la caduta del patriarcato

“La caduta del patriarcato. Storia del sessismo, la lotta e la resistenza delle donne”

395 Visite

È uscito da poco La Caduta del patriarcato. Storia del sessismo, la lotta e la resistenza delle donne, di Marta Breen, illustrato da Jenny Jordahl, pubblicato in Italia da Einaudi Ragazzi. Spendiamo qualche parola sul femminismo, che è il quadro in cui si inserisce la questione. Questo sconosciuto, vilipeso, ora sopravvalutato ora sottovalutato fenomeno, quasi sempre frainteso, e che è, prima di ogni cosa, una pratica. A me, uomo, affascina molto perché, letteralmente, non posso conoscerlo. Non mi è dato abbracciarlo se non inquadrandolo come fenomeno storico, filosofico e letterario, cioè col distacco dello studioso, magari esercitando verso le mie contemporanee quell’attenzione, minima e ipocrita, bastevole a chi, per evitare di fare uno scivolone su ciò che non può sentire sulla propria pelle, si preoccupa di nobilitarlo per sentito dire, magari per una non richiesta partecipazione o falsa bontà d’animo, da scrittore engagé oppure, peggio ancora, per mantenersi a galla nel mondo editoriale, qualunquista e mercificatore di valori morali. Non è questo, non nel mio caso. Non posso parlare di femminismo perché non mi è dato conoscerlo dall’interno. Posso però provare sulla mia pelle il maschilismo dei miei simili – che mi arriva addosso involontariamente da chi lo esercita – e posso provare in prima persona forme di esclusione sociale che hanno con quella vissuta dalle donne una radice comune. Posso, in breve, provare empatia e sapere che non devo sublimare ciò che non conosco con la pretesa di controllarlo.

Allora mi faccio guidare dalle opere migliori delle femministe, quelle che hanno lasciato testi e testimonianze di stati di coscienza che sono, al minimo, immagini dell’inconscio collettivo finalmente visibili. Mi faccio guidare da quelle donne femministe che, curiosamente, la maggioranza delle femministe italiane non conosce né si preoccupa di studiare perché deve tenere fede alla storiografia del movimento squisitamente italiano, più o meno nato negli anni Venti e sviluppatosi intorno al separatismo (dall’uomo). Mi faccio guidare da femministe che stando invece alla storiografia continentale hanno gettato le basi di una vita collettiva veramente figlia del progresso, avendo esercitato una forza critica che ha cambiato le fondamenta della civiltà europea fino a noi. Donne come Maria Deraismes, Maria Béquet de Vienne, Maria Pognon, Eliska Vincent, Louise Michel, Clémence Royer, ma anche Isabelle Gatti de Gamond, Charlotte Despard, Anne Cobden Sanderson, Edith Cowan, Paulina Luisi, Belén de Sárraga, e altre centinaia di donne della cosiddetta “prima ondata femminista” dal peso notevole in tutto il mondo meno che da noi, troppo sbrigativamente messe da parte come “semplici suffragette”. Donne che hanno davvero lavorato per una parità della dignità con l’uomo, e di più, a una complementarietà con l’uomo, di cui sentiamo il bisogno disperato nell’Italia di oggi, e lo hanno fatto davvero con una sensibilità che doveva essere alternativa a quella del maschio, che fosse capace di includerlo e non separarlo, emarginarlo, come lui ha sempre fatto verso le donne. Ebbene, il femminismo italiano, così rigido in certe sue prospettive, rischia più che in altri paesi di assumere quell’atteggiamento di recente formulazione che chiama certi fenomeni “woke”, che da “svegli”, “all’erta”, “attenti” che intendevano essere in principio per svegliare le coscienze sui diritti e denunciare prontamente i soprusi, si vanno strutturando, come tutte le forze dell’ordine, in un corpo autoreferenziale, con una gerarchia morale inviolabile ma tutta interna senza trasferirsi nel mondo, dove serve, per rispettare la quale spesso viene meno la spontaneità e la visionarietà che il movimento femminista ha invece sempre avuto dalle sue origini. Ciò detto a mo’ di auspicio per il bene non tanto del femminismo ma delle donne, affinché non permettano al maschilismo di rigenerarsi sotto la maschera della precisione procedurale all’interno delle loro stesse pratiche, suggerisco, in particolar modo ai maschietti ancora giovani e imbelli, la lettura di questo libro. Troveranno una densa retrospettiva di pensieri e parole orrendamente stupide pronunciate da uomini pure illustri, che pure hanno saputo lasciare doni preziosi all’umanità, quali artisti, filosofi, scienziati, da Aristotele a Woody Allen. Che lo leggano i ragazzi maschi perché sappiano che si può essere intelligenti in un campo ed essere totalmente idioti in un altro, che si può coltivare un’intera scienza e distinguersi per la conoscenza che se ne ha e allo stesso tempo non sapere distinguere un’ala da una coda e lasciare incolti così tanti aspetti di noi stessi da non capire, da non vedere neppure le cose più evidenti. Ecco la caduta del patriarcato, ecco venire giù la colonna centrale su cui si è sempre retto: la scelta se portare a termine una gravidanza (non leggeteci per forza un invito all’aborto) non siamo noi maschi a prenderla, ma le donne, e questo è già tutto, o da questo tutto dipende, persino la nostra esistenza. Il patriarcato è morto in Occidente e verso Oriente comincia a ricevere stilettate bene assestate, come in questi giorni in Iran. Ai nuovi maschi spetta, se non ingaggiare la causa femminista per impossibilità di partecipazione diretta, includerla almeno in quella del secolarismo e della laicità, dove l’uomo e la donna sono e restano inseparabili.

I post più recenti nella categoria Libri