Il contesto storico, la depressione, la rivelazione attraverso Roland Barthes
Nel 1998 una giovane drammaturga inglese osserva uno scaffale pieno di testi teatrali e capisce che nessuno di quelli dice quel che è necessario venga detto. L’iron lady si è appena dimessa, la Gran Bretagna e Londra in particolare pullula di giovani in giacche di pelle e sorrisi strafottenti che esigono cambiamento. Non solo: questi giovani esigono di essere ascoltati. Il crollo del muro di Berlino ha segnato un momento cruciale per la storia, e ha comunicato chiaramente che come si alzano, così i muri possono essere abbattuti – non importa quanto tempo bisogna sopportare.
La giovane drammaturga si chiama Sarah Kane, e nel 1998 probabilmente si trova nel padiglione psichiatrico del King’s College Hospital. È gravemente, profondamente depressa; sente troppo. Troppo dolore, troppo amore, troppa frustrazione per le violenze che la vita di tutti i giorni sembra osservare per qualche secondo per poi volgere lo sguardo altrove. Sarah Kane ha 23 anni e sta leggendo Fragments d’un discours amoureux di Roland Barthes quando una frase la colpisce: essere innamorati è come essere prigionieri a Dachau. In un primo momento si scandalizza per quel parallelismo bieco, osceno, irrispettoso e così incredibilmente calzante. Alza gli occhi dalle pagine e li rivolge allo scaffale dei drammaturghi inglesi. Li riabbassa sul testo. Bisogna fare qualcosa.
Cleansed e il Teatro di Sarah Kane
Nel 1998, al Royal Theatre Court viene messo in scena Cleansed, una favola dell’orrore che non vorreste vi fosse letta prima di dormire. La prima rappresentazione è aberrante; molti spettatori si alzano dai propri posti e lasciano la sala, masticando improperi verso il cattivo gusto delle nuove leve del teatro londinese.
Un’università viene trasformata in un ospedale psichiatrico in cui regna il volere di Tinker, un essere sadico e diabolico come ci immaginiamo il dentista nelle nostre fantasie di bambini impauriti, se non peggio. Ci sono uomini che amano uomini, sorelle che fanno sesso con i propri fratelli, ragazzini soli che non sanno leggere, sangue, topi, sofferenza, girasoli che spuntano dal centro del palcoscenico. Un colpo di rasoio e una carezza, un pugno, una scena di stupro, un girasole: così si scandisce il tempo della rappresentazione.
Come si può descrivere la trama di questo spettacolo così carico di significato, simboli, sentimenti spigolosi e scomodi? Grace ama Graham, Graham si uccide con un’overdose di eroina; Carl esige che Rod gli dichiari amore eterno, Rod vuole amarlo un giorno alla volta; Grace vuole essere un uomo, non solo, vuole essere Graham, vuole che il proprio corpo ospiti il ricordo del fratello perduto.
E Tinker li accontenta tutti. Insegna, punisce, consola, lenisce, taglia, cauterizza, amputa.
Sparge il sangue.
La gente che assiste a questa carneficina stringe i pugni contro il velluto delle poltrone fino a sbiancarsi le nocche. Questo dovrebbe essere l’amore?, sembra chiedersi, assistendo allo spettacolo.
E così pare proprio che Sarah Kane abbia colto nel segno. La possiamo immaginare che sbircia la platea buia – quando non interpreta Grace – nascosta dietro una quinta: scandaglia con i suoi profondi occhi tristi i visi atterriti del pubblico e probabilmente pensa: “Questo. Questo è ciò che volevo che sentiste.”
Sarah Kane si rifà a un filone di drammaturghi profondamente arrabbiati, di quella rabbia genuina e sanguigna che oggi facciamo fatica a manifestare. Perché non sta bene.
Sarah Kane e l‘in-yer-face theatre, tutta la verità in faccia
Questi drammaturghi giocano a chi sposta più in là il limite della sopportazione. Giocano a torturare il Buon Costume, lo legano ad una barella e lo punzecchiano senza pietà. L’intento però non è totalmente provocatorio: vogliono sottolineare temi che sentono come importanti, e come i giovani di tutte le generazioni da che la Terra ha iniziato a girare esigono essere ascoltati. Hanno cose importanti da dire. Si chiama in-yer-face theatre: gli spettacoli sembrano sedersi in grembo agli spettatori, occupano il loro spazio vitale e non gli permettono di pensare ad altro per rassicurarsi. Non c’è più tempo di voltare la testa dall’altra parte. La droga è diventata epidemica, i giovani muoiono, la violenza è sistemica e sistematica. Gli stupri, i pestaggi, le ingiustizie sono all’ordine del giorno, e quel che è peggio è che ormai ci si è abituati a soccombere. Ad abbassare la testa.
Questi giovani drammaturghi sono determinati a non lasciare scampo alle coscienze di nessuno.
Perché avete così paura di vedere queste cose? Cos’è che vi disturba, l’idea in sé o il fatto che stavolta doveteosservarla?
Sarah Kane è sensibile a questa noncuranza. La sua pelle si ricopre di brividi al pensiero che qualcuno possa sminuire le aberrazioni che succedono ogni giorno. Ha bisogno di qualcuno che veda quello che vede lei; tutto questo dolore non può essere inutile.
Da giovane attrice a intrepida regista, inizia a scrivere. Riempie pagine su pagine di drammi violenti, nauseabondi e claustrofobici, sembra tagliare le vene della propria immaginazione e lasciare che sgorghi tutto sulla carta. Virginia Woolf una volta disse: “Quante persone hanno preso una penna o un pennello, solo perché non riuscirono a premere il grilletto?”
Per una donna, poi, la scrittura a volte è la salvezza. Hélène Cixous, una femminista francese tutta matta, esortava le donne a prendere la propria vita dalla penna, come una pazza in Cristo, e chiedeva alle donne di tutto il mondo di riversare senza vergogna la propria voce sulle pagine.
Da Le rire de la Méduse (1975):
D’ailleurs tu as un peu écrit, mais en cachette. Et ce n’était pas bon, mais parce que c’était en cachette, et que tu te punissais d’écrire, que tu n’allais pas jusqu’au bout; ou qu’écrivant, irrésistiblement, comme nous nous masturbions en cachette, c’était non pas pour aller plus loin, mais pour atténuer un peu la tension,
juste assez pour que le trop cesse de tourmenter. Et puis dès qu’on a joui, on se dépêche de se culpabiliser – pour se faire pardonner; ou d’oublier, d’enterrer, jusqu’à la prochaine.[1]
Non solo una donna che scrive, ma una donna che scrive cose violente, oltre ogni pudore e buona regola.
Sarah Kane scrisse Cleansed con il preciso intento di renderlo irrappresentabile in modo naturalistico.
In un punto cruciale dell’opera, Tinker taglia la lingua di Carl con un grosso paio di forbici; qualche scena più avanti, amputa le sue braccia e le sue gambe. Vuole privarlo di ogni mezzo di espressione non verbale. Se non può dire ti amo, Carl abbraccia l’amato; senza braccia, danza per lui. Senza gambe rimane inerme, un inutile tronco d’uomo abbandonato a sé stesso, a osservare i topi che divorano le sue membra.
Una scena simile, a teatro, non può essere rappresentata in maniera realistica: difatti alla prima rappresentazione ai fiotti di sangue si sostituiscono lunghi nastri rossi che partono dalla bocca di Carl, dalle sue braccia, dalle gambe.
È questa la forza del teatro: gli spettatori decisero che quelli non erano innocui pezzi di stoffa ma materia organica umana, e si definirono schifati e scandalizzati dalla visione. Si stringe un patto in platea, quando le luci si abbassano e il brusio delle chiacchiere si fa sempre più soffuso. Avviene una silenziosissima professione di fede, una sospensione volontaria di incredulità, un incantesimo che ci riporta tutti all’età dei draghi e dei mostri sotto al letto. E diventa tutto così reale che siamo obbligati ad andarcene quando vediamo una cascata di nastri rossi sputati da un uomo che finge di essere un povero innamorato.
Sarah Kane aveva bene in mente questo potere.
Sbirciava dalle quinte, osservava le facce spaurite degli spettatori e la velocità con cui si portavano le mani alla bocca o agli occhi, e sentiva di aver mandato un messaggio come un naufrago nel mare.
Probabilmente la giovane drammaturga si sentì per sempre prigioniera nella Dachau che era diventata la propria mente, perché si uccise all’età di vent’otto anni. Ma l’eredità che ci ha lasciato, oltre a una risma di opere teatrali e qualche fotografia da cui ci guarda furbescamente, è senza dubbio la forza di non smettere mai di scuotere le coscienze addormentate.
C’è ancora tanto per cui scandalizzarci. RIPRODUZIONE RISERVATA
[1] Inoltre, tu hai scritto un pochino, ma di nascosto. E questo non va bene proprio perché era di nascosto, e ti punivi così per aver scritto, tanto da non andare mai fino in fondo; o pensavi che fosse come se non riuscissi a sopportare l’urgenza di masturbarti, di nascosto, e non era per andare oltre ma per attenuare di poco la tensione, appena abbastanza da impedire a quel ‘troppo’ di tormentarti. E appena abbiamo raggiunto l’apice ci sbrighiamo a sentirci in colpa, a cercare di farci perdonare o di dimenticare, di sotterrare quell’urgenza fino alla prossima volta.