, e ci voleva, perché non se ne può più di sentire tirare in ballo la Massoneria ogni volta che serve un capro espiatorio. Certo Sansonetti non scrive questo articolo con un atteggiamento garantista (non questa volta, almeno) ma per fare luce sulla latitanza di Matteo Messina Denaro. Racconta un fatto che se nessuno svela non si può immaginare. In un nostro breve commento avevamo fatto due ipotesi per giustificare questa latitanza tanto duratura e certo constatiamo come poi le reali ragioni siano sempre più complesse e allo stesso tempo più banali. Al di là della vicenda specifica, lo spirito garantista lo mettiamo noi, e poniamo alcune domande.

Massoneria capro espiatorio. Quale Massoneria? Non ce n’è una sola

Per quale motivo, in relazione a certi fatti, si nomina la Massoneria come fosse una sola? Perché non viene specificato il nome delle Obbedienze coinvolte? Accade di rado e crediamo ciò dipenda dal fatto che, eventualmente, un nome esca fuori dai documenti ritrovati o dalle indagini e solo allora i giornalisti lo menzionino; ma in caso contrario, non è più corretto fare domande anziché affermazioni? Comprendiamo un fatto centrale: giustamente i giornalisti informano i cittadini anche di risultati parziali per poi aggiornarli nel tempo e può capitare che una volta appreso di quale tipologia di relazione malavitosa o di gruppo criminale si tratta, l’uso di un termine generico diventi necessario. Ma perché non accompagnarlo da domande, ricordando, ammesso lo si sappia, che di Massoneria non ce n’è una sola? E nel caso non lo si sappia, perché non ci si documenta quel tanto che serve per capire che come tutti i gruppi umani anche la Massoneria è a dir poco frammentata, spesso per ragioni ben precise, vale a dire per nette differenze di visione, di ordinamento interno, di prassi? Per quale motivo ancora si deve ragionare per categorie? Perché non interessa fare i dovuti distinguo? Forse perché una certa vaghezza intercetta il gusto italiota per i segreti, le macchinazioni, i complotti, i misteri? E perché, se questa è la ragione, nessuno ha il gusto di andare in senso contrario?

Se un’Obbedienza è coinvolta nelle indagini – ed è capitato molte volte, bene inteso – e ci sono prove per affermarlo, va preso come dato di fatto, con buona pace dei Massoni. Che la Massoneria abbia avuto infiltrazioni sono i magistrati e le Commissioni a dirlo sulla base di prove concrete e non ci sogneremmo di negarlo. Ci basta sottolineare che coinvolgere la Massoneria tutta, nominarla in modo indiscriminato non fa bene a nessuno, non ai giornalisti né agli iscritti che esercitano i loro sacrosanti diritti, né alla società nel suo insieme, che viene messa davanti a un nemico comune che non esiste se lo si identifica con una categoria. Si parla della Massoneria nello stesso modo con cui si fa degli anarco-insurrezionalisti. Chi sono? Come ci si iscrive agli anarco-insurrezionalisti? A chi mi devo rivolgere per farne parte? Devo prendere un diploma? Esiste un albo? Peccato invece che per iscriversi alla Massoneria sia sufficiente inviare una mail, visto che tutte le Obbedienze hanno siti internet di ultima generazione che sembrano vetrine di aeroporti. Non si tratta di associazioni che si nascondono alla società, e descriverle con vaghezza non è più giustificato. Nel migliore dei casi, cioè nei casi in cui il giornalista dimostra maggiore correttezza, sentiamo l’espressione “Massoneria deviata”, ma allora esisterà la Democrazia deviata, l’Azione cattolica deviata, la bocciofila deviata? Quando si dà notizia di preti pedofili, sentiamo dire forse “Chiesa cattolica deviata”?

Il fraintendimento del vero potere della Massoneria

Quanti sono i Massoni in Italia? Stiamo parlando di decine e decine di migliaia di persone, alcune delle quali, è persino probabile, sono parenti vostri, cari lettori, senza che lo sappiate. Ci rendiamo conto che nel caso di Matteo Messina Denaro, tutto il rumore di questi giorni – per ora, almeno – si basa sul ritrovamento di un numero di telefono ritrovato tra i pizzini del suo autista? Se aprissimo l’agenda telefonica di un giornalista è probabile (anzi molto probabile, se è un bravo giornalista avrà un’agenda alta un metro) che anche tra i suoi contatti ce ne sia uno che a sua volta ha a che fare con un malavitoso. Ciò non fa di lui un criminale come non fa di Matteo Messina Denaro un Massone. E se anche fosse Massone, non è sufficiente, affinché si faccia giustizia, condannarlo per le sue responsabilità? Ah, si dirà, il punto non è il coinvolgimento di Messina Denaro nella Massoneria, ma di alcuni Massoni nella mafia. E grazie, ma allora: non è sufficiente perseguire quelli, così come il diritto insegna benissimo, e cioè che le responsabilità penali sono dei singoli che commettono reati? Cosa dobbiamo pensare, guardando e ascoltando il modo di parlare corrente? Forse che raccontare il crimine richiede troppa fatica e con un colpo solo si cerca di creare un nemico unico, generale, arrestando il quale si risolverebbe il problema alla radice? Il gioco delle parti è chiaro. Uno delinque, uno lo arresta, e se scopre che ha nella giacca la tessera del club dell’uncinetto sono affari suoi. Per altro non si comprende che se la Massoneria davvero possiede il potere nella forma che è utile al crimine, è quello dell’unità (all’interno della singola Obbedienza), un sentimento che è ormai merce rara nella società italiana e fa gola a chi vorrebbe utilizzarla per scopi propri, ma per questo sentimento che ancora sa nutrire la si dovrebbe salvaguardare, bisognerebbe aiutare le Obbedienze infiltrate a ripulirsi invece di attaccarle (certo le Obbedienze dovrebbero pure farsi aiutare e collaborare in tal senso). Certe narrazioni vaghe consolidano quel potere e lo espongono perché spingono altri criminali a infiltrarla. Non diciamo che si dovrebbero fare narrazioni in senso contrario. Stiamo dicendo che riferisce fatti e risvolti dovrebbe studiare di più, osservare da vicino certe realtà. Scoprirebbe che in alcune, la maggior parte, gli iscritti si fanno una grassa risata nel sentire parlare di Massoneria come del potere che governa il mondo. Ridono perché magari da tempo non riescono neppure a riparare il citofono. Ma è un riso amaro, perché vedono che la società rema contro un’istituzione che lavora sui valori, ed è un peccato mortale.

La maggioranza dei Massoni si trova in realtà mai menzionate, che nessun operatore della comunicazione conosce né si preoccupa di andare a vedere

È chiaro che se viene rintracciata una connessione tra logge e criminalità la si debba perseguire. Ma si dovranno dire quali logge, quale Obbedienze, quali individui. Dubitiamo che la popolazione, di cui i giornalisti fanno parte, sia consapevole che di Obbedienze in Italia ce ne sono un centinaio (la stragrande maggioranza non sono mai state coinvolte in reati o illeciti, neanche mai nominate). Molte sono composte da uno sparuto gruppo di persone, oppure non possiedono una discendenza verificabile senza per questo presumere che si siano associati dal giorno alla notte, altre ce l’hanno ma si sono ridotte a pochi iscritti per varie scissioni, altre ancora non fanno proselitismo e stanno bene così, e poi tutta una casistica che non stiamo a sviscerare ma che crediamo sia intuibile; per non parlare delle cosiddette “logge di San Giovanni”, cioè quelle che lavorano in autonomia e non appartengono ad alcuna Obbedienza, magari perché ne sono uscite proprio per prendere distanze da comportamenti illeciti o poco chiari, o semplicemente non rispettosi della tradizione. E ciononostante, non costituiscono forse, tutte insieme, la maggioranza dei Massoni italiani? Certo che sì.

Contro lo stigma sociale. Un maggiore spirito garantista è auspicabile in coloro che riferiscono fatti e notizie, nel rispetto dei diritti e del loro buon nome

Se domani un boss venisse arrestato in un club di tennis che so, di Rovereto, dovremmo cominciare a scrivere sui giornali che tutti i tennisti sono mafiosi, o che tutti club di tennis offrono riparo ai boss? Avremmo rispetto per i tennisti che so, di Taranto? Sì, stiamo parlando di questo, di una cosa così assurda. Si potrebbe obbiettare che i giornalisti scrivono ciò che riferiscono le autorità. Anche quando sono informazioni tanto vaghe? È auspicabile che tutti gli addetti alla comunicazione approfondiscano, tornino a fare inchieste, si diano tempo nel ricostruire i fatti, che si documentino e nominino i responsabili, non le categorie di persone.

Nemmeno ci scomodiamo ad argomentare con l’importanza che la Massoneria ha avuto nella storia internazionale e in quella del nostro Paese. Fosse pure nata oggi, questa mattina, il discorso sarebbe lo stesso. Si tratta di rispettare il diritto associativo e il buon nome di chi non c’entra nulla, anche il buon nome del metodo che usano, il buon nome di collettività plurali e intere organizzazioni; di non giudicare un’appartenenza in quanto tale. Si tratta di rendersi conto del peso delle parole e degli effetti che hanno sulle vite delle persone, di capire quanto la potenza di fuoco dei media tenda a creare, che sia intenzionale o no, una percezione collettiva a cui pochi sono gli individui capaci di guardare con distaccata razionalità; una percezione che poi, nel quotidiano, sulle vite dei singoli, diventa senza esagerazioni uno stigma sociale. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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