tecnomagia

Tecnomagia fra Ellenismo e Medioevo bizantino

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Premessa: il gentile lettore non pensi che scrivere su qualcosa del passato sia una fuga nella storia: il tempo attuale è “igneo”, direbbero con le loro enigmatiche parole gli Oracoli Caldaici, testo perduto e solo frammentario dei Misteri di Samotracia, praticati fino all’età ellenistica. Da questo “igneo” non traspare nulla di particolarmente buono, dovendosi intendere, l’attualità, come una incandescenza senza Rivelazione, il rinnegamento del misterioso, il tutto-in-luce che getta in pasto a tutti ciò che in origine era destinato a pochi, preparati ed educati ad una partecipe attesa.

Il mondo contemporaneo, sorto dalle rivoluzioni democratiche, risponde alla domanda: come possiamo vivere nel miglior modo possibile in un mondo che non è il migliore dei mondi possibili? E molti sono i modi di declinare questa domanda fondamentale: come gestire la complessità rendendo più omogenea una eterogeneità sempre più vasta; come è possibile rendere le aspettative di otto miliardi di individui compatibili con il sistema naturale che li contiene – senza portarlo al collasso; fra tante altre, se infine sia possibile trovare delle leggi valide per tutti universalmente, nonostante le enormi differenze che separano/uniscono le varie culture umane, a sempre più stretto contatto fra loro.

Le domande che urgono, e non di rado assillano, l’uomo contemporaneo, derivano dai presupposti di ciò che definiamo società industriale. In essa attribuiamo un ruolo centrale alle scienze, che a sua volta hanno una regola morale alla base, raramente resa esplicita: rigore razionale ed onestà incondizionata; per questo le scienze si costringono nei limiti puri della ragione: esperimento, riproducibilità dell’esperienza e matematizzazione delle leggi fondamentali. In questo senso il moderno spirito scientifico riprende – e persino nobilita – la Filosofia Prima che, secondo Aristotele, deve presiedere ad ogni indagine e rendere coerente ed ordinato ciò che all’immaginazione appare solo caotico e informe.

Scienze pure e scienze applicate tra antico e moderno. Genealogia e scetticismo dell’era industriale

Fin qui, nulla di nuovo. Ma è possibile fare osservazioni molto più accurate, considerando che questi secoli dell’industrialismo, con l’indubbia accelerazione che imprimono alla vita del singolo, contemporaneamente progettano di allungarla ben oltre il secolo, forse fino a centoventi e più anni. L’industrialismo stesso, dopo le ecatombi delle prime generazioni di operai minati dalle malattie connesse alle insalubri condizioni di lavoro, ha educato in realtà, forse tutti noi, ad un’aspettativa mondana senza orizzonti ulteriori, senza nulla di ultraterreno. La società industriale e la sua forma mentale dominante è spontaneamente scettica; e lo è perché non è figlia delle scienze pure (le quali erano praticate nell’antichità classica, tarda e nel medioevo con dignità non inferiore all’attuale) ma di quelle applicate, le téchnai, e lo sviluppo dei principali brevetti industriali nella seconda metà del Settecento è dovuto all’azione di artigiani talora anche poco alfabetizzati, come nel caso della Jenny, o Giannetta, inventata da James Hargreaves nel 1764. È indiscutibile che le principali innovazioni industriali siano nate in ambienti del tutto estranei alle accademie di begli spiriti come la Royal e la Lunar Society, e che molti inventori erano privi non solo di educazione universitaria, ma in certi casi anche primaria.

La tecnica, per gli antichi, era anche la connessione stessa col divino

Sovviene allora il titolo di un lavoro di Proclo: Περὶ τῆς καθ’Ἕλληνας ἱερατικῆς τέχνης, Sull’arte sacrificale dei Greci, per trovare una prima approssimazione a ciò che gli intellettuali tardo antichi della corrente neoplatonica ritenevano essere le “tecniche”. I più raffinati esponenti della declinante cultura pagana, le cui vite si sovrapponevano con quelle della prima organizzazione delle chiese cristiane nel vicino Oriente, Grecia e Anatolia essenzialmente, ritenevano tecnica anche – e forse soprattutto – certi “portali” che consentivano l’escursione dall’umano al divino; e cosa ancor più rilevante, che mondo umano naturale e divino sovrannaturale fossero assai più prossimi e vicini di quanto non appaiano a noi, oggi, influenzati dalla nostra concezione astronomica di universo virtualmente infinito e autogeneratore.

L’Accademia di Platone e tra i neoplatonici Michele Psello, “Console dei filosofi”, mago e ministro

È ora necessario spendere poche parole sull’Accademia fondata da Platone, e sulla filiera di importantissimi neoplatonici succedutisi nel tempo sempre a partire da quell’ambiente: dopo Plotino, Porfirio (234-305), Giamblico (245-325) e Proclo (412-485). A coronamento metteremo il grande filosofo bizantino Michele Psello (1018-1096), che ne fu il continuatore. A conferma della non facile convivenza fra questo circolo filosofico pagano e la impetuosa ascesa della chiesa cristiana, c’è da ricordare l’evento della soppressione dell’Accademia nel 529, per decreto di Giustiniano, in seguito alle pressioni dei cristiani di Atene e un altro precedente, la condanna a morte di Sopatro discepolo di Porfirio, che era stato consigliere di Costantino e collaborò alla fondazione di Costantinopoli nel 330. Nell’intreccio politico, come si vede, entrano i due più grandi sovrani dell’Impero d’Oriente, ambedue patroni della metropoli sul Bosforo, come sono effigiati nel mosaico della lunetta sormontante l’entrata della basilica di Santa Sofia: l’uno fondatore della città e l’altro restauratore dell’Impero romano “pars occidentalis”. L’importanza politica, e la vicinanza al cuore del potere del circolo neoplatonico è dunque attestata. Non diversamente lo status di Michele Psello, filosofo, mago e ministro con vari imperatori: Costantino IX e Zoe Porfirogenita, Costantino X e Michele VII Dukas. Soprannominato “Console dei filosofi”, aveva più dimestichezza con la Magnaura, il Gran Palazzo, degli stessi re.

L’Ancella, automa di Filone di Bisanzio, II sec. A.C.

Il cesaropapismo e la con-fusione del Dio pagano col Dio cristiano.

Tutti questi saggi avevano un concetto estremamente chiaro del ruolo del consigliere nell’epoca della monarchia imperiale; tanto più nella metropoli dell’est, dove all’assolutismo imperiale romano temperato dalla presenza del Senato si mescolavano influssi orientali, echi della Persia o della lontana Cina, che attribuivano al Basileus e alla Basilissa caratteri semidivini. Non va dimenticato, in ogni caso, che fin dalla sua fondazione l’Impero d’Oriente lega le proprie sorti a quelle del cristianesimo: noto è il caso di Costantino, che sovrappose il culto del Cristo a quello del Sol Invictus e nella monetazione, sul rovescio della propria effige fece coniare il dio Sole (Apollo, Helios, Febo) con la scritta Soli invicto comiti, “al compagno Sole Invitto”. Come carattere ereditario, questa originaria con-fusione fra dio pagano, Messia cristiano e imperatore dette la stura ad una serie infinita di dispute fra autorità politica e gerarchia ecclesiastica, con le ingerenze continue degl’imperatori nelle questioni dottrinali e teologiche; in una parola, il cesaropapismo della chiesa d’Oriente.

Goezia e Teurgia, due aspetti della magia

Su questo sfondo va evidenziato il fatto che il gruppo dei neoplatonici era una minoranza non cristianizzata, e che da Plotino in poi prende un indirizzo decisamente mistico. Porfirio corregge parzialmente l’assorbimento contemplativo verso l’Uno – tipico di Plotino – e, per primo, afferma la centralità della Teurgia. È appena il caso di ricordare che, a secoli di distanza, la estrema sintesi dei due “lati” della magia diffusa negli ambienti occultistici ottocenteschi distingue due forme di magia: la Goezia, magia “nera” o popolare, e la Teurgia, magia bianca, elitaria e sacerdotale.

La Teurgia si realizza essenzialmente attraverso un’evocazione della divinità, alla quale veniva offerta una base materiale per manifestarsi. Poteva trattarsi di un organismo vivente (spesso umano) che attraverso preghiere, invocazioni, contatto e apposizione sul corpo di amuleti e formule segrete, cadeva in trance e cominciava a parlare con la voce del dio oppure, secondo Porfirio, a sollevarsi in aria. In altro contesto, pure sostanzialmente analogo al primo, si faceva ricorso alla pratica telestica. Secondo il racconto di Psello:

Quella [la conoscenza della τελεστική] infatti riempie le cavità delle statue di una sostanza propria delle forze che vi risiedono: animali, piante, pietre, erbe, radici, gemme incise, formule scritte, talvolta aromi con un rapporto di simpatia. Mettendo insieme a queste cose crateri, coppe e incensieri, rende le immagini vive e le muove con una forza segreta.

Costruzione di un automa

La testimonianza di Psello è quindi cruciale per chiarire l’oggetto di questo articolo: nella cerimonia teurgica l’atto magico consiste nel prodigio di dare la vita ad una statua (l’immagine del dio). Si tratta in altri termini della creazione di un automa, in un senso tuttavia superiore a quello consentito dalle arti meccaniche. Già nel mondo antico la costruzione di autòmata, e in particolare nell’Ellade e a Bisanzio – come testimoniato dal bell’automa dell’Ancella di Filone, che era in grado di camminare e mescere il vino e l’acqua da una brocca – era fatto abituale ed apprezzato, normalmente associato da Aristotele alle marionette e al cosiddetto “teatro di figura”.

Ricostruzione della testa parlante in bronzo di Papa Silvestro II, 999 A.D.

L’apposizione sulla statua vivente di simboli (σύμβολα) è parte integrante della cerimonia teurgica. Secondo la definizione di S.I. Johnston citata da Giulia Freni nel saggio L’impiego di elementi naturali nei rituali affini alla teurgia il simbolo non sarebbe una materializzazione del divino, o traccia, o indizio, ma identità ontologica col dio e dunque della medesima natura; ciò ricorda molto da vicino l’evento – che il fedele è tenuto a credere reale – della transustanziazione nella liturgia cattolica, ovvero l’identità di natura del pane e del vino con il sangue e la carne del Cristo. Non devono sorprendere le notevoli analogie fra rito cristiano e culto misterico in ambito pagano: nei secoli della formazione della struttura ecclesiale, per la Chiesa nascente accanto all’annuncio del Vangelo in quanto messaggio etico-religioso e metafisico del tutto nuovo, le forme ecclesiali disponibili a fare da modello alla liturgia non potevano che essere quelle dei culti misterici precristiani, la cui vicinanza, e a volte coincidenza, con le sette gnostiche cristiane dei primi secoli è facilmente dimostrabile.

Volgere al bene l’opera dei demoni

Lo stesso Psello, attivo nella piena fioritura del cristianesimo orientale, intimo di vari Patriarchi, fa proprio lo schema atemporale del trattato neoplatonico e, pur condannando quella che definisce la “magia cerimoniale” ovvero volta a scopi egoistici, come la legatura d’amore o le fatture per vendicarsi dei nemici, tiene invece nella massima considerazione, quantunque pagana, la Teurgia, – di cui sono già da secoli testo sacro i sopraccitati Oracoli Caldaici – perché il suo fine è l’elevazione dell’anima e l’intento di volgere al bene l’opera dei demoni spirituali.

Sulla stessa linea di pensiero si collocano i talismani descritti da Apollonio di Tiana negli Apotelesmata: uno di questi consentiva di animare una tartaruga metallica; e forse lo stesso incantesimo infuse vita ad un automa per la pulizia delle strade durante il regno di Leone il Saggio (886-912).

Quando i sapienti cercavano una via per elevarsi fino al trono divino, lo facevano quindi con un certo spirito “tecnico”, con strumenti che potevano essere descritti e riprodotti; se poi lungo la strada realizzavano prodigiose invenzioni lo facevano, senza dare ad esse eccessiva importanza. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Testi consultati:

Giulia Freni L’impiego di elementi naturali nei rituali affini alla teurgia, in “Lexis” num. 40 (n.s.) – Giugno 2022 – Fasc. 1

Gli Oracoli Caldaici, da Golden Dawn Italia

Michele Psello, Oracoli caldaici: con appendici su Proclo e Michele Italo; a cura di Silvia Lanzi

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