L’idea di politica e di potere nella storia. Ecco i vizi di chi crede che le regole scritte siano le migliori
Per antica abitudine siamo portati a ritenere la politica “l’arte dell’oggi”, dell’immediato, permanente esperienza dell’eterno presente. Ad un diverso livello, alcuni identificano la politica come la scienza del potere e del mantenimento del potere: è l’eredità del pensiero politico rinascimentale dei Bodin, Machiavelli, Moro, Guicciardini, Hobbes. È a seguito delle opere di questi pensatori che in Occidente si è cominciato ad identificare il potere politico col principato, un approccio alla sovranità più moderno e attuale di quello fondato sulla regalità e sul diritto “divino” al potere. Ma solo a partire dalla rivoluzione francese, e in virtù della forte instabilità che caratterizza le vicende politiche del XIX secolo, che gli appassionati della scienza politica concepiscono il potere essenzialmente per la sua contendibilità: osservando il rapido succedersi di regimi, l’avvicendarsi delle repubbliche di nuovo conio alle monarchie che vanno esaurendo il loro ruolo storico, si considera il governo della società con un linguaggio simile a quello dell’alpinismo, in termini di “cordate”, “scalate”, “ascese”.
L’idea di politica e di potere oggi
La politica come prassi, pur mutuando un linguaggio fortemente evocativo e allegorico, nei suoi interpreti borghesi smette del tutto le pretese di sacralità delle società di tipo tradizionale; disdegna la teoretica politica e finisce per apparire – ai giorni nostri – sempre più simile alla statistica e alla matematica economica. Una sorta di marxismo mimetico, ma soprattutto mutilato e deprivato dei suoi contenuti potenzialmente espansivi, se non esplosivi, diventa la regola comune della riflessione politica tanto per le destre quanto per le sinistre. Per dire meglio: la politica non ha altro orizzonte che il potere fine a sé stesso; il potere e il suo raggiungimento ha come scopo solo la propria tautologia; ogni richiamo a finalità o etiche, o supernaturali è risibile o, al massimo, utile per addomesticare le plebi il cui consenso è indispensabile. Inoltre la politica contemporanea, nell’anelito di recidere qualunque legame con una teologia di riferimento per la propria azione, relega le “estreme” nella dimensione patologica: non sarà un caso se, da svariati decenni, sentiamo parlare soltanto di centro-destra o centro-sinistra e i banchi delle due ali nell’ ideale emiciclo devono restare vuoti.
L’idea di politica e di potere su base etnografica
Può rappresentare una sorpresa scoprire, invece, che la politica può essere considerata in chiave etnografica e può rappresentare un deposito antropologico quanto mai significativo, all’atto di descrivere una o l’altra civiltà umana.
L’uomo ama rappresentarsi come animale “superiore” proprio per la sua capacità di vivere in società; oggi sappiamo che questa auto-percezione è comunque infedele, perché anche molte altre specie animali formano società e fondano la convivenza su regole, senza avere alcuna necessità di scriverle. Anzi, proprio il fatto che come specie riteniamo necessario dirigerci secondo regole scritte, sotto un apparato di tipo giuridico, può essere la prova indiretta che le società da noi create si basano sulla sfiducia reciproca, temperata dal bisogno che abbiamo gli uni degli altri.
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Il caso della Polinesia e l’energia del ‘Mana’
In Polinesia, quel complesso di isole che in forma quasi triangolare costella l’Oceano Pacifico fra la Nuova Zelanda e la costa orientale dell’America, il potere è caratterizzato da una rigida gerarchia di classi sociali: queste occupano lo stesso spazio sociale ma evitano ogni forma di mescolamento. L’aristocrazia, che sta in cima, è tale per l’origine divina dei suoi rappresentanti e per il fatto che essi sono dotati, in misura diversa da membro a membro, di un’energia spirituale chiamata mana. Questa energia, che gode di una considerazione così grande, è invisibile ma non è astratta. Una data famiglia è più o meno importante a seconda della quantità di Mana posseduta dai suoi membri. Di conseguenza le altre classi: gli uomini liberi e poi i servi/schiavi, sono tali perché il loro mana è debole o inesistente, quindi non restano loro che le attività più faticose e le aspettative più modeste.
Nota importante è che il mana tende a diminuire col passare delle generazioni, e per questo le famiglie aristocratiche tentano di mantenerlo con un’accorta politica matrimoniale. Si può concludere che quella polinesiana è una forma di ierocrazia o ierofania politica basata sul dono carismatico: crisma e càrisma sono termini largamente impiegati nel catechismo cattolico; e se sembra non abbiamo una stretta correlazione etimologica, forse ne hanno una più segreta, designando l’ uno il dono ( chàris ), l’ altro l’ unzione rituale ( unguento ) mediante sostanza oleosa nutriente e potenzialmente guaritrice dei mali, il maggiore dei quali è l’ appartenenza ai gentiles, ai pagani dall’ oscuro retaggio idolatrico, e quindi la mancanza di qualsiasi possibilità di salvezza a venire, in questo mondo o nell’ altro; difatti, anche la sola introduzione nella “ecclesia” e nell’ ecumene dei credenti è “balsamo”, anticipo e prefigurazione della Salvezza nel non-tempo, cioè nell’eternità. Tutto questo sembra concordare con il concetto della tradizione oceanica di un mana quantitativo, un fluido e un balsamo che muove dalla credenza in un arcano potere dei capostipiti, destinato a dissiparsi col tempo.
Il caso della Nuova Guinea e del ‘Big Man’
A est della Nuova Guinea, nell’arcipelago delle Salomone, l’autorità politica è invece appannaggio del “Big Man” o Batu. Vi è una relazione con la sacralità dell’anziano, ma soprattutto con la sua ricchezza, ben visibile nel possesso di terre, animali da allevamento e fili di dischi di conchiglie Spondylus. Impossibile non notare, quindi, la somiglianza della società delle isole Salomone con l’unica gerarchia riconoscibile nel mondo capitalistico occidentale: il possesso di denaro e la proprietà. Le varie funzioni assunte, nel capitalismo, dal denaro sono perfettamente riprodotte nelle conchiglie Spondylus e la forza del suo simbolismo risiede anch’ essa in una specie di mana, qui non collegato alla potenza dell’individuo, ma al fatto di essere quel simbolo universalmente accettato come rappresentazione e corrispettivo del valore dei beni, immediatamente fruibili come il grano, il frutto o il maiale.
Seguendo questa suggestione, possiamo dire che la società polinesiana rispecchia la società europea dell’alto e basso medioevo, mentre quella delle Salomone la società euro-americana del capitalismo o, perlomeno, la sua etica specifica, in assenza però di una rivoluzione industriale. Nelle Salomone l’unione della comunità e la celebrazione della sussunzione al capo, al “Big Man”, si manifesta attraverso la distribuzione di beni in occasione delle feste. I benefici sono dunque di ordine esclusivamente materiale; si tratta di un codice politico integralmente secolarizzato, in cui il potere non ha né si attende di avere alcuna giustificazione trascendentale, alcun rimando ad un ordine “superiore” che pretenda di informare l’ordinamento politico.
Il caso della Nuova Caledonia
In Nuova Caledonia, dove risiede la popolazione Kanak, la struttura del potere politico è ancora diversa: i capi incarnano la comunità e ne sono riconosciuti, ma la loro posizione è instabile. Essa viene valutata in base ai successi e agli insuccessi del capo, all’accessibilità dei beni e alla loro (più o meno) equa distribuzione, insomma in base i risultati del comando, che manifestano l’approvazione o il disappunto degli spiriti degli antenati. In questo la struttura politica caledoniana ricorda da vicino il celebre racconto di James G. Fraser all’inizio del Ramo d’Oro, sul sacerdote della dea Diana Aricina nel bosco sacro di Nemi – il Rex Nemorensis – il quale, avendo preso il posto del predecessore sorprendendolo nel sonno e uccidendolo, era condannato a girare insonne intorno alla quercia sacra alla dea nel timore che, se si fosse addormentato, qualcun altro lo avrebbe ucciso per diventare a sua volta Re.
A tale scopo, e per temperare le aspirazioni al potere assoluto dei capi, in Caledonia sono presenti istituzioni di controllo come i “signori della terra”, un consiglio di anziani che esercita un forte influsso sulla popolazione e che sembra a tutti gli effetti sovraordinato. Nel XIX secolo il dominio coloniale alterò parte di questi equilibri ancestrali, dando rilievo alla componente locale dei capi e ignorando i “signori della terra”. Ma già verso la fine del secolo questi ultimi, conservando la loro influenza sulla popolazione, riuscirono a ristabilire la propria funzione di controllo nelle riserve in cui il governo coloniale francese aveva, nel frattempo, relegato la popolazione autoctona.
La Nuova Caledonia mostra quindi la presenza – almeno nella forma embrionale – delle moderne forme del controllo incrociato e della disseminazione di centri di potere e di ambiti decisionali proprio delle attuali repubbliche democratiche. Ciò non vuol dire necessariamente “somiglianza” fra le istituzioni caledoniane e le nostre repubblicane; o perlomeno non si ragiona così in ambito etnografico e antropologico… A titolo di esempio, mi limito a sottolineare come una società di tipo tradizionale contenga sempre – e non potrebbe essere altrimenti – un elemento di religiosità rituale e condivisa che respinge sempre al mittente la secolarizzazione e la de-sacralizzazione della società. Miti e riti sono, e restano, essenziali al mantenimento del fluido comunitario, una espressione di spiritualità collettiva che neppure può concepire l’idea di un individuo absolutum, sciolto da ogni vincolo e che persegua finalità esclusivamente egoistiche.
In definitiva se è pur lecito, in una prospettiva scientifica, confrontare istituzioni politiche distantissime fra loro per ravvisare qualche elemento emergente in comune, non va mai dimenticato che le dottrine politiche occidentali euro-americane e quelle oceaniche sono sorte e si sono sviluppate in modo totalmente indipendente; e che è il solo moderno spirito capitalistico ad essersi avventurato in quelle remote terre riuscendo, fra vari altri effetti, solo a schiacciarne la profondità tradizionale, senza peraltro riuscire a cancellarla del tutto.
Vi è piuttosto l’osservazione finale che anche la politica appare come parte di una tradizione primordiale, nata non con l’uomo in senso organico, ma assieme all’ uomo sociale e alla comunità umana; un sistema di valori codificati con tanta accuratezza e perfezione da non aver nemmeno bisogno di venir scritto. Oggi noi ci sforziamo di leggerne e interpretarne i frammenti ovunque essi vengano alla luce. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Per le informazioni e le immagini qui contenute, ringraziamo il “Museo delle Civiltà” di Roma e il suo Direttore, Dott. Andrea Viliani. NdR