L’alchimista Fulcanelli e il Finis Gloriae Mundi

“Finis Gloriae Mundi”. L’opera alchemica di Fulcanelli tra Gnosi, biologia, geofisica, ambientalismo e genetica

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L’alchimista Fulcanelli e il Finis Gloriae Mundi

Il terzo libro del misterioso Fulcanelli, ultimo esponente Adepto della millenaria tradizione alchemica, dopo I misteri delle cattedrali del 1926 e Le dimore filosofali del 1930, fu inizialmente affidato per la pubblicazione a Eugéne Canseliet, unico discepolo riconosciuto da Fulcanelli, in forma manoscritta e in un pacco sigillato con la ceralacca – ma venne poco dopo ritirato dall’autore. Con improvviso e inspiegabile pentimento questi chiese a Canseliet di distruggere il testo; Canseliet decise invece di restituirlo, con alcuni pochi fogli a loro volta scritti a mano, fuori dal plico e contenenti osservazioni sue e dello stesso alchimista.

Successivamente e di molto, quasi settant’anni dopo, forse un altro Fulcanelli fece pervenire il testo (impossibile stabilire se nuovo e diverso da quello del 1930, giacché il solo Canseliet aveva potuto vedere il testo originario) di Finis Gloriae Mundi a Jacques D’Arès, oggi scomparso, presidente onorario del Centre Européen des Mythes et Légendes, associazione collegata alla Casa editrice di Carcassonne Liber Mirabilis diretta da Jean-Marc Savary. La lettera d’accompagnamento rappresentava il desiderio di Fulcanelli che fosse D’Arés a pubblicarlo, per i tipi di Savary.

In Italia il libro è edito da Edizioni Mediterranee.

I due Fulcanelli. L’elisir di lunga vita sta nel raccogliere l’opera altrui, l’unico vero oro filosofico

L’enorme distanza di tempo fra le due notizie relative a Finis Gloriae Mundi non deve sorprendere: il più accreditato interprete di Fulcanelli, il citato Canseliet, in una intervista radiofonica rilasciata a Jacques Chancel il 23 giugno 1978 per il programma Radioscopie afferma di aver incontrato Fulcanelli quando – conoscendo la sua data di nascita – aveva 138 anni; visibilmente ringiovanito, assai differente dal vecchio conosciuto anni prima, con i capelli neri e apparendo poco più che cinquantenne. In un altro passaggio della conversazione tuttavia Canseliet, veramente effusivo nei confronti dell’intervistatore, ossia calato in una amabile conversazione “al caminetto” e non più guardingo, accenna in maniera non meno rilevatrice a due Fulcanelli, volendo con ogni probabilità intendere uno per la prima e uno per la seconda metà del Novecento; questo secondo, appunto, rinnovellato autore dell’ultimo Finis Gloriae Mundi, testo il cui autore dimostra di essere bene a giorno delle più recenti scoperte della fisica, della chimica e della biologia scientifiche.

È quindi uno dei miti più persistenti della tradizione alchemica quello della durata biblica della vita dei veri Adepti, ovvero quei pochi che avrebbero scoperto veramente la Pietra, grazie alla quale ottenete la polvere di proiezione i cui portenti si diramano nelle operazioni dell’Elixir, o panacea o medicamento universale; o nella fabbricazione dell’Oro filosofico.

Fulcanelli e l’alchimia come collettivo di ricerca

Si parla naturalmente delle durate di vita, comunque straordinarie, dei patriarchi postdiluviani come Reu, Serug o Nacor tutti discendenti di Sem e vissuti in media duecento anni ciascuno (Genesi 11, 1). Il significato di questa longevità prodigiosa è che esso è in ogni caso una conseguenza secondaria e una prova indiretta del compimento della Grande Opera. Dalle parole di un Canseliet anziano ma invitto nello spirito di ricerca, si ha la conferma che “Fulcanelli” è stato sempre e solo uno pseudonimo, o forse un nome collettivo di un collegio d’invisibili che si riuniva sotto il titolo di “Fratellanza di Heliopolis”. Come si sarà compreso, l’Alchimia è lo strumento essenziale di questa Fratellanza, ma Canseliet sfuma sulla questione se si trattasse, o meno, di un vero e proprio Ordine iniziatico. Suo padre era Compagnone e lui nega risolutamente di aver mai fatto parte della Massoneria. Ciò è comprensibile. L’Ordine massonico, rappresentando storicamente il passaggio dalla Fraternità operativa delle Gilde medievali dei Costruttori a quella speculativa, non può conciliarsi con l’essenza operativa dell’alchimista, il quale opera trasmutazioni, si mette “al diapason” con la materia, ne persegue il perfezionamento e, attraverso questo, raggiunge la purificazione e la spiritualizzazione della propria identità carnale.

L’alchimia del Finis Gloriae Mundi e l’inversione dei poli magnetici, ovvero quando l’alchimista non può non tenere conto delle scoperte scientifiche moderne

Compendiare il contenuto di Finis Gloriae Mundi in un solo articolo è impresa forse impossibile, sicuramente vana e possibilmente empia. L’Alchimia, che in Occidente risale almeno al VI secolo A.C., persegue la Grande Opera della Trasmutazione dei Metalli in quanto smalto che permette alla materia di raggiungere perfezione e immortalità. La spiritualizzazione di essa, la sua perfetta plasticità e la potenzialità di trasformare tutto in tutto è uno degli scopi superiori che – nelle nebbie del simbolismo alchemico – possiamo appena intravvedere. Si tratta di un orizzonte e non di una barriera, scrive Fulcanelli. E la necessità che lo ha spinto, dopo tanti decenni, a tornare sulla materia di questo libro, è curiosamente l’aver identificato un proprio errore.

Nel capitolo Sull’inversione dei poli, l’autore afferma con disarmante sincerità di essersi convinto, nei primi decenni del XX secolo, che dopo aver constatato l’effettiva alternanza del polo nord e sud nel corso della storia terrestre, ciò non poteva che dar luogo a sconvolgimenti inconcepibili sul nostro pianeta: questo avrebbe condizionato in modo decisivo la prima stesura di Finis Gloriae Mundi; e il successivo ravvedimento sarebbe stato la ragione per il repentino ritiro del manoscritto già consegnato a Canseliet.

“Quando abbiamo consegnato a Eugéne Canseliet il manoscritto delle Dimore Filosofali, i geologi avevano giusto appena scoperto, inscritta nella memoria delle rocce, l’alternanza enigmatica del nord e del sud magnetici (…) Avevamo fondate ragioni per pensare che una tale inversione si esplicasse solamente per il rovesciamento della sfera intera sul suo asse, che non poteva mancare dall’essere accompagnato da cataclismi tremendi.”

L’alchimista Fulcanelli e il Finis Gloriae Mundi. Per chi soffia sul fuoco

In realtà per gli studi successivi, Fulcanelli si persuase non essere affatto necessario, per l’inversione dei poli, un rovesciamento della massa planetaria. Prende da qui le mosse una profonda riflessione, che non manca di rivestirsi di giudizi taglienti e asserzioni fortemente polemiche, nei confronti di coloro che – lungo tutto il libro – chiama soffiatori intendendo, con questo nome, un certo tipo di scienziato moderno: fisico, chimico-fisico o biologo. Secondo l’autore la Via Breve della tradizione alchemica è comunque ricompresa nella Via secca che è l’indirizzo generale di questa inesauribile, e non ancora esausta, ricerca. Ci si deve dunque guardare dalla perversità di questi soffiatori che agiscono come faustiani cattivi demiurghi, poiché il loro lavoro si svolge “temibilmente alla cieca”. La storia dell’energia atomica e della sperimentazione da cui fu preceduto l’esperimento di Los Alamos, e la costruzione della bomba A, sono da Fulcanelli esplicitamente definite dia-boliche. Né manca il riferimento all’ambiguo genio di J.R. Hoppenheimer, di cui ci siamo occupati in un altro articolo.

Il lancio della bomba A su Hiroshima fu criminale, non soltanto per le sofferenze inflitte alle vittime dirette (e per le alterazioni genetiche provocate nelle generazioni successive, ndr.), ma anche per lo choc che ne risultò nell’anima e nello spirito dell’umanità. Il crimine fu decuplicato (corsivo nostro) dalla data scelta, il 6 agosto, festa liturgica della Trasfigurazione, di cui bagliore atomico rappresenta una contraffazione…

Alchimia e ambientalismo. La “fine del mondo” osservata da prospettive diverse

Qui risuona la nota sentenza cabalistica “demon est deus inversus”, cioè che il male incarnato consiste essenzialmente nel “piegare” o “curvare” il fatto di natura alla contro-natura, con lo scopo di fare di ciò che è divino una parodia. Fulcanelli avverte anche del pericolo rappresentato da coloro che amano confondere – o forse non sono in grado di distinguere – fra la fine dei tempi (cui Finis Gloriae Mundi vuole riferirsi) e fine del mondo inteso come collasso del pianeta. La letteralità ambientalista – sia pure animata dalle migliori intenzioni – non riesce a cogliere nel segno, e non ha strutture spirituali adeguate (come penserebbe Canseliet una qualche forma di pur imperfetta gnosi) per comprendere che le grandi trasformazioni sono sempre sorvegliate “dall’alto”: in termini alchemici nessuno stregone inferiore, nessun soffiatore, col solo portare a termine l’opera al nero può giungere a conquistare la Grande Opera.

L’aspetto più singolare del libro, avendo fermo quanto finora detto, è il fatto di essere costruito come un’analisi del quadro di Juan Valdés Leal del 1671-73 recante lo stesso titolo Finis Gloriae Mundi, conservato nell’ospedale Santa Caridad e considerato da Fulcanelli “filosofale”, nonché sublime sintesi per immagini della scuola alchemica sivigliana. Il quadro è riportato analiticamente ai suoi elementi, e Fulcanelli dimostra come nessuno dei soggetti rappresentati si possa dire casuale. L’Alchimia, che esige di essere comprensione sperimentale della Gloria celeste e trasalimento (perché la materia, agitata, si magnetizza per arrivare a fissarsi in diversi stati definiti trasmutazioni) di fronte alla sacralità della vita, e dell’ albero edenico che ne è la base, nel corso della storia incontra e plasma situazioni locali. Il cavaliere, il vescovo, il cadavere scarnificato sul fondo della cripta debolmente illuminata di luce porporina, rappresentano diversi stadi di resurrezione tutti egualmente incompleti, frutto di operazioni affrettate. Sono in attesa di resurrezione, nel punto più lontano possibile dalla Gloria del cielo, dall’Assunzione, ossia dalla trasmutazione decisiva (culmine della Grande Opera) che estrae dalla materia anche l’ultima impurità; e che guarisce, nell’operatore, il Peccato Originale, facendo di lui un Adepto “eguale agli Angeli”, come scritto nel Vangelo di Luca sarà fatto degli uomini.

La civiltà spagnola del Seicento, al tempo di Valdés Leal, stava sprofondando a seguito di una cristallizzazione della gerarchia ecclesiastica, e della gerarchia in generale che, privilegiando gli ordini sacerdotale e militare aveva scacciato l’ordine dei laboratores ai margini della società, avvilendoli nella condizione servile e disprezzandone le abilità, invero essenziali per il mantenimento di una società ordinata secondo le armoniche. Una società quindi perduta dove, invece, alto e basso dovrebbero risuonare su altezze diverse e fondersi idealmente. Recentemente lo storico Alessandro Barbero ha detto che il medioevo era luce, mentre è la nostra l’epoca oscura. Non possiamo dargli torto. Nella fase terminale del suo Siglo de Oro l’impero spagnolo ha completato il tradimento del medioevo organico, della civiltà nella quale ognuno sapeva con esattezza quale fosse il proprio posto; si è reso quindi responsabile di una deviazione dalle conseguenze incalcolabili. E’ stato l’aurora di un falso sole chiamato modernità, in cui i più potenti avrebbero finito per schermarsi dal popolo, allontanandolo da sé, rinchiudendosi in grandi residenze simili a fortilizi, e dedicandosi a scienze occulte per vincere la noia di una dorata autoreclusione.

Alchimia e biologia, l’Albero della vita e la manipolazione del DNA

Parole non dissimili Fulcanelli le dedica alle scienze biologiche, già presentendo la prossima empietà, l’assalto all’Albero della vita: già scontati gli orrori della vivisezione animale, gli esperimenti di controllo mentale mediante elettrodi, il condizionamento del subconscio con il ricorso a messaggi subliminali; non restava agli stregoni moderni che la manipolazione del DNA umano, ciò che neanche il più dissoluto dei praticoni spagiriti ha mai osato concepire.

Il vero Adepto dell’Ars Magna deve avere sempre nella mente, invece, l’immagine del Cherub con la Spada di Fuoco posto a guardia dell’Albero della Vita dopo la cacciata dell’Uomo e della Donna primordiali dal Paradiso Terrestre. Siccome Arte e Ricerca sono pur sempre nel perimetro del Sacro, l’intelligenza del Ricercatore deve sempre essere attenta, concentrata e resa pregna, e fertile, dalla fede nelle “cose sperate”, nell’armonia e nella unità dello Spirito. Ciò significa rifuggire da ogni curiosità volgare, dall’arroganza demiurgica e soprattutto, dalla manipolazione degli esseri viventi. Fuori dal recinto del Sacro neppure il sovrano politico può regnare: “dopo l’intronizzazione i re di Tara, o del quinto regno d’Irlanda (…) posavano il piede su una pietra chiamata Lia Fail. Se l’impetrante era legittimo, la pietra gemeva e si fendeva, temporaneamente e simbolicamente, in quattro parti, rappresentanti i quattro regni e le quattro isole settentrionali da cui, secondo la leggenda, erano discesi i Thuata de Danan.” Secondo Fulcanelli, anche l’attuale superpotenza americana deve considerarsi avvertita; dovrà cioè astenersi dallo schiacciare e dall’accentrare i quattro continenti, sopprimendo persino gli stili di vita diversi dal proprio.

La Creazione contiene un errore!

L’ultimo alchimista si spinge fino ad un’asserzione che lascia stupiti: nella Creazione è avvenuto un errore. Nel crogiuolo dell’Adepto è necessario rifare in modo naturale ciò che fu eccessivamente disfatto. Si deve risalire al correttivo di “una corporificazione troppo avanzata”. Questo andrebbe fatto rettificando con costanza e dolcemente, fino al risultato non di emendare il peccato originale, quando rimane comunque gravame generazione dopo generazione, ma di cancellarlo come mai avvenuto: la sapienza si è fatta Gnosi, tutto è all’interno di Dio.

Si vede bene come il fatto di sapere se Fulcanelli sia nome o pseudonimo, uno o molti, vivo o morto e se abbia due o trecento anni, a fronte di questo programma di ricerca della verità operativa appaia futile e di scarso interesse. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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