Lui era uno di quelli che per cena mangiano una mela. E basta. Andava anche a letto alle nove e naturalmente non aveva la televisione. Era carino, fisicamente, ma tremendamente insicuro e imbranato nelle cose quotidiane. A me sembrava inconsistente rispetto ai ragazzi che avevo frequentato fino a quel momento. Loro erano un po’ sbruffoni, un po’ aggressivi, uomini insomma. Anche se avevano solo vent’anni. Lui era invece solo un ragazzo. Incerto sul da farsi, rimanere in Italia o andarsene, cosa studiare, se studiare. In realtà era un incapace della vita. Ma a me faceva tenerezza. E come usava dire una mia amica “me lo volevo fare”. Per sfidarlo, per scuoterlo, per vedere se si levava quella patina da bravino. Intanto ci vedevamo per cenette a casa sua e passeggiate al parco. Le cenette erano una stranezza per lui, non le aveva mai fatte con una ragazza, in realtà non le aveva mai fatte con nessuno. La sera si mangiava la sua mela e andava a letto a leggere fino a notte fonda.
Per me cominciò a cucinare pasta al pomodoro o pesce con patate lesse. E gli sembrò di fare chissà che. Da me, che allora abitavo con delle amiche, non venne mai. Si stava meglio nel suo sottotetto quasi per nulla arredato. Una specie di cella con bagno e cucinotto. Ci stavo bene lì da lui, ero sicura di piacergli, attribuivo il suo non provarci alla sua timidezza. Invece no. Una sera che dovevo andare da lui mi misi un giacchino e sottana corta che avevo comprato da poco e poi uscii per tempo. Feci una deviazione dal percorso a piedi che divideva la sua dalla mia casa e andai nella migliore gelateria della città. Col mio pacchettino di gelato che feci infiocchettare come per un regalo mi presentai da lui. Mi fece entrare in casa e mi guardò da capo a piedi. E disse: non mi piace come ti vesti. Gli diedi il gelato, mettilo in freezer che sennò si scioglie, gli dissi. Non dissi beo a proposito del mio abbigliamento, ma mi sembrò un segnale inconfondibile del fatto che in realtà non osava dirmi: scusa ma tu non mi piaci. E così lo aveva fatto sotto forma di metafora. Non mi dava fastidio non piacergli fisicamente, questo capita e non ci si può far niente. Ma buttarmi in faccia quel “ ti vesti male” fu davvero offensivo. Mi umiliò.
Dopo avergli consegnato il gelato mi voltai e me ne andai.
Da quel giorno quel giacchino in tinta con la gonna non li ho messi più.
Lui? Mai più visto.
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