La sovra-nazione Europa, la globalizzazione scientifica tecnologica economica; la dimensione intercontinentale, quando non planetaria, di ogni problema ambientale, demografico, energetico; la ricerca disordinata e cruenta di nuovi equilibri geopolitici tra le maggiori potenze del mondo, con addirittura una serie di guerre, alcune dimenticate e altre, come quella dell’Ucraina che solo a intermittenza tona all’attenzione dei mass media, e soprattutto i crescenti flussi migratori dai paesi poveri del Sud e dell’Est del mondo verso quelli industrializzati e ricchi del Nord e dell’Ovest, hanno prodotto una “democrazia politica” senza cultura democratica diffusa nei cittadini.
I regimi teocratici lo dimostrano: può esserci libertà senza democrazia e democrazia senza libertà. Da noi vanno insieme? Da Tocqueville a Mill, da Rousseau a Marx, ecco che fine fanno i modelli della democrazia in Occidente
Non è un caso teorico, infatti, quello di alcuni paesi in cui una forte maggioranza religiosa porta al potere i leader religiosi, disconosce la laicità dello Stato e instaura una teocrazia. Bisogna sempre considerare, infatti, che contrariamente a quanto normalmente si reputa, parole “democrazia” e “libertà” non necessariamente vanno di pari passo: in un sistema politico può esserci democrazia senza libertà e può esserci libertà senza democrazia. Pertanto bisogna stare molto attenti perché anche in un sistema democratico come il nostro è possibile determinarsi mancanza di libertà. E questo violerebbe anche il concetto di uguaglianza.
Lungo tutto il secolo XIX, la discussione e la concreta esperienza politica attorno alla democrazia riguardava l’opportunità di ancorarla principalmente all’idea di libertà e di rappresentanza, come volevano Tocqueville o Mill, oppure all’idea di uguaglianza, come preferivano Rousseau o Marx. Prevalse la prima ipotesi e la libertà politica, benché concettualmente diversa dalle libertà civili (in quanto contenente un elemento di positività partecipativa estranea alle prime) venne affiancata ad esse. Così il diritto di voto, originariamente ristretto ad un’esigua classe di cittadini, selezionati principalmente in base al censo, si andò estendendo in modo costante verso la totalità dei cittadini d’ambo i sessi (suffragio universale) e si accrebbe il pluralismo delle assemblee e degli enti che partecipavano al processo democratico.
Tra élite e maggioranze: la democrazia odierna non rispecchia più la concretezza dei corpi sociali
La democrazia non implica che non vi siano élite ma definisce un principio specifico con cui procedere alla formazione delle élite stesse, che riporta la competizione tra individui e gruppi tesi alla conquista del potere alla gara per ottenere il consenso popolare mediante il voto.
Nel momento in cui le regole e i valori democratici definiti nella teoria vengono applicati al mondo reale, è evidente che si determina un livello di approssimazione più o meno soddisfacente. Il governo ai governati è nelle democrazie contemporanee una metafora ideologica, perché il governo è neppure dei rappresentanti ma della loro maggioranza.
Il principio di maggioranza guadagna una sua assolutezza, dal momento che la consultazione elettorale si risolve in un’operazione aritmetica, essendo il voto un’unità astratta in cui si traduce la volontà politica del cittadino. È il principio del voto personale ed eguale, libero e segreto, di cui all’articolo 48, 2° comma, della nostra Costituzione.
A differenza di quella degli antichi, la democrazia dei moderni e più ancora quella contemporanea non rispecchia più la concretezza dei corpi sociali. Le singolarità elettorali consentono di dare alla volontà della maggioranza il volto e l’autorità assoluta della volontà generale.
La causa profonda del processo storico che sembra voler destrutturare la democrazia nella sua ispirazione fondamentale sta nel fatto che la democrazia classica è restata soccombente dinanzi a un processo di mondializzazione del potere, così come quella contemporanea, nata negli stati-nazione, è stata insidiata dalla globalizzazione.
È indubbio che una polis virtuale – con tutti i limiti, contraddizioni e rischi di inquinamento – si è formata nel web. Questa concezione di democrazia dal basso, andrebbe gestita meglio, riaffermando invece una democrazia partecipata che permetta così di conoscere meglio i problemi e provare a risolverli. Altra questione che è emersa, in questa contingenza politica, è l’affermazione dell’uomo forte, nel caso attuale della donna forte, che con molta demagogia ha convinto gli italiani.
L’incedere delle oligarchie. La “seconda modernità” ha bisogno di un secondo Illuminismo
L’Europa, nella sua costituzione, si è data un motto: «Unita nella diversità». Ma esistono forze e valori in grado di rendere reale, e non utopica, una tale coppia dialettica? E non solo tra gli Stati, ma all’interno di ciascuno di essi? Mai come in questo passaggio la democrazia appare, nelle sue diverse tipologie costituzionali, vulnerabile e inclinante verso oligarchie, strutturate in poteri anche non politici bensì finanziari, economici, sociali, mediatici o verso governi personali.
La democrazia deve essere rifondata per tenere a bada l’economia di mercato. La “seconda modernità” ha, dunque, bisogno di un secondo Illuminismo. La riappropriazione da parte della politica di sfere lasciate de-regolamentate in mano all’economia finanziaria non è indolore, abbisogna di un adattamento.
Norberto Bobbio avanzò delle riserve sull’idea del “potere a tutti”.
La democrazia diretta è sempre stata una illusione. Lo è a maggior ragione in una civiltà altamente tecnicizzata come la nostra, in cui ciò che l’uomo produce è l’effetto di una organizzazione mastodontica, sempre più complicata, difficile da dominare, che riesce a funzionare soltanto se affidata a pochi esperti. Si immagini una fabbrica di 100.000 operai dove tutti siano chiamati a discutere i metodi, i tempi, il processo di produzione. Dopo dieci giorni sarebbe chiusa.
Dare vita a una Repubblica presidenziale? Vorrebbe dire ridurre a pura formalità la funzione democratica
Il problema del potere è reale. La soluzione vede l’élite dei pochi esperti, che dirigono la fabbrica immaginata dal prof. Bobbio, impadronirsi anche del potere formalmente politico, creando ad esempio una repubblica presidenziale in cui la democrazia è ridotta alla funzione puramente formale. Non è fantapolitica visto che la nostra classe dirigente sembrano chiedere questa soluzione.
In alternativa, quei 100.000 operai e impiegati della fabbrica immaginata dal prof. Bobbio conquistano effettivamente il diritto di discutere i metodi, i tempi, il processo di produzione e per esercitare questo diritto creano i loro comitati liberamente eletti, fino al consiglio di gestione, che insieme agli esperti dirige la fabbrica. Ovviamente il controllo dal basso non trasforma gli operai in ingegneri, ma serve a far salvaguardare ad ogni operaio i loro diritti e i doveri di uomini liberi e di cittadini nel proprio luogo di lavoro. Tutto ciò pone anche un rinnovamento profondo dell’azione del movimento sindacale.
Nella moderna società, i monopoli hanno la possibilità di far pagare a tutti gli aumenti sui salari, sugli stipendi, quindi, l’azione sindacale deve restituire ai lavoratori il potere di discutere non soltanto i salari, ma anche i programmi di produzione, gli investimenti, i prezzi, permettendo loro di attuare un controllo democratico anche sulle influenze economiche e politiche dell’industria sulla vita nazionale.
Lo strumento dell’esercizio della democrazia deve essere funzionale al rinnovamento della politica e quindi devono essere i cittadini ad assumersi il compito di risanare il Paese dal punto di vista etico, reinvestendo sé stessi entro il sistema politico e assumendo pienamente le proprie responsabilità pubbliche per divenire protagonisti della trasformazione del Paese.
Il pensiero politico, la cultura e le idee dovranno rappresentare il cuore del nuovo essere attore del cambiamento delle regole e del ripristino della piena democrazia. ©RIPRODUZIONE RISERVATA