la sinestesia ritrovata

La Sinestesia e l’opera d’arte #6. La sinestesia ritrovata. I musei tattili

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È difficile fare le cose difficili:

parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco.

Bambini imparate a fare le cose difficili:

dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi.

Gianni Rodari, Lettera ai bambini.

Fruizione dell’arte nel superare la disabilità: non solo tecnologia di ultima generazione ma ritorno all’esperienza diretta. La sinestesia ritrovata: il Museo tattile.

È da tempo che si cerca di offrire ai ciechi strumenti particolari che possano accrescere e facilitare la loro conoscenza della realtà. Oltre alla scrittura braille e ai più moderni metodi di sintetizzazione vocale per la parola scritta, sono stati proposti modelli plastici e rappresentazioni in rilievo delle cose più diverse.

Il problema dell’accesso alle arti visive è oggetto di studio da non molto tempo. Il Museo tattile statale Omero di Ancona è il primo museo statale italiano di architettura e arte plastica che ha come finalità istitutiva quella di “promuovere la crescita e l’integrazione culturale dei minorati della vista e di diffondere tra essi la conoscenza della realtà.” Molti musei, tra i quali cito il Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum of Art di New York, il British Museum di Londra, il Museo Egizio e il Museo della Sindone di Torino, la fondazione Alinari di Firenze, offrono percorsi tattili, corredati da audio guide o da guide in braille o a grandi caratteri. In genere ciò che viene proposto è già per sua natura predisposto alla percezione tattile. Si tratta di monete, monili, oggetti d’uso quotidiano, statuette votive o statue di grandi dimensioni, colonne e capitelli. Plastici di strutture architettoniche famose. Oggetti che raccontano nel tempo l’evoluzione socioculturale dell’uomo, in misura minore l’evoluzione del suo pensiero.

Il Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros di Bologna si distingue perché, mediante l’utilizzo di bassorilievi prospettici, rende accessibile la pittura e la sua storia, intesa come storia del pensiero umano e rappresentazione del visibile. Vi si svolgono lezioni di storia dell’arte e di metodologia interpretativa, indirizzate sia a non vedenti che a vedenti, che possono consentire un’integrazione didattica e professionale. Inoltre, si studiano i processi cognitivi per l’apprendimento dell’immagine.

All’interno della struttura museale sono esposte, su tavoli, le traduzioni tridimensionali di dipinti celebri, opportunamente selezionati, in base a precise scelte cronologiche e stilistiche. Questa esposizione diacronica consente di evidenziare le variazioni nel tempo della rappresentazione nell’arte occidentale.

Ogni opera è corredata da tavole propedeutiche alla conoscenza degli stili, alla comprensione della rappresentazione prospettica e delle categorie della rappresentazione. Inoltre, vi sono tre gradi di schedatura, scritte in braille, che corrispondono a tre livelli diversi di approfondimento dell’immagine.

Come si (ri)produce un dipinto in bassorilievo prospettico? Mettendo in sinergia scultori, storici, pedagogisti e tiflologi

La riproduzione di un dipinto in bassorilievo prospettico non è diretta, ma avviene dopo studi sinergici tra il modellatore-scultore, lo storico dell’arte, il tiflologo e il pedagogista. Infine, deve essere testata da un non vedente con una competente esperienza.

Con il bassorilievo prospettico andiamo ben oltre la riproduzione tecnica dell’opera d’arte e il valore sociale, culturale, politico che Benjamin assegna alla traduzione spazio-temporale di qualsiasi testo artistico, scritto, pittorico, plastico, prodotto dall’uomo[1]. La mano riprende di nuovo la sua incombenza artistica che aveva perso a favore dell’occhio e della sua rapidità.

Il riconoscimento dell’immagine pittorica trasposta nel bassorilievo non è così immediata, come si potrebbe pensare, perché l’esperienza della realtà attraverso il tatto è caratterizzata dalla tridimensionalità e dalla molteplicità sensoriale, per cui è necessario che il non vedente impari a vedere con le mani, seguendo passaggi astrattivi che lo guidano a riconoscere l’oggetto solo col permanere costante della forma e nonostante non abbia più le sue caratteristiche di tridimensionalità, grandezza, sensorialità. C’è un intreccio costitutivo reale tra immagini visive, tattili e messaggio verbale. La parola riprende in pieno la sua funzione evocativa e colmativa, là dove il tatto, ma molte volte anche la vista, non possono andare. Avviene così che l’aura dell’opera d’arte possa riapparire, nella stessa forma sinestetica, sia per il non vedente acquisito che per il vedente,[2] con l’insieme dei messaggi che l’autore ha trasmesso in modo più o meno consapevole. Alcuni di questi, ormai codificati classicamente, sono pervenuti, altri sono andati perduti nel vortice dei cambiamenti sociali e culturali. Per capire fino in fondo un’espressione artistica c’è bisogno di conoscere completamente non solo l’intenzione di chi la produce, ma anche il contesto spazio temporale in cui la produzione avviene. Come nel caso della Nascita, è il testo scritto ad aiutare nella ricezione e nell’interpretazione, al di là della forma. Ma anche la guida, che insegnerà i vari elementi costitutivi del linguaggio tattile, è fondamentale. Esattamente come avviene per le opere letterarie, non è sufficiente conoscere la grammatica e la sintassi della pittura, ma anche la retorica, la linguistica, la semiologia e la storia dell’arte sono fondamentali per la migliore comprensione e analisi dell’opera d’arte pittorica. Nessuno si stupisce dell’elementare verità che per apprezzare poesia e letteratura bisogna prima imparare a leggere. Ma l’immagine che, a differenza della parola, riproduce direttamente e analogicamente il reale e l’oggetto, senza alcuna relazione semiologica arbitraria, può trarre in inganno. La sua apparente immediatezza può illudere che non sia necessario conoscere alcun linguaggio per la sua comprensione. Questo, ancora una volta, è valido solo per le immagini che appartengono alla nostra cultura ma rende molto difficoltoso, quando non impossibile, decodificare i simboli grafici di tempi e culture altre.

La formazione dell’immagine mentale

Per arrivare alla comprensione e alla formazione dell’immagine mentale dell’oggetto rappresentato, quindi, è necessaria una correlazione tra l’informazione verbale, un’attenta riproduzione tattile, e un certo bagaglio di conoscenze aptiche. Il momento dell’intuizione e dell’emozione estetica può essere colto appieno e gustato fino in fondo solo se arricchito da un approfondimento critico che comprenda il più possibile il linguaggio dell’opera, le scelte linguistiche dell’artista e il processo attraverso il quale la creazione artistica ha preso forma. Questa è l’unica garanzia affinché la fruizione dell’opera d’arte non sfoci nell’arbitrio interpretativo.

Il piacere del bello, nel suo valore estetico reso dall’opera d’arte, è puramente intellettuale, atemporale e aspaziale, ma va educato, qualunque sia il senso che si può o si vuole utilizzare nel suo approccio. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

[1] Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino

[2] Distinguo tra non vedente acquisito e congenito perché il ricordo di segni puramente visivi, come il colore e la profondità spaziale, rende la percezione più vicina alla completezza sensoriale del normodotato.

 

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